Ci sono Ferran, René, Massimiliano. Nomi di peso, di quelli che non avrebbero bisogno dei cognomi (li aggiungiamo, solo per amor di cronaca: Adrià, Redzepi, Alajmo): un parterre di rango con Luca Iaccarino maestro concertatore di un incontro ai vertici sul tema della creatività in cucina. Incontro a tre, almeno in teoria, monopolizzato dall'esondante bulimia espressiva di Adrià che ha rubato scena e parole ai colleghi.
L'occasione, in apertura di Buonissima 2023, la consegna del premio Bob Noto, con il passaggio del testimone da Alajmo a Redzepi, “una leggenda, un po' come Messi o Pelè” fa lo spagnolo come in un'investitura dall'alto. Occasione per un succulento confronto sul tema di quest'anno: la creatività in cucina, quella che “non è un processo di rivisitazione, altrimenti sarebbe fine a sé stessa, mero esercizio di stile, ma è la capacità di inventare e segnare percorsi” si legge nella motivazione del premio. E René Redzepi, con la sua Nuova Cucina Nordica ha creato un movimento capace davvero di segnare un'epoca insegnando a esplorare con sguardo nuovo il territorio, a vedere cibo dove prima non c'era, in una lectio magistralis applicabile in ogni latitudine (pur con l'inevitabile e scriteriata emulazione e l'abuso di fermentazioni e ingredienti nordici).
La sua è “una creatività talmente coraggiosa da saper mettere in discussione persino il format stesso di ristorante così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi". Il riferimento è all'annunciata chiusura del Noma che rinascerà in forma di lab; ennesima evoluzione del ristorante di Copenaghen che ogni volta pare rinascere dalle proprie ceneri. Si tratta di una pausa necessaria: “abbiamo iniziato a lavorare per dieci anni con le stesse cose, si è creata una sorta di ripetizione, quasi un lavoro di fabbrica, e quando si lavora 80 ore a settimana in una fabbrica, diventa noioso molto rapidamente: la creatività è un pozzo che può prosciugarsi, servono pause rigeneratrici”, spiega Redzepi.
Redzepi: la creatività è sentirsi vivi e spingersi oltre i limiti
Codifica, ispirazione, ricerca: ognuno ha la sua chiave di lettura sul processo creativo. Se il maestro catalano, oggi lontano dalla cucina e sempre più interessato alla monumentale opera di catalogazione e alla celebrazione del suo straordinario lavoro, trova nella codifica del metodo il fulcro della creatività, per Massimiliano Alajmo il dialogo con i maestri – uno su tutti Gualtiero Marchesi che "ha portato la cultura in cucina" – è un elemento di ispirazione, mentre per René Redzepi l'innovazione è dentro le persone, è sentirsi vivi, spingersi oltre i limiti, saper cogliere le opportunità quando ci sono.
Nel difficile confronto tra il maestro assoluto della cucina moderna e il resto del proscenio sono evidenti i segnali di un cambio di traiettoria. Quella che all'epoca tutti chiamavano molecolare – ma che lo stesso Adrià suggerisce di chiamare tecnoemozionale, secondo la definizione di Pau Arenos – ha aperto la porta della cucina a certe invenzioni scientifiche, ha portato la meraviglia sulle tavole e i menu sconfinati che procedevano boccone dopo boccone, dall'amuse bouche alla piccola pasticceria con virtuosismi talvolta impervi. Oggi quella è solo una delle strade possibili, un modello ormai poco praticato: la tecnica è tornata a essere uno strumento, i menu si assottigliano, l'understatement dilaga nelle scelte stilistiche anche grazie a Redzepi&Co. È vera creatività? Per Adrià i ristoranti veramente innovativi nel mondo sono meno di 10 su 7 milioni. Non è dato sapere quali.
La creatività è un fatto intimo
Parlare di creatività con Adrià significa, inevitabilmente, confrontarsi con elBulli, il leggendario ristorante trasformato in un museo (attualmente chiuso, riaprirà a maggio 2024). Parlarne con Redzepi oggi significa ragionare su come limiti, ostacoli, prospettive possano influenzare il lavoro, sulla difficoltà di mantenere l'ispirazione, ma anche sui passaggi fondamentali del Noma, quelli che hanno rivoluzionato la cucina mondiale: “l'esplorazione di tutto ciò che è commestibile nel nostro paesaggio, da un verme a un fiore, da una farfalla a una radice, e una seconda fase in cui abbiamo iniziato a lavorare con lieviti, muffe e batteri per creare nuovi sapori”.
Ma oltre a questo, c'è stato un grande rinnovamento negli standard di servizio - “volevamo che gli chef servissero tutto il cibo” - nell'estetica del ristorante, nella cantina, orientata sin dai primi anni verso i vini naturali: “la maggior parte delle persone odia i vini naturali” commenta. Oggi il Noma è una struttura enorme con quattro cucine all'opera: un laboratorio di fermentazione con cinque persone che lavorano su processi a lungo termine per creare nuovi sapori; una cucina di prova che interagisce con il laboratorio di fermentazione e con chi si occupa dei prodotti – tre persone tra cui due foragers - una cucina di servizio e una di produzione in cui si elaborano le idee e si scrivono le ricette: “ ma alla fine le ricette, ovviamente, sono solo delle linee guida molto forti. È il cuoco che deve creare la magia”.
E ora cosa rimane di tutto questo? Di tutto il successo degli ultimi anni e di tutta la responsabilità che ne consegue? Il vero punto è come liberarsene: “lavorare come se non si avesse nulla da perdere, senza aspettative, senza guardare indietro a ciò che si è già fatto, senza diventare la caricatura di se stessi”. Difficile: “dobbiamo chiudere e non sapere se riapriremo mai nello stesso modo per costruire nuove fondamenta, avere nuove energie e nuove prospettive, una nuova mentalità". Ecco la ricetta di Redzepi per la creatività.