Per quale motivo l’uso dell’anfora sta ritornando in molte viticolture, non solo europee? Se ne è parlato ad Amphora Revolution, l'evento nato dalla joint venture tra Merano wine festival e Veronafiere, che si è appena concluso a Verona (7-8 giugno). Iniziamo dai vantaggi. L'argilla può essere pensata come una via di mezzo tra acciaio ed il rovere. L'acciaio inossidabile consente un ambiente privo di ossigeno e non conferisce alcun sapore al vino, anche se talvolta può provocare fenomeni di riduzione. Le botti in rovere, d'altra parte, consentono all’ ossigeno di raggiungere il vino e i tannini del legno possono anche influenzare gli aromi e i sapori del vino. Come il rovere, l'argilla è porosa, quindi consente una leggera ossigenazione dando al vino una consistenza profonda e ricca, ma come l'acciaio è un materiale neutro che non impartirà alcun sapore aggiuntivo.
Le caratteristiche dei vini prodotti in anfora
Di norma, il processo di vinificazione prevede la diraspatura dell’uva ma non la pigiatura, la macerazione delle bucce che può raggiungere anche sei mesi, l’esclusione dell’uso della solforosa e dei lieviti selezionati ed il controllo della temperatura durante la fermentazione. I vini prodotti presentano di norma una maggior acidità volatile, un contenuto più elevato di polifenoli, che ne determina il colore più intenso, all’olfatto sono più speziati, vegetali, con sentori di erbe aromatiche ed in bocca sono più tannici e più persistenti. I vini sono caratterizzati da possedere una notevole stabilità fisico-chimica e microbiologica che consente lunghe conservazioni in bottiglia senza manifestare problemi di ossidazione.
L’anfora nella storia
La produzione degli orange wine, la Amber revolution e la vinificazione in anfora rappresentano un vero e proprio “ritorno al futuro”, dove l’argilla e la forma dell’anfora si identificano nella grande madre, archetipo junghiano, della terra, del mondo sotterraneo, della procreazione ed in senso stretto nell’utero.
A livello storico, l’anfora è una forma di vaso di terracotta usata nell’antichità per la conservazione e il trasporto del vino. Il nome deriva dalla parola greca amphoreus, “portata da due lati “. Ogni regione del Mediterraneo era caratterizzata da anfore di capacità e di forma diverse. Oltre al vino le anfore erano usate per contenere olio, miele, conservati di pesce e quelle di grandi dimensioni, cereali.
Per la fermentazione si usavano invece i dolia, contenitori di terracotta senza manici, di dimensioni di norma maggiori di quelle delle anfore che raggiungevano l’altezza, in epoca romana, anche di due metri. Le uve erano pigiate e fermentavano nei dolia con le bucce che venivano tolte solo dopo l’equinozio di primavera. Il vino invecchiato in argilla, o anfora, è cresciuto in popolarità negli ultimi anni. Ma questa tecnica è tutt'altro che nuova. In effetti, la pratica ha avuto origine in quella che oggi è la Georgia moderna, circa 6.000 anni fa.
L’uso della terracotta in Italia ai giorni nostri
Attualmente l’uso dei dolia è molto diffuso in Georgia, nel Caucaso (kvevris) ed in misura minore in Spagna, nella Mancha. In Italia la tecnica della fermentazione in anfora è stata inaugurata circa una decina di anni fa, con contenitori georgiani da Joško Gravner sul Collio che produce con questo metodo circa 25.000 bottiglie che vengono vendute ad un prezzo molto elevato, imitata dall’azienda Sgaravatti nel padovano, dall’azienda Pievalta in provincia di Ancona e da COS nella Sicilia sud-orientale. Altre aziende stanno valutando su piccola scala i risultati di diverse prove di vinificazione in dolia. Si tratta comunque di vini di nicchia.