Nell'opinione comune la pasta in bianco è il grado zero della cucina, quello del frigo vuoto e la dispensa pure, quando non il cibo ospedalizio per antonomasia. Che invece, proprio per quell'aspetto dimesso, solletica fantasia e creatività di grandi cuochi che sfidano l'opinione comune e piazzano lì, nel bel mezzo di menu d'alto borgo, la loro pasta in bianco.
Che a volte lo è anche nel nome, come nel caso che ha recentemente infiammato l'opinione pubblica, del primo in carta al 10_11 del Portrait hotel di Milano, reo di averla quotata 26 euro (ma che per noi potrebbe costare anche di più).
Ma quella creata da Alberto Quadrio e rimasta dopo il suo saluto alla struttura, è solo una delle molte incarnazioni della pasta in bianco nell'alta cucina.
Partiamo dagli anni zero: è il 2000 quando Gualtiero Marchesi (guarda caso tra i maestri di Quadrio) presenta la sua Quattro paste: paccheri, fusilli, spaghetti e puntine disposte ad arte nel piatto. E non a caso: l'ispirazione viene dalle Marilyn Monroe di Andy Warhol, e mette in luce in che modo la forma, o meglio il formato, influenza il sapore, qualcosa che oggi pare evidente, ma non allora. Non una sinestesia fine a se stessa, dunque, ma un'esperienza gustativa per sperimentare la relazione tra struttura e gusto della pasta, restituire un ruolo da protagonista a un ingrediente spesso considerato come neutro, gregario rispetto al condimento, ma anche la traduzione in cucina del concetto di ripetizione e variazione dell'arte seriale. Chiaro, provocatorio, comprensibile, il piatto viene finito con un leggero giro d'olio e pochissimo pecorino, quasi impercettibili allo sguardo.
La lezione del Maestro viene introiettata e, in un certo senso, elaborata, anche per quanto riguarda quell'idea di ingrediente invisibile, che non si vede ma si sente. A segnare la differenza tra ingrediente della ricetta ed elemento del piatto. In tal senso è emblematica la Pasta in bianco di Luca Natalini, un piatto storico che lo chef toscano conserva nel degustazione del nuovo Autem di Milano: spaghetti nudi, puri, sapore potente e mutevole grazie a vermuth di prugne, aceto di riso, alloro bruciato.
Ma se c'è uno chef che ha fatto della purezza una cifra stilistica, quello è Niko Romito, che sin dai suoi esordi ha cercato un'essenzialità estetica in ricette con una lista ingredienti brevissima. I capellini ai porri sono datati 2010, nel pieno di un lavoro sulla laccatura delle paste secche cominciata l'anno prima con il capellino laccato all'acqua di pomodoro, che dell'ortaggio aveva il sapore ma non il colore: la pasta bianca e lucida pare semplicemente lessata (sì, a vederla pare la stessa pasta di Natalini, ma è solo apparenza: il sapore è molto diverso) Nella versione 2010, i capellini sono cotti in padella per pochi minuti con acqua di porro alla brace, ridotta per concentrare la parte zuccherina che con l’amido della pasta diventa una glassa. Sono i tempi di Essenza, dolce amarissimo con radice di genziana, con cui questo primo dalle note dolci duetta in modo inconsueto ma armonico. Più recentemente, poi, la glassatura con acqua aromatizzata si ritrova sui ravioli di ricotta di pecora.
Ai tempi di Locanda Margon di casa Ferrari, Alfio Ghezzi (oggi al Mart di Rovereto) presenta Insolito Trentino, spaghetto condito con extravergine, mantecato con Trentingrana, cotto in un liquido aromatico a base di Ferrari Perlé, in cui acidità e aromaticità giocano un ruolo da protagoniste. Un altro piatto invisibile, se non fosse per le erbe aromatiche. Su questa linea troviamo spaghettini al limone e provolone del monaco di Peppe Guida, cotti in acqua di limone e finiti con provolone del monaco, con le foglie di limone a dare un tocco di colore. Siamo già entrati in un altro campionato, quello della pasta apparentemente elementare, che non nasconde gli ingredienti ma li fa passare inosservati, come se quell'aggiunta di formaggio o di spezie alla fine non fosse sufficiente per spingere fuori dal recinto delle paste tristi, come se la mancanza di colore lo fosse anche di sapore.
