“Mi tremano le gambe” esordisce Valentina Chiaramonte, dal 3 giugno (con due mesi di ritardo rispetto al previsto) chef del Consorzio di Torino, storico Tre Gamberi nella guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso, che ha saputo affiancare a una tradizione perfettamente eseguita, una cucina vigorosa e originale. “Per me è come stare al Noma, è un posto dove non avrei mai pensato di arrivare, è un pezzo di storia della cucina italiana. Ancora non ci credo che sono qui e che ci sono come chef. Sono la prima donna chef del Consorzio”. E dire che di lei, pur nella sua breve carriera di cuoca, si era parlato, e anche tanto. Una laurea in storia dell’arte, del teatro e del cinema, un lavoro nella comunicazione e una cucina di casa sempre in attività per gli amici. Poi, 10 anni fa la decisione di cominciare da capo, in cucina: l'Ifse a Torino - “il corso era abbastanza breve: avevo già 30 anni e dovevo accorciare i tempi” - qualche sporadica esperienza senza stage blasonati brevi o lunghi “non potevo permettermi di dilungarmi troppo. Forse” considera “è stato un bene, non ho riferimenti fondamentali né maestri”. La sua, spiega, è una cucina di pancia e di viscere, e tecnica, materia prima, precisione. Poi, aggiunge, sono stati i casi a portarla in giro: al posto giusto nel momento giusto, o viceversa. Torino, Catania, e ancora Torino, “per imparare e fare quello che non ho mai fatto”.
Valentina Chiaramonte: da Fud Off a Catania al Consorzio a Torino
Elisia Menduni l'intercetta nell'etere e la spinge da Fud Off, laboratorio catanese a tutto gusto e sperimentazione di Andrea Graziano, costola (oggi chiusa) del fortunato Fud-bottega sicula, “gliene sarò per sempre grata” dice. “Ero una cuoca giovane, e avevo le redini di un ristorante in cui passavano giornalisti, cuochi, personaggi da tutto il mondo. Un posto incredibile” continua sprizzando amore “Andrea mi ha buttato nella gabbia dei leoni, mi ha aiutato a gestire l'ansia, lasciandomi massima libertà di espressione e dandomi piena fiducia”. La stessa fiducia la trova in Pietro Vergano (con Andrea Gherra, patron del locale e del vicino Banco, vini e alimenti): “sono due scriteriati” sorride “il Consorzio è un parco giochi”. Di Pietro loda la conoscenza - “è un'enciclopedia” - la passione, la curiosità, la capacità di infiammarsi per un prodotto, cibo o vino che sia, il coraggio di arrivare ovunque per seguire la continua ricerca sul territorio “asseconda tutte le mie fantasie: ogni tre secondi scopro qualcosa, un produttore piccolissimo e lo troviamo. Ci divertiamo tantissimo”. Arrivata in avanscoperta a fine 2019, entrata in sordina come capopartita all'inizio del nuovo anno, il lockdown è stato un tempo sospeso in cui mettere in campo riflessioni e ragionamenti, e approfondire una conoscenza in differita, lontano dai fornelli. Complicato - “ma bellissimo” - per il nuovo chef di un ristorante con una personalità come quella del Consorzio: da una parte una i classici e rassicuranti piatti piemontesi - brasato, uovo, agnolotti gobbi – dall'altra la linea rock and roll che lo ha contraddistinto in questi anni, diventata a sua volta un nuovo classico a tutto slancio e creatività. Dopo un anno di transizione, “serviva qualcuno che partecipasse al progetto anima e cuore... è Cupido che mi ha portato qui. E loro mi hanno accolto un po' a pacchetto chiuso”.
La cucina del Consorzio e la nuova era Chiaramonte
“Dopo una presenza importante come quella di Miro, a un certo punto è giusto cambiare, e io ho voglia di stravolgere questo posto” esclama “ma sempre in funzione della sua identità”. Così le due anime si fondono in un nuovo tutt'uno. Rimangono gli evergreen del Consorzio - “i ravioli di finanziera non li toccherò mai” - il risotto alla Bergese (15€) e quel degustazione (5 portate, 36€) che è un'antologia di grandi classici. Ma poi arriva la nuova era. Quella firmata Valentina Chiaramonte (Chez Munita nel suo alter ego virtuale). Una che ha saputo impastare il suo carattere gastronomico a suon di passione, studi, esperienze e istinto puro per la cucina. E che ci ha messo su un bel po' di riflessione.
La scuola della Gestalt, con le teorie sