Mentre cento metri sotto di me la materia conosciuta viene scomposta nelle sue particelle fondamentali più infinitesimali, sto scommettendo con me stesso su quale Magnum sceglierà lo studente indiano. Il ristorante R1 del Cern è una mensa aziendale "evoluta": tre banconi centrali per il buffet fresco, un altro per i dolci, uno dedicato esclusivamente alle sei tipologie di pane. Tutt’intorno banchi che dalle cucine servono le portate calde: primi, secondi, cucina vegetariana, fritti. Il reparto che ha i due forni elettrici per la pizza è quello con più coda. Ma lo studente indiano è al frigorifero. Chiamarlo frigorifero è un forte incoraggiamento per il resto della categoria dei frigoriferi: dentro, ordinatissimi, ci sono tutti i gelati dell’intero catalogo Algida. Ghiaccioli, gelati a stecco, coni, monoporzioni. Accanto allo studente immobile, fisici e ingegneri da tutto il mondo discutono su chi farà la prima partita a biliardino, quale gioco da tavola prendere dal grande mobile pieno di scatole in fondo alla sala, se sedersi a mangiare ai tavoli della mensa o in veranda.
Pranzo al ritmo di ping pong e biliardino
Il ritmo cadenzato delle palline da ping-pong fa da sottofondo a ogni discussione. Sono persone dalle giornate lunghe e dai ritmi trascendenti: riunione con premio Nobel, ricerca, ricerca, biliardino, Dixit, ghiacciolo al limone e poi pc acceso fino a notte fonda. Credo sia per questo che Nashua da cinque minuti è fermo a scegliere il gelato. Non sta solo decidendo cosa mangiare: sta studiando come indirizzare la giornata. Passano altri secondi sterminati, poi alza il braccio e solleva lo sportello del frigo. Sfiora con le dita i Magnum al cioccolato bianco, ancora tenacemente titubante, ma i polpastrelli scattano all’ultimo: afferra un Magnum classico e se lo porta via sul vassoio del pranzo. Ho perso.
Franco mi passa davanti in tutta fretta e mi sorride: credo che lo diverta la mia curiosità. Mi fa segno di seguirlo mentre risponde contemporaneamente in italiano, francese e inglese a più domande di più camerieri.
I valori del Cern e la zona Vip
Franco è il maitre responsabile della zona vip: tre sale separate dalla quella grande dove ambasciatori, presidenti e direttori si incontrano, discutono, mangiano. «Due i valori fondamentali. Uno è la discrezione», racconta spalancando le porte della cucina vip, costruita in un’ala a parte da quella che ospita la mensa comune. «Chi viene a mangiare qui deve potersi fidare. L’altro maitre con cui lavoro è in sala vip da 22 anni: gli ospiti gli danno del tu. Secondo valore: l’ospitalità. Sappiamo ogni dettaglio delle esigenze di chi viene a mangiare da noi. Dieta religiosa, regime alimentare, sapori preferiti, cultura di provenienza… segui Jerome, ti vuole portare di sotto».
Jerome è il direttore responsabile del reparto alimentare e quando passiamo accanto alle prime forme di pizza da infornare si bacia la punta delle dita e mi guarda: «Meraviglioso, n’est-ce pas?»
Due rampe di scale sotto alle cucine si trovano i laboratori del fresco: cespi di insalata raccolti uno alla volta da carrelli colmi di verdure, vengono lavati, sfogliati, disposti come carta paglia intorno a bouquet di carote, zucchine, germogli di soia, cetrioli. Su lunghi banchi lucidi di alluminio vengono assemblati poke, risi freddi, insalate di patate alla tedesca. Mi districo tra i portavivande mobili che mi sfrecciano davanti apparendo e sparendo come in un cartone animato: le foglie di rucola schizzano gocce d’acqua che rinfrescano e insaporiscono l’aria del laboratorio.
Dal self service alla Fabbrica dell'Antimateria
Quando l’ascensore che ci riporta al piano terra si spalanca sulla zona bar, il profumo di burro e di cannella ci avvolge.
Jerome è già lontano, a controllare i cinnamon roll, i croissant, i waffle: sistema i tobleroni personalizzati con il logo CERN sugli scaffali della cassa. Sto fotografando ogni cosa perché il mio debito in fisica del quarto superiore mi conferma che non rimetterò mai più piede qua dentro, ma mentre esco dall’R1, dopo un paio di curve, leggo questa grande insegna blu: “Fabbrica dell’antimateria”.
L'enigma della pizza e le cime di rapa "da giù"
Qualcuno, attraversando la pioggerella che sta bagnando le strade, mi fa cenno e mi viene incontro: Nicola Minafra, di Bari, è ricercatore alla Kansas University. Si è preso mezz’ora libera per passeggiare con me in fabbrica, indicandomi il circuito meccanico dove protoni ad alta energia vengono sparati su un target di litio per produrre particelle di antimateria. Non aveva davvero mezz’ora libera, in realtà. «La cucina qui… mhhh. Sai che la cucina francese non fa per me? Tante salsine molto grasse e troppo invadenti come sapore. Se mangio in mensa prendo le insalate, c’è tanta scelta e sono belle ricche. È anche comodo: al buffet puoi prendere quello che vuoi e poi ti pesano il piatto».
«La prendi la pizza?»
