La bellezza delle montagne, il fascino delle borgate, l’aria trasparente, il bianco candido della prima neve e, perché no, il richiamo del gusto, che non è solo quello della cura delle abitazioni e dell'ambiente, dei fiori e delle decorazioni in legno, del verde intenso dell'erba estiva, ma anche quello del palato. Questo (e molto altro) è Sappada, da qualche anno friulana dopo essere stata veneta e cadorina da sempre, e da tempo meta gourmet, soprattutto grazie a due insegne (ma non sono le uniche, e poi ci sono anche pasticcerie, latterie, negozi di alimentari, rifugi, agriturismo, baite e pizzerie che valgono la sosta) che spingono fin quassù golosi e curiosi.
I due ristoranti "gemelli" di Laite
Il ristorante Laite, stella Michelin dal 1997, e Baita Mondschein, che la stella non ce l’ha ma per più di qualcuno la meriterebbe e, comunque, merita di sicuro l’affetto e la fedeltà dei clienti, essendo nella lista di quei luoghi che quando li conosci non puoi più farne a meno.
Insegne per tanti aspetti gemelle: per la cura dell’ambiente, la bontà del cibo, il livello delle cantine, la forza dell’atmosfera (più intima e romantica al Laite, più conviviale nella Baita), il fascino del paesaggio – aperto sui prati e il campo da golf quello del Mondschein; intimo, tutto legno e calore, nascosto fra le belle costruzioni tipiche di contrada Hoffe, quello del Laite, dove sembra di entrare in casa di amici. Stelle o non stelle qui nessuno se la tira e al Laite hanno perfino deciso di non esporre la placca della Michelin. Una professione di rara umiltà: «Ma anche il desiderio di non intimorire i potenziali clienti di passaggio». Ad accomunare le due insegne, anche il talento e la passione dei due giovani che gestiscono le rispettive cantine e la sala. A Baita Mondschein, tengono banco Paolo Kratter e il figlio – Stefano, 30 anni – che voleva fare il maestro di sci e diventare direttore della scuola di Sappada e poi ha cambiato idea: meglio impegnarsi nell’attività di famiglia dove, infatti, è sommelier e responsabile della cantina.
Elena, la nuova anima di Laite
Al Laite, invece, c’è Elena Brovedani, appena 26 anni (è nata nell’anno di grazia in cui arrivò la stella), figlia d’arte (mamma Fabrizia è la pluripremiata chef, il papà, Roberto, mancato due anni fa, era un fuoriclasse della sala e della cantina) da poco eletta sommelier dell’anno dalla guida Ristoranti d'Italia 2024 del Gambero Rosso: «È stata una enorme sorpresa e un grande onore e adesso spero di essere all’altezza di questo riconoscimento, essendo consapevole che ho ancora tanta strada da fare, che devo confrontarmi con professionisti che ne sanno molto più di me. Un potente stimolo che mi dà molta carica per il futuro».
L'eredità di Roberto Brovedani
Dolce, umile, professionale, competente, questo era Roberto Brovedani per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo: «Papà – racconta Elena – era una persona speciale ed è stato un grande esempio per me, sia dal punto di vista professionale che umano. Mi accompagnava tra i clienti per farmeli conoscere, iniziò a farmi assaggiare i vini, spesso uscivamo tutti assieme a cena e anche quelli erano momenti di crescita e apprendimento. Lui ha sempre fatto un gran lavoro di ricerca e cerco di farlo anche io, in Italia e all’estero (è appena tornata da un viaggio in Marocco, ndr), per proporre agli ospiti le nostre scoperte e le bottiglie del cuore. Spero di riuscire ad esprimere il più possibile quelli che erano i valori di papà».
Elena ha iniziato il suo percorso professionale studiando lingue, poi si è concentrata sul vino: «I corsi per sommelier dell’Ais e la scoperta in prima persona di un mondo straordinario, il confronto con vignaioli, colleghi e amici appassionati. Mi impegno per valorizzare chi condivide i nostri valori sul rispetto della materia prima e del territorio. Raccontiamo il vino in modo più romantico e meno tecnico per coinvolgere il più possibile anche i meno esperti».
L’eredità di Roberto è morale e professionale, ma è anche una cantina di rara ampiezza e profondità, specchio di un uomo curioso, appassionato e competente, gran maestro dell’accoglienza, della simpatia e dell’empatia, padrone del mestiere, di un sapere raro, e tutto è ora nelle mani di Elena, che dal papà ha imparato molto e in più ci mette la grazia femminile e la freschezza dell’età ed è diventata il braccio destro di mamma Fabrizia.