Niente di più sbagliato: basti pensare allo Spaghetto tonico di Gianluca Gorini quasi un predessert, amaro e acido per quel beurre blanc alla genziana, con bergamotto candito e caciotta, in cui il formaggio serve ad ammorbidire e bilanciare un gusto deciso che mette un punto alla parte salata del menu. L'elemento inatteso che accarezza appena la pasta è il lievito di birra dello spaghettone di Riccardo Camanini a Lido 84, unici elementi insieme al burro: un piatto di disarmante semplicità, elogio di sapori familiari, evocativi, eppure inediti, che insieme fanno emergere un imprevisto gusto dolce e acido.
Tutt'altro giro di sapori è la pasta in bianco del Lab 2021 di Mauro Uliassi, in cui protagonisti sono l'aringa e tutti gli ingredienti usati nella lavorazione: brodo di aringa preparato con scarti, ricotta di mare realizzata con il latte usato per dissalare l'aringa e così via. Il risultato è un piatto bianco come il latte, intenso, marino, profondo, ma anche morbido.
Con le cacio e pepe, poi, è si apre un mondo: tra tutte le varianti del caso, prendiamo quella alla brace di Errico Recanati da Andreina - cacio e 7 pepi - e quella di Paolo Lopriore che inverte l'ordine degli addendi per un risultato che cambia e pure tanto (pecorino sotto, cremina e pepe dentro i rigatoni e via discorrendo), e a proposito di elementi nascosti alla vista c'è stata, qualche tempo, fa la Pasta senza niente dentro di Alberto Gipponi (che al carboidrato dedica un intero menu da Dina a Gussago) che presenta un piatto di pasta fredda e apparentemente scondita – come lo voleva il figlio dello chef e infatti anche il piatto rimanda a quelli dei bambini – che nasconde una crema di aglio, parmigiano e burro. La pasta, poi, è spennellata con grasso di pancetta. Sempre Gipponi ha firmato il menu Bianco su Bianco, che declina diverse sfumature il non colore, bianche anche le trofie al pesto, la pasta sale mandorle e limone e il cannellone d'aria, servito vuoto e accompagnato da gelato al tartufo.
Ai ricordi d'infanzia si rifà anche Giuseppe Iannotti di Kresios, e anche se la sua non è esattamente una pasta senza niente, crediamo che conquisti di diritto un posto in questa carrellata: la pastina con il formaggino, anche questa con stoviglie da bambini, ha crema di cagliata di latte e panna di bufala, suadente e ricchissima al posto del formaggino. Facciamo un'ultima deroga per dare voce a un piatto in bianco che è tra i simboli della cucina tricolore all'estero: le fettuccine all'Alfredo, piatto che registra anche un'annosa diatriba sulla sua paternità. Si tratta di pasta burro e parmigiano, tanto domestica quanto golosa, un piatto da bambini, confortante e avvolgente, con le note dolci della pasta all'uovo e del burro e il tocco umami del parmigiano, una pasta rassicurante ma ricca di sfumature; uno dei regni capitolini della spesa d'autore, la Salumeria Roscioli, da anni ha in menu la Burro e Parmigiano "Francescana": rigatone con burro francese affiorato, tris di parmigiano di Vacche Rosse 36 mesi, parmigiano di Bruna alpina 30 mesi, Parmigiano Reggiano 36 mesi di collina - per Diego Rossi di Trippa, invece, l'ingrediente segreto è il brodo di pollo. Provare per credere.