Quanto guadagna un grande chef? Entrare in un ristorante d'autore più trarre in inganno: i suoi codici attengono al segmento del lusso, ma questo non significa per forza che i conti siano in salute, perché i ricavi sono sempre dati dalla differenza tra entrate e uscite, e in certi locali le uscite sono altissime. Far tornare i conti non è sempre facile. È vero, come si dice da più parti, che l'alta ristorazione è in crisi nera?
Per non perdersi nelle illazioni, non c'è che da affidarsi ai dati. Lo fa il magazine Pambianco, analizzando i ricavi, dopo la chiusura dei bilanci, dei dieci maggiori chef nostrani. Nomi e volti che gli appassionati hanno imparato a conoscere e ammirare, famosi come attori di Hollywood o calciatori. E altrettanto ricchi, anzi sempre più ricchi. Nel 2023 il fatturato dei top ten è cresciuto rispetto all'anno precedente, superando i 200 milioni di euro. Ma chi sono questi magnifici dieci? E, soprattutto, quanto vale il loro business?
Mettetevi comodi, perché qualcosina da dire in merito c'è: se da una parte infatti ci sono fatturati che sfiorano le 8 cifre, dall'altra c'è una gestione che poco o nulla ha a che vedere con l'immagine romantica del ristorante con lo chef patrone in giacca bianca. Immaginiamolo piuttosto come manager in giacca e cravatta. Perché seppur queste aziende si fondano quasi sempre su un'impresa familiare nata intorno ai fornelli, sono ormai strutturate come gruppi imprenditoriali articolati che differenziano il business e traggono i loro guadagni dalle attività collaterali, trainati dal biglietto da visita dell'insegna principale (sperando di non tradirne l'anima originaria).
Con queste galassie costruite su insegne cadette (più casual e molto più snelle di quelle fine dining), catering, consulenze d'autore, collaborazioni con istituzioni e privati, eventi speciali, prodotti in vendita (con il tormentone del panettone in prima linea), si possono intercettare pubblici diversi e affrontare le intemperie del mercato. Insomma: chi dice che l'alta ristorazione non è morta, si scorda di dire che non è morta quella che sa ragionare in termini imprenditoriali e sviluppare un business articolato capace di reggere i colpi dell'instabilità in cui siamo immersi. Sarebbe del resto anacronistico pensare a un'azienda con fatturati milionari gestita come un piccolo negozio domestico, soprattutto in un settore che ha un bacino di utenza internazionale. Il discorso non vale però per chi non ha la forza economica per fare il salto e moltiplicare le attività con fiuto e lungimiranza. Dunque sarebbe bene eliminare un po' di retorica e guardare ai numeri. Pambianco l'ha fatto, e noi lo facciamo con lui.
Chi sono e quanto guadagnano i 10 chef più ricchi d'Italia
I ristoranti presi in esame hanno tutti migliorato le loro performance rispetto all'anno precedente. Si tratta di Da Vittorio della famiglia Cerea, Cannavacciuolo, gli Alajmo brothers, Massimo Bottura con quella che lui chiama Francescana Family, Enrico Bartolini, Carlo Cracco, Niko Romito, Giancarlo Perbellini, Pinchiorri, Enrico Crippa.
Guardiamo meglio: Da Vittorio, prima con grande distacco dal secondo, raggiunge quota 87 milioni, 20 in più rispetto all'anno precedente. Un risultato che solo in parte si deve al primo locale, quello di Brusaporto. L'impresa è segmentata infatti tra locali fine dining – oltre alla casa madre in provincia di Bergamo, anche St. Moritz, Shanghai – e casual, con i DaV di Milano e Portofino, la pasticceria Cavour1880, il ristorante estivo all’ex Monastero di Astino e le consulenze. Poi però c'è il leggendario catering, forse il più famoso d'Italia, capace di servire pochi ospiti come eventi da centinaia e centinaia di ospiti, e lo shop di prodotti a marchio Da Vittorio, altrettanto importane nell'economia complessiva del gruppo.
