Se trovare differenze tra Roma e Milano fosse uno sport, sarebbe certamente più praticato del padel e del calcetto messi assieme. E non solo il giovedì. Distinguere le due capitali italiane (quella politica e quella economica) da un punto di vista gastronomico è ancora più divertente, essendo questa una materia sempre divisiva e appassionante. Però noi proviamo a trovare una chiave di lettura quasi da alcova: ebbene, i romani sono fedeli e i milanesi più farfalloni.
Ristoranti milanesi in movimento
Ohibò, come mai? Il fatto è che quando parliamo di ristoranti fine dining, la città capitolina si rivela assai più conservatrice di quella meneghina. Prendiamo gli stellati: a Milano esiste soltanto un ristorante che negli ultimi dieci anni, senza cambiare location, insegna o chef, abbia conservato la stella Michelin. E si tratta di Joia, il vegetariano dello svizzero Pietro Leemann, che vanta un macaron da 29 edizioni della guida, avendo presto il primo nel 1996.
Tutti gli altri locali stellati di lungo corso hanno cambiato qualcosa: Sadler è stellato addirittura dal 1992 (tra il 2003 e il 2017 ne ha vantate addirittura due) ma di recente ha cambiato sede, spostandosi dalla storica location sul Naviglio Pavese alla più centrale via dell’Annunciata.
Carlo Cracco, che una stella la vanta addirittura dal 1988, ha mutato ben tre ragioni sociali (Cracco Peck, Cracco e Cracco in Galleria) e altrettante sedi (via Spadari, via Victor Hugo e per l’appunto la Galleria). Quasi la metà dei locali stellati ha aperto o comunque è stato premiato dalla Michelin negli ultimi cinque anni: L’Alchimia, Verso Capitaneo, Anima, Aalto, Andrea Aprea, Horto, ViVa, diversi altri (Felix Lo Basso, Enrico Bartolini al Mudec, Contraste, Seta) negli anni immediatamente successivi all’Expo.
I grandi vecchi di Roma
E Roma? Qui ci sono più «grandi vecchi», che poi vecchi non sono affatto. Però ci sono ben quattro ristoranti rimasti intatti: La Pergola di Heinz Beck (oggi chiuso per ristrutturazione), stellato dal 1998 (e tristellato dal 2006), Il Pagliaccio di Anthony Genovese (dal 2007, qui la nostra intervista allo chef Anthony Genovese), Glass Hosteria di Cristina Bowerman (dal 2010) e Il Convivio Troiani, stellato dal 2011 dopo esserlo stato già tra il 2002 e il 2007.
Storie più complesse quelle di All’Oro di Riccardo Di Giacinto, che ha avuto la stella dal 2011 al 2016 ai Parioli e poi si è spostato in due differenti hotel (oggi è al The H’All Tailor Suite), di Imàgo, stellato fin dal 2009 ma prima sotto la gestione di Francesco Apreda e poi di Andrea Antonini, di Alessandro Pipero, che ha traslocato più volte portandosi più o meno sempre appresso la stella dal 2013 e di Acquolina, ristorante che ha una stella dal 2009 ma ha avuto almeno tre vite: una con Giulio Terrinoni in zona Collina Fleming, poi la seconda, drammatica, con alla plancia Alessandro Narducci, poi morto in un incidente in moto, e infine quella attuale di Daniele Lippi in via del Vantaggio. I locali che sono stati stellati negli ultimi cinque anni sono Zia, Maro Martini, Orma e Idilyo by Apreda.
Le coccole di Roma
Insomma, sembra proprio che Roma coccoli i suoi grandi chef mentre Milano li consumi, li bruci. Ciò naturalmente ha a che fare con ragioni antropologiche e anche sociali: Milano negli ultimi anni è stata l’Eldorado della grande cucina, con brand e chef che hanno fatto a gara ad approdare sui Navigli, magari in sella a progetti non sempre a fuoco (ricordiamo la meteora di It Milano con la consulenza di Gennarino Esposito negli anni immediatamente prima della pandemia).
Milano brucia e tradisce
Milano è incostante, ama in modo bruciante ma poi tradisce con altrettanta facilità secondo la dinamica love bombing-gaslighting-abbandono tipico dei rapporti un po’ border. A Milano c’è sempre bisogno della novità, comfort zone è considerata una parolaccia. Logico quindi che il monopoli della ristoranteria sia sempre in gioco, e spesso si fa fatica a starci appresso. I progetti di lungo corso esistono, ci mancherebbe altro, ma non sono così frequenti come a Roma, città più placida, più pigra, più disposta ad affezionarsi, e fatta quindi per chef che abbiano voglia di investire molto nel rapporto con il loro pubblico. Un pregiudizio? Forse. Una semplificazione eccessiva? Quasi certamente. Ma magari, in fondo in fondo, c’è davvero differenza nel rapporto con l'amante Milano e con la moglie Roma. E non è solo una faccenda di come si prepari (o si sbagli) la Carbonara.
Foto copertina di Saverio Pisano