«Eviterei la pizza. Ma stando qui ho cominciato a migliorare in cucina, sai? Da barese mi mancano le orecchiette con le cime di rapa: a casa ovviamente le faccio fresche, ma non reggono neanche una mattinata nel tupper. Se devo andare a lavoro uso pasta secca».
«E dove le prendi le cime di rapa?» gli chiedo, mentre prepara due caffè.
«Non sempre eh, ma sì, si trovano a Ginevra! Ogni volta che le vedo in giro – o quando vengo in Italia – faccio il carico e congelo. Spesso nel weekend cucino per un esercito e poi congelo le porzioni. Pasta al forno e lasagna sono invenzioni stupende anche per questo. Come la focaccia! Ma quella di solito non avanza».
La ricercatrice e la sua ode all’entrecote
Mentre la pioggia continua a battere sul tetto, Nicola versa il caffè per me e per la sua collega: mi parla di pizza, di come ha scelto il suo forno, di come si fa spedire la farina apposta da casa. Mi regala adesivi che ha in laboratorio, penne, locandine, un cappellino del CERN: gli dispiace che non mi entri altra roba nello zaino. Lo saluto solo quando l’autista della navetta scende dalla vettura per dirmi – per la terza volta – che siamo in ritardo.
Usciamo dal centro, verso il centro scientifico dell’istituto: il Science Gateway, progetto di Renzo Piano, è aperto al pubblico. I flash degli smartphone illuminano le opere e gli esperimenti in mostra: turisti da tutto il mondo giocano con riproduzioni in scala dei test condotti al CERN.
Seduta a un tavolo, con alcuni bambini che si allontanano saltellando, c’è Sonia Natale. Conferenze in tutto il pianeta, ricercatrice del CERN, sta cercando di spiegarmi come funziona l’acceleratore con un modellino in miniatura, colorato.
Sonia non si preoccupa del tempo, non le danno fastidio le domande, mi racconta della vita qui.
«Uno dei miei “must” nei primi anni qui al CERN era l’entrecote! Te la cucinano come vuoi: bleu, saignant, à point o bien cuit. E poi il caffè: i ristoranti sono 3 ma l’R1 è aperto h24 e questo significa “un bel posto dove restare svegli se passi la notte qui”. Anche se, quando mi sono trasferita al CERN, ho subito imparato che il nome di un piatto non corrisponde alle aspettative di ciò che si è abituati a mangiare a casa, a cominciare proprio dal caffè che aumenta in dimensione e si diluisce in gusto».
La carbonara "sbagliata" e altre imitazioni
Smonta e rimonta il modellino alternando cucina e fisica delle particelle. Mi parla di casa, Sonia. «Il ristretto qui semplicemente non esiste. E la carbonara: molto spesso, anche in città, diventa una “pasta con la frittata”... tra romani ci capiamo, vero? – mi dà il gomito, torna al modellino – Nonostante tutto ciò, non ho affatto un giudizio negativo. Mi piace viaggiare e penso che la comprensione profonda di un Paese passi anche – forse soprattutto – attraverso la conoscenza del cibo tipico e di come viene cucinato. Non mi aspetto mai cucina italiana quando sono in viaggio e anzi, tendo a scegliere i piatti tipici di dove mi trovo: mi permettono di scoprire. Però continuo ad avere voglia di maritozzo alla panna. E del brodetto di pesce alla Vastese… ma mi rifaccio appena riesco a tornare in Italia!»
Cheesecake e macaron: tutti al Big Bang Café
Al piano terra del Gateway c’è il Big Bang Café: fette di cheesecake ai frutti rossi e piattini di macaron vaniglia e lampone vengono assaliti da comitive di studenti. Molti hanno gli elmetti del CERN: si possono prendere come souvenir. Ne ho comprati due anche io.
Francesco Pinzauti, anche lui ricercatore, sta facendo il suo turno come guida del centro scientifico. Non è obbligatorio: quando uno scienziato del CERN ha del tempo libero può fare richiesta al team responsabile del Gateway per passare qualche ora qui come guida. Francesco ha fatto richiesta. Mi accompagna a prendere un sandwich pollo e curry, il CURRYosity.
Lo sbocconcello cominciando a scrivere questo pezzo, partendo dal finale, con Francesco che un po’ mi parla di come si trova a lavoro, un po’ di come ha conosciuto qui la sua ragazza. Ogni tanto arriva una famiglia o un gruppo di studenti a chiedere informazioni sugli esperimenti esposti, si allontana dal tavolo per accompagnarli in giro. Il viaggio di ogni essere umano, nella sua splendida complessità, è identico unicamente a sé stesso: nonostante questo, non credo valga lo stesso per le storie che ognuno vive. E soprattutto per come poi sceglie di raccontarle.
In questi laboratori lavorano scienziati al contempo esploratori visionari e bimbi sperduti; umili di un’umiltà fiera, come se l’immensità degli spazi che scandagliano ogni giorno li abbia educati alla loro misura umana. Chissà quanti fisici durante un turno autoimposto di 16 ore, svegli di notte a studiare all’R1 sorseggiando una cioccolata calda con panna, si siano fermati un attimo, alzando lo sguardo.
Indagando su ciò che c’è di più minuscolo, quando si avverte per la prima volta l’infinita pressione dell’immenso?