Elena e Fabrizia, madre e figlia: le due colonne del progetto
E dire che da piccola Elena immaginava che avrebbe fatto altro nella vita: «Vedevo i miei genitori sempre al lavoro, senza un attimo di tempo per loro e pensavo che non avrei voluto fare una vita così dura. Poi si cresce, si matura, si capiscono molte altre cose. In fondo questa è la mia terra e ci sono affezionata, sono nata qui e cresciuta nel ristorante, e ho sempre aiutato papà in sala, così pian piano si è alimentata la passione. Finito il liceo linguistico e con il diploma di sommelier in tasca ho cominciato un giro d’Italia per fare esperienza in diversi ristoranti, il che mi è stato molto utile sia sul piano professionale che umano. Ho acquisito un grande bagaglio di conoscenze che ora metto a disposizione della nostra attività».
La scomparsa di Roberto è stata ovviamente un duro colpo: «Ma ci siamo imposti di reagire – spiega Fabrizia – perché Roberto avrebbe voluto così. Lui è sempre accanto a me, lo sento ancora addosso, sento la sua voce e i suoi consigli, non ci ha lasciate sole. Vogliamo difendere e valorizzare quello che abbiamo costruito assieme e di cui era giustamente orgoglioso. E penso – al di là del dolore e del vuoto incolmabile – che tutti noi, mia figlia ed io che lo abbiamo avuto accanto in tutti questi anni, ma anche i nostri amici e gli ospiti, siamo persone fortunate per aver condiviso un lungo tratto di strada con una persona unica». Elena concorda: «Una mazzata, prima di tutto emotiva, poi anche sotto il profilo del lavoro. Trovarsi di colpo in prima fila non è stato facile, nei primi tempi mi sentivo davvero disorientata».
Una carta dei vini sterminata
Elena gestisce una carta vini sterminata di 2.500 etichette e, più o meno, 7 mila bottiglie: tanto Friuli, e poi, a seguire, Toscana, Piemonte, Veneto e Francia. Ma chi legge la carta può tranquillamente immaginare un vero e proprio giro d’Italia del vino, ma anche oltrepassare largamente i confini e spingersi molto lontano, dall’Armenia all’Albania, dalla Nuova Zelanda al Marocco. Carta all’80 per cento italiana con dentro il 20 per cento di Friuli, e notevole profondità di annate, frutto anche di rapporti spesso personali e amicali con tanti produttori.
E, dunque, come si fa a non perdere la bussola in questo mare di vino? «Non è facile, certo, e devo dire che mi ha molto aiutato il nostro Ovidio, impagabile nell’accompagnarmi per mano in un momento difficilissimo. Personalmente cerco di proporre bottiglie che raccontino il territorio e non siano mai eccessive, nella percezione del legno o nella macerazione. E mi piace cambiare, non abbinare sempre le stesse bottiglie agli stessi piatti. Un cliente, l'altro giorno, mi ha detto che è stato da noi tre volte in poco tempo e pur prendendo più o meno i medesimi piatti ha sempre bevuto vini differenti. Per noi un grande complimento».
Eclettismo, competenza, psicologia: il lavoro di sala
Dicono – ed è vero – che in sala bisogna essere eclettici, competenti ma anche un po’ psicologi, avere colpo d’occhio ed empatia., capire al volo le persone, i caratteri, le esigenze. Elena concorda in pieno: «Non c’è una modalità di servizio. Il servizio siamo noi, l’obiettivo è quello di far star bene le persone, assecondarle, guidarle se ce lo chiedono e sempre con dolcezza. Ogni persona è differente, ogni tavolo diverso e il nostro mestiere è anche indovinare con chi abbiamo a che fare. In sala la competenza è importante ma non la cosa più importante. Qui arriva gente che magari ha fatto un sacco di strada per raggiungerci, altri sono habituée; e poi ci sono quelli di passaggio che a volte non hanno dimestichezza con l’alta cucina: sono gli approcci più difficili ma anche più stimolanti e spesso i più soddisfacenti. Riuscire a coinvolgerli, a farli entrare nel nostro mondo, è affascinante. Vogliamo che da noi si sentano a casa. E, perché no, che diventino magari nostri amici il che, devo dire, capita di frequente. Coccoliamo chi si siede alla nostra tavola anche perché può aiutarci a crescere ed esserci di ispirazione».
La dedica per il riconoscimento del Gambero Rosso? Quasi scontata: «Prima di tutto non voglio dimenticare i nostri collaboratori, ognuno dei quali è fondamentale e davvero mi chiedo se da sole saremmo riuscite a superare i momenti difficili che abbiamo passato. Poi, certo, se sono qui il merito è dei miei genitori che mi hanno sempre lasciata libera di scegliere cosa volevo fare. Sono stata fortunata ad avere due genitori così. Mia madre è la colonna della famiglia, il papà la mia ispirazione. Se n’è andato davvero troppo presto e io cerco sempre di rendergli onore, pur con la mia personalità e il mio modo di vedere le cose. Papà e mamma assieme hanno creato un sogno ed io, nel mio piccolo, cerco ogni giorno di prendermene cura».