Dopo di loro, arriva il Gruppo Cannavacciuolo, con “soli” 24 milioni di euro di ricavi (lo scorso anno erano 23), Antonino e Cinzia Primatesta vedono il traino dei ristoranti – il main Villa Crespi (tre forchette e tre stelle) e il Bistrot a Torino (quello di Novara ha chiuso qualche mese fa) a cui si aggiunge il più recente Cannavacciuolo Le Cattedrali Asti all'interno del relais omonimo, e le insegne pop come Antonino Il Banco di Cannavacciuolo. Ma la grande spinta è arrivata dal fronte dell'hospitality: non c'è solo Villa Crespi dove c'è l'omonimo ristorante, ma anche anche il Laqua Collection, che oggi conta 5 insegne in tutta Italia, in zone calde del turismo d'alto borgo (e già si allude a nuove aperture). Anche i fratelli Massimiliano e Raffaele Alajmo (19 milioni, uno in più dello scorso anno) ormai possono contare su una collezione di insegne diverse per stile, offerta e prezzi. La maggior parte sono in Veneto, dall'ammiraglia Le Calandre a Rubano agli altri locali tra Padova, Venezia, Treviso e Cortina, ma ci sono anche i ristoranti all'estero.
Guadagnano qualcosa in più Massimo Bottura & Co. passati da 17 a 18,7 milioni di euro di fatturato, e anche loro contano su diversi locali: 4 a Modena e dintorni (Francescana, Franceschetta58, Il Cavallino di Maranello e Casa Maria Luigia, guest house con il ristorante Il Gatto Verde sempre più in vista) a cui si aggiungono i Gucci Osteria a Firenze e nel mondo, e poi ci sono le varie attività (anche benefiche come il caso dei Refettori); senza contare poi che Bottura ha messo un piede nel mondo Belmond, a Venezia, cosa che lascia supporre un possibile sviluppo nell'alta ristorazione.
Enrico Bartolini è un asso pigliatutto: lo chef più stellato d'Italia, con una collana di insegne diverse tra cui spicca quella a suo nome al Mudec di Milano, è passato da 13,8 a 15,9 milioni. Dopo di lui il vicino di casa Carlo Cracco (cresciuto da 11,8 a 12,3 milioni) con il ristorante in Galleria (dove c'è anche un caffè e uno spazio eventi) e quello a Portofino (dopo opera l'ottimo Matteo Pecis, tra i migliori under 30 italiani e tra i protagonisti del nostro mensile di ottobre), mentre si attende l'approdo a Roma, non perde tempo: aperto qualche settimana fa a Londra, è in procinto di inaugurare in Arabia Saudita (come il collega Niederkofler).
Unica presenza del centro-sud Italia è Niko Romito (oggi a 9,6 milioni, 2 in più rispetto lo scorso anno), che da Castel di Sangro, dove ha strutturato un piccolo organismo autarchico (ristorante Reale, stanze, scuola di cucina, spazio eventi), è approdato a Roma e Milano con due locali casual, a cui si sono aggiunti i ristoranti a suo nome dei Bulgari hotel, le stazioni di servizio Alt (un ambizioso progetto con Emilive che conterà migliaia di insegne in breve tempo) e lo shop di prodotti del suo laboratorio.
Cresce di poco Giancarlo Perbellini (+4%, 8,6 milioni) che lo scorso anno ha traslocato il suo Casa Perbellini nello storico e più grande 12 Apostoli, e lavorato per consolidare i molti locali, a Verona e fuori (come quelli sul lago di Garda e in Sicilia). Potrebbe sorprendere invece la crescita di Enoteca Pinchiorri, storica insegna fiorentina che non conta su una galassia di insegne, ma su catering, commercio all’ingrosso di vini e consulenza. Anche Pinchiorri cresce del 25% sui 5,6 milioni dell’anno precedente.
Ultimo tra i primi 10 è Enrico Crippa, che chiude il bilancio 2023 dei soli Piazza Duomo e La Piola a 6,6 milioni di euro (+10 per cento), un caso isolato, da guardare però dal filtro di casa Ceretto, partner di peso dello chef di Alba.