A quasi due anni dall’inizio della pandemia, siamo arrivati a una consapevolezza: il mondo di prima non esiste e non esisterà più. Il cambiamento è però soggettivo e per molti questo periodo è stato occasione per rendersi conto che la giostra stava girando troppo vorticosamente, e approfittare dello stop per scendere. Per altri al contrario sono stati passi indietro, ma solo per prendere la rincorsa e ripartire. Sono molti gli esempi di strutture che in questi due anni hanno cambiato direzione, mettendo a fuoco proposte e scrivendo nuove traiettorie. Talvolta intercettando percorsi tangenti, come nel caso del ristorante e di Villa d’Amelia, che rinasce dal suo passato scommettendo sulla crescita di un giovane cuoco come evoluzione di chi lo ha preceduto.
Villa d’Amelia
Il Villa d’Amelia sorge nel cuore delle Langhe, circondato da splendidi noccioleti, con una magnifica vista sulle Alpi e sulle morbide colline del Barolo. Posto tra le mura di un antico podere ottocentesco conosciuto come la Cascina Bonelli, è divenuto struttura d’accoglienza dopo un restauro rispettoso delle proporzioni originali e dei corpi architettonici preesistenti, come la chiesa privata della famiglia, oggi adibita a tempio pagano dei vini, nella sua nuova veste di cantina. La famiglia Barberis che ne ha preso la proprietà lo ha trasformato in un relais da 37 camere e suite, con tanto di Spa e il ristorante, che merita un racconto a parte, che comincia con un nome, quello di Damiano Nigro, che con il relais ha stretto un legame intenso nel corso degli anni.
Da Damiano Nigro a DaMà
La liaison tra lo chef che dal 2006/2007 al 2020 ha gestito il fine dining del Villa d’Amelia e la struttura è stata talmente forte da far scegliere alle parti in causa il nome del cuoco per l’insegna del ristorante. Una scelta di cui nessuno si è mai pentito, ma che oggi impone di ripartire con un progetto nuovo: Nigro ha infatti lasciato Villa d’Amelia per seguire la propria strada, e ben sapendo che l’eredità del ristorante con il suo nome si sarebbe esaurita con lui, ha voluto che il suo lascito fosse principalmente umano, accompagnando Dennis Cesco – già suo braccio destro, classe 1993 - nella gestione del neonato DaMà.
DaMà non è un nome nuovo: così era indicato il secondo outlet ristorativo della struttura, ma in questo 2021 di ripartenza, si è voluto unire le due proposte e metterle in mano a chef Cesco, che da qui vuol ripartire per creare una proposta che sia piena espressione della sua personalità.
Dennis Cesco
Il suo percorso si muove tra Langhe e Francia, dove ha lavorato con chef Alain Solivérès a Le Taillevent (2 Stelle Michelin) prima, con Yannick Alléno al Pavillon Ledoyen (3 Stelle Michelin) poi, dove si è avvicinato anche al mondo di fermentazioni ed estrazioni. L’ultima esperienza in Francia, prima di tornare alla base di Villa d’Amelia, è stata con Christoph Pelé a Le Clarence Paris, 2 stelle Michelin. Oggi è alla sua prima prova da solista, che affronta senza timore, sapendo di aver avuto grandi insegnanti, soprattutto uno, come lui stesso racconta: “lavorando con Damiano Nigro, che considero il mio maestro ho capito il valore delle parole tenacia, tecnica e dedizione" racconta"Dopo i primi due anni al Relais, ho però sentito l’esigenza di migliorarmi ancora, studiando con i maestri francesi”. Una tappa fondamentale: “ho avuto l’opportunità di capire l’importanza della qualità del prodotto, delle tecniche di preparazione e del giusto equilibrio tra gli ingredienti; soprattutto” continua “ho visto come interviene la creatività dello chef nella rivisitazione delle ricette. Questi sono ancora oggi i punti cui mira la mia visione della cucina”.
Cosa si mangia da DaMà
La nuova proposta di Dennis Cesco al ristorante DaMà ha come voce principale gli ingredienti di un territorio integro, come quello dell'Alta Langa, con prodotti autentici da cercare tra pastori e piccoli allevatori. E poi ci sono le paste, realizzate con farine locali accuratamente scelte. Elaborato tutto con grande tecnica, quella appresa tra Italia e Francia.
Varie le proposte degustazione: dal menu Tradizione che assorbe in parte la proposta del bistrot con piatti tipici (vitello tonnato, plin ai tre arrosti, guancia di Fassona e bonet) al più audace Menu dello Chef, con piatti come salmerino e pancetta, cappelletti di gallina e stracciatella, o rombo al BBQ e le sue uova. C’è spazio anche per due menù polarizzati ovvero il Selvaggina (con cose come terrina di capriolo, carpaccio di cervo e ricci di mare, lasagna di lepre, piccione) e vegetariano (cardoncello, rapa rossa e castagne, royale di topinambur con nocciole e mela verde, bottoni di ricotta, erbe e latte bruciato, millefoglie di sedano rapa e tartufo nero). Ad affiancare il tutto un’ottima carta dei vini, che ovviamente parte da un nocciolo regionale estremamente spesso, senza però disdegnare voli oltre le Alpi e verso il Mediterraneo.
Questo autunno-inverno è il primo menu del Damà, quello da cui in poi potremmo goderci la crescita di questo giovane cuoco, che si trova a ripartire con entusiasmo dal punto di tangenza, per poi allontanarsi in una direzione sempre più personale, com’è bello che sia.
a cura di Federico Silvio Bellanca