Il vigneto atesino è racchiuso in poche migliaia di ettari che si adagiano sui fianchi delle colline risalendo il corso dell’Adige e dell’Isarco. Ciò che non si intuisce in questa descrizione è la grande variabilità del territorio, che spazia dai 220 metri del fondovalle agli oltre 1000 nella Bassa Atesina e nel Renon, dove calcare, limo e porfido si alternano, con esposizioni che ruotano a 360°, la straordinaria ricchezza ampelografica e ancor più l’enorme frammentazione delle vigne che vede migliaia di famiglie interpretare il territorio e le vendemmie.
Alto Adige. A ogni vitigno, il suo territorio
Il risultato di questo enorme puzzle è di altissimo profilo, con vini che riescono a raccontare queste sfaccettature con sempre maggior precisione. Oggi le aziende non coltivano più tutti i vitigni previsti dalla denominazione, ma soltanto quelli che esprimono un forte legame con il territorio; le vigne più vecchie e ormai sofferenti non sono rimpiazzate pedissequamente, ma sostituite dai vitigni più indicati, cercando freschezza in altitudine o valorizzando le esposizioni più calde con le uve adatte. Le vigne protette dal sole del pomeriggio nella zona di Magrè e di Sella sono perfette per lo chardonnay, la conca del capoluogo ha nel lagrein il suo vitigno principe, conosciamo la vocazione della zona di Mazzon per il pinot nero, ma sempre più spesso colpiscono anche quelli della dirimpettaia zona di Appiano Monte.
Il pinot bianco rivendica il ruolo di vitigno storico in molte zone, da Sirmian nei pressi di Nalles a Tirolo nel Burgraviato o ancora a Terlano, dove entra in gioco sia come vitigno in purezza sia come comprimario del Terlaner. Il riesling ha trovato nelle più alte zone della val Venosta e della valle Isarco, il suo territorio d’elezione, proprio come sylvaner, kerner e grüner veltliner si legano strettamente al territorio più orientale della regione. La schiava, che oggi è sempre meno diffusa, rimane il protagonista assoluto delle zone più vocate di Caldaro e Santa Maddalena.