Ci sono insegne che non dovrebbero chiudere mai e che, purtroppo, devono invece arrendersi ai casi dalla vita, agli imprevisti, alla salute che tradisce all’improvviso, lasciando una quantità di orfani, non solo di buoni e golosi bocconi ma, soprattutto, di belle atmosfere, accoglienze amorevoli ed emozioni che, in fondo, sono le cose che contano e che tutti cerchiamo
Uno di questi è Ai Cacciatori, la bella, storica, premiatissima trattoria di Daniele Corte (“Danel” per tutti, classe ‘51, 72 anni a novembre) e della moglie Angelina Zecchini, che esattamente un mese fa ha cessato l’attività, lasciando un vuoto non solo a Cavasso Nuovo, la località in provincia di Pordenone famosa (anche) per la sua unica cipolla, ma soprattutto fra gli innumerevoli affezionati clienti, amici prima ancora. Una chiusura che è un piccolo dolore.
Ai Cacciatori, ristorante molto amato, chiude i battenti
Insegna amatissima, luogo del cuore e della tradizione, dell’amore e del territorio, della cucina semplice e perfetta, Ai Cacciatori era da 15 anni fra le migliori trattorie d’Italia per il Gambero Rosso, mentre la guida Slow Food la insigniva con il simbolo di eccellenza, la Chiocciolina, e la Michelin le assegnava il Bib Gourmand, per l’ottimo rapporto qualità-prezzo. Ai Cacciatori spegne luci e fuochi perché Daniele – dopo problemi di salute, grazie a Dio superati, ma che gli hanno tolto l'energia - non è più in grado di fare quello che ha sempre fatto, padrone di casa come pochi, regista e anima instancabile del bancone e della sala, uno dei motivi - certo, non il solo - che aveva fatto grande la trattoria. E perché senza di lui Ai Cacciatori (lo pensavano tutti, a cominciare dai suoi stessi dipendenti) non era e non sarebbe più stata la stessa cosa. Così, il 30 giugno – e mentre ne parla, ricorda e racconta gli sale un groppo in gola –, Daniele si è arreso: “Speravo che i miei dipendenti volessero continuare l’attività, l’avrei ceduta a loro, ma niente da fare. Io non ce la faccio più, mi sento un miracolato ma non sono più in grado di tenere i ritmi che servono”.
La storia del ristorante, come nasce “Ai Cacciatori”
Tutto era cominciato agli inizi degli anni settanta: nativo di Torviscosa (Ud), a 15 anni Daniele suonava già la batteria, girava il mondo, sognava di diventare Ringo Starr, e capitò per caso a Cavasso Nuovo, dove lo avevano chiamato in una balera a sostituire un collega ammalato per un concerto. Incontrò Angelina, se ne innamorò. Era il 2 novembre del 1970, lui se lo ricorda ancora, come fosse oggi. Cinque anni più tardi erano marito e moglie. La storia de Ai Cacciatori inizia invece nel 1977, l’anno successivo al devastante terremoto del Friuli: “Costruii un prefabbricato a spese mie, in piazza, con i materiali forniti da mio suocero e cominciai ad offrire cicchetti, ombre e fritturine”.
Il locale si chiamava Osteria Mocambo (tre anni prima Paolo Conte aveva scritto “La ricostruzione del Mocambo”, una delle sue tante intuizioni poetiche, e chissà se per il nome Danel si era ispirato alla canzone del maestro). L’idea funzionava, il prefabbricato, poco più che una baracca, due anni più tardi divenne una trattoria ma da un’altra parte del paese, in Piazza Vittoria Emanuele, il Là di Danel, cioè “da Daniele” in friulano. Angelina cominciò a cucinare, e da autentica autodidatta sarebbe diventata una bravissima cuoca: “Ce l’aveva nel sangue senza saperlo, ora mi fa da badante” sorride. Il 1992, dopo una breve esperienza da dipendente al Picaròn di San Daniele (“Mi servì per imparare, per diventare più bravo”), l'occasione da prendere al volo: subentra nella gestione di un’osteria di parenti della moglie, con vendita di tabacchi e “coloniali”. Nasce la Trattoria Ai Cacciatori.
La cantina e i piatti tipici
Danel - "oste per amore" - cominciò a girare per il territorio, a cercare cose buone, a costruire una cantina sempre più bella e importante “Che piano piano sto smaltendo, soprattutto ad appassionati, dice Danel, ma qualcosa per me lo tengo perché un goccio ogni tanto mi è permesso”, capace di accompagnare (e a prezzi onestissimi) le meraviglie che uscivano dalla cucina, frutto del talento di Angelina: Gnocchetti di pane e farro con sugo di cinghiale, Blecs di grano saraceno o castagne con ragù di lepre o di agnello, Risotto con Scjaglin (vino bianco autoctono dello Spilimberghese) e formadi frant, Tortelli con il radic di mont, il radicchio di montagna, la celeberrima Pitina della famiglia Bier.
E, passo dopo passo, anno dopo anno, a mettere in piedi quello che sarebbe diventato uno dei più importanti riferimenti della grande cucina italiana di paese. Un’insegna senza stelle, eppure luminosa come poche.
a cura di Claudio De Min con la collaborazione di Bepi Pucciarelli