Lì dove è nata la cucina contemporanea è tempo di celebrazioni ma anche di riflessioni. La 23° edizione del congresso Madrid Fusion è l'occasione per celebrare i 30 anni di quella rivoluzione che avrebbe cambiato le sorti della gastronomia mondiale, un terremoto di idee e sperimentazioni che ha avuto il suo epicentro in Cala Montjoi con il leggendario elBullli che ha lasciato un'eredità ancora oggi non ignorabile, ma è significativo che proprio in questa occasione si tirino un po' le fila di quanto è stato e di quel che è rimasto di quell'esperienza così fondamentale. C'è bisogno di capire, etichettare, perfino eventualmente superare.
La Catalogna è la regione ospite dell'evento con la presenza ubiqua dei fratelli Adrià che di elBulli furono i creatori, ma è il direttore di Madrid Fusión, Benjamín Lana, che ha precisato che questa edizione «deve recuperare quella rivoluzione culinaria di cui siamo tanto orgogliosi, che ha cambiato il paradigma gastronomico a livello globale e che a volte sembriamo dimenticare». È il momento di segnare con inchiostro indelebile quel momento in cui «la cucina ha infranto i suoi limiti lavorando insieme alla scienza, alla fisica, alla chimica e alla creatività, perché la polvere del tempo cade molto velocemente sulle cose e deve essere rimossa affinché una nuova generazione che non l'ha vissuta possa riconoscerla ed ereditarne lo spirito». Affinché non cada nell'oblio, affinché non se ne confondano gli insegnamenti, è anche per questo che si sente l'esigenza di dare un'etichetta definitiva, prima che la diano gli altri. Chiamatela dunque new nouvelle cuisine, o cucina tecnoemozonale, dategli un nome, per favore, e poi andiamo avanti. Serve per mettere un puto, per non perdere la memoria, ma anche per chiudere un capitolo e aprirne un altro.
Bisogna tornare al menu alla carta?
Sono passati 30 anni, e i tempi devono proprio essere cambiati se in Spagna, proprio in Spagna ci si chiede se non sia arrivato il momento di tornare al menu alla carta abbandonando il degustazione, uno dei lasciti più visibili dell'era eBulli. Non quel set di antipasto primo e secondo, ma il percorso fatto di 20 o più bites, piccoli bocconi condensati di sapore e idee, provocazioni emozioni e invenzioni tecniche che sintetizzano il lavoro dello chef e della sua brigata, la visione della cucina e l'oggetto delle ricerche. Ci pensa proprio l'altra faccia del elBulli ad affrontare la questione. Albert Adrià, che a differenza di Ferran è ancora immerso mani e piedi nella ristorazione. Archiviato ormai per sempre elBarri, il gruppo di ristoranti che comprendeva Tickets, Pakta e le altre insegne rovinosamente cadute sotto i colpi della pandemia, il più giovane dei fratelli Adrià è oggi a capo di Enigma, strabiliante ristorante di Barcellona, unico di sua proprietà, quindi salvatosi dal fallimento del gruppo. Oggi Albert lo si trova sotto il soffitto lunare di quell'antro glaciale e ultraterreno dove mette in scena la sua cucina spettacolo. Un'infilata di piatti e piattini, bocconi che accolgono o strattonano secondo un ordine studiatissimo. Un modello che pareva inevitabile da questa parte del mondo (mentre in Italia è stato spesso messo in discussione), e invece no: è proprio lui, con lo chef Juanlu Fernández (Lú Cocina Alma), la giornalista Cristina Jolonch, e chiamato a rispondere alla domanda: È finita l'epoca dei menu degustazione? È il ritorno del menu alla carta?
Il cliente al centro dell'esperienza
Quel che è certo, è che non è un momento facile per questo tipo di proposta: le persone non le amano più come un tempo un po' perché il tasting menu viene vissuto come una coercizione che rende i clienti meri spettatori senza possibilità di scelta, un po' per una questione di tempo: «Ci sono clienti che la prendono come un'esperienza che possono prolungare all'infinito e altri che mangiano in mezz'ora». Ma sebbene il degustazione sia una dichiarazione dell'identità dello chef e permetta di offrire piatti che sarebbe impossibile inserire in un menu standard, e a cui sarebbe difficile anche dare un prezzo e giustificarlo (un boccone, una dose minima, per quanto concentrato di emozioni, può costare a 22 euro?), ora è l'ospite a dover essere al centro dell'esperienza: «Bisogna saper dare al cliente ciò che desidera» commenta Adrià.
"Con Enigma ho perso un anno"
Detto da lui pare un cambio di prospettiva radicale, di cui – a guardare bene – se ne avevano avute avvisaglie già qualche tempo fa. Quando – alla riapertura di Enigma nel post Covid – aveva deciso di mantenere il modello gastronomico del Tickets dove il cameriere cercava di fare un percorso su misura con il cliente, si componevano menu sulla badse della carta, ma le economie non reggevano: Tickets aveva 80 coperti e 95 dipendenti, c'erano tavoli grandi, famiglie, bambini, anziani, le persone lo adoravano, molti venivano una volta al mese, alcuni clienti aspettavano mesi pervenire a cena e spendevano una media di 40 euro, ma con quei numeri poteva permettersi 15 persone che a 40 euro a fronte di altre 20 con conti da 300 o 400 euro. Da Enigma, con 40 coperti e 60 dipendenti, è diverso: «Ho buttato un anno» ammette. Allora è tornato sui suoi passi, togliendo la carta e lasciando il menu degustazione da oltre 20 passaggi, che obbliga a un ritmo sostenuto la cucina: «La velocità quando si fa una proposta di 30 portate è estremamente importante». È quello il punto, il tempo è una tirannia, e bisogna adattarsi al ritmo dei clienti, il primo controllo da fare è quello. In questo elBulli era insuperabile, una coreografia perfetta. E poi il cibo: «A volte la quantità di cibo ti distrugge, almeno in Spagna», quelli che chef Fernández a volte li chiama menu disgustazione. Adrià firma menu di grande leggerezza: «Perché il cuoco di Enigma, che sono io, soffre di problemi di digestione, è normale che faccia una cucina cristallina».
Il menu degustazione e le alternative
Per chi ha poco budget è molto più economico fare un menu degustazione piuttosto che mantenere una carta; ti permette stabilità, il controllo degli acquisti, una proposta solida. E anche la possibilità di creare un linguaggio diverso che attragga le persone desiderose di vivere un'esperienza inusuale, una grande serata che si vive una sola volta l'anno, quando non una sola volta nella vita. «Per qualcuno è come un film che si pensa di aver già visto, ma se non è così: anche se non cambio menu, seguo molto la stagionalità, e cambio anche il 50% dei piatti in due mesi. Con questo modello si perdono i clienti abituali, quelli che vendono anche una volta al mese» ammette Adrià. Che aggiunge: «Bisogna reinventarsi continuamente e mantenere alte le aspettative di quei clienti, che non sono molti, che vengono spesso per i nuovi piatti nel menu». Oggi però non è più così facile: allergie, intolleranze, motivi di salute, religione, manie costringono a fare praticamente due menu degustazione. «Ho iniziato a fare il vegetariano e ho dovuto toglierlo perché lo sforzo che rappresentava per me fare un menu allo stesso livello dell'altro, era enorme; avevo tre o quattro cuochi solo per quello. Quindi, per vendere 8 o 10 menu a settimana, non valeva la pena». Quindi il degustazione dà più problemi che vantaggi? «No, è ancora un male necessario»; ma bisogna cedere il passo ad alternative più flessibili ».