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Ho snobbato per anni la pizza romana. Chiedo scusa

Da studente la mangiavo perché economica, ma più in generale la consideravo un prodotto mediocre. Il purgatorio delle pizze per turisti ha contribuito ad alimentare lo scetticismo. Poi sono arrivati dei giovani pizzaioli - da El Sabawi a Rizzo, da Mercuro a Pezzetta, fino a Seu - che hanno cambiato tutto. Breve storia di un pentimento

  • 05 Febbraio, 2024

Ho snobbato per anni la pizza romana, la consideravo mediocre rispetto alla tonda napoletana. Quando sono arrivata a Roma da studente la mangiavo perché la trovavo economica. Purtroppo per diverso tempo l’ho considerata un piatto di serie b (maledette mode gourmet, colpa mia). Poi, boh, a un certo punto ho iniziato a volergli bene. Ma niente di serio. Da studente mi piaceva quella di Formula 1 a San Lorenzo. I tavoli fuori, stretti stretti, in fila sulla pedana che scivolava lungo il marciapiede. Sopra la testa l’insegna luminosa bianca, blu e rossa. Birrette e lieviti che ti gonfiavano come un pallone. Un chiacchiericcio snervante. Niente di entusiasmante, ma la pizza scrocchiava un botto ai tempi. Sono anni che non ci torno. Ne tagliavo più di un quarto, la piegavo in due, prendevo l’angolo con le dita e la divoravo. Crunch, crunch. Durava 5 minuti nel piatto. Le cene più veloci della vita.

Nel girone infernale del turista

Ho ripreso a ignorarla per altri anni. Mi aggiravo nel centro di Roma, nei pressi del Parlamento, e vedevo i poveri turisti col bavaglino ingannati a mangiare quello che era tutto tranne un morso. A volte il turista ero io. Niente crunch o troppo crunch. Pizze che trasudavano vergogna. La mozzarella era un ricordo, di quelle che ti si incollano sul palato come un bozzolo, mastichi per minuti interminabili prima di ingoiare. Che sensazione sgradevole.

Qualche bel tempio della pizza romana c’è sempre stato, eh, rimaneva lì inamovibile a colmare qualche mia voglia momentanea. Come Emma, ristorante e pizzeria, vicinissimo a Campo de’ Fiori. Nel cuore anche Remo a Testaccio. Pizze tonde, a volte ovali, o a forma di qualcosa non classificabile. Mi piacevano, ma non le pensavo quando mi prendeva fame. E quindi dopo un po’ il mio disinteresse riprendeva.

Primo passo verso la conversione

Ad un certo punto la storia è cambiata. Sono arrivati dei giovanissimi (o quasi) pizzaioli e hanno cambiato tutto. Hanno pure un po’ lottato per farsi considerare tra i loro simili. La mia percezione di questo piatto è cambiata. Altra moda gourmet? Può darsi ma cerco di vivere in pace con i miei conflitti. Da studente non avrei potuto permettermela una pizza come quelle che si trovano oggi a Roma, ma forse avrei rinunciato a qualche altra cosa per andare a mangiare da Sami el Sabawi (A Rota), Luca Pezzetta (Clementina a Fiumicino), Jacopo Mercuro (180 gr), Mirko Rizzo (L’Elementare) o Pier Daniele Seu (Tac). Sono bravi (qui trovate un elenco di dove mangiare la pizza romana in città).

Il primo – 180 gr – è dove l’ho riscoperta. La sede originaria, quella di via Tor de Schiavi a Centocelle, mi piaceva molto. Spartana, una pizzeria di quartiere giusto un po’ più curata e moderna. Fritti ottimi, pizza di sostanza. Ne ricordo una prosciutto crudo, stracciatella, pomodori gialli confit e basilico; ah, pure quella ripiena di mortadella, trasudava gusto grazie al salume piacione. Era fantastica. E a Roma la pizza con la “mortazza” ha una mucchio di competitor, eh. Quella aveva un passo in più.

Mercuro ha poi aperto un’altra sede, che è divenuta quella principale, sempre a Centocelle. Purtroppo non è semplicissimo prenotare, ci sono i turni da rispettare, un po’ rigidi. Bisogna programmare con molto anticipo, un’operazione che a volte per pigrizia diventa uno sforzo eccessivo. Un po’ mi infastidisce, rosico, perché vorrei mangiarla più spesso. Ma ben per loro.

Quindi sono andata da A Rota. E ci sono pure tornata. La sensazione di friabilità e leggerezza è un chiodo in testa. Bell’impasto, e cottura perfetta. Le farciture e gli abbinamenti sono buoni, possono crescere ancora ma Sami el Sabawi è bravo e sta facendo un grande lavoro. La tonda ripiena di susianella (un insaccato di Viterbo), fonduta di parmigiano, finocchi al burro, chips di parmigiano e spezie è goduriosamente hardcore. Patate e salsiccia scatenatrice di ricordi. Anche la pizza dolce non è male, a quella alla zuppa inglese mancava una punta di alchermes, ma la mangiano anche i bambini e quindi va bene così.

A volte ritornano (per fortuna)

Poi il grande ritorno. Gli amici romani romani – insomma quelli che ci sono nati nella Capitale e non emigrati – dicono che la mangiavano da Mastro Titta. C’era un giovane Pier Daniele Seu che la preparava. Era romana romana. Non l’ho mai assaggiata, purtroppo, erano sempre gli anni dell’università dove le passioni cercavano di prendere spazio sul finire dell’adolescenza. L’ho bucata. E vivo il dramma emotivo di non aver speso un po’ di fegato da Mastro Titta, uno dei locali che ha fatto nascere la passione per la birra artigianale nei palati di mezza Roma. Ore piccole a suon di alcol, mangiare a orari improbabili. Questi i racconti.

Basta divagare: ad un certo punto, dicevamo, è arrivata la pizza romana di Seu. Ma poi è sparita. Una volta uscito da lì ha cambiato impasto: la sua è la pizza di Seu, una nuvola su cui poggia una buona cucina. Molto bravo negli abbinamenti, tra i migliori in città. Una pizza talmente identitaria che altri giovani hanno seguito il suo stile. “Ah, quello fa la pizza come Seu”.

Da solo non credo avrebbe avuto il successo (meritato) che ha ora. Con sua moglie, Valeria Zuppardo, leader indiscussa di gentilezza e management, hanno aperto Seu pizza illuminati a Trastevere. Ora, invece, sono tornati alle origini. L’ultimo piccolo capolavoro è Tac a Mostacciano. La pizzeria ha aperto da pochissimo, serve sempre rodaggio a un nuovo locale, ma i risultati sono già sorprendenti. L’impasto è umido il giusto, fa crunch, i topping non sono da meno. Pomodoro S. Marzano alla ‘nduja, ventricina, stracciatella di bufala, polvere di olive nere e confettura di habanero (che gli dà una bella spinta dolce) compongono la Super Sista. Ci torno sicuro.

Postilla a questa storia breve. Ammetto, che, anche se in ritardo, a un certo punto ho iniziato ad amarla. Ho sbagliato a snobbare per anni la pizza romana. Chiedo scusa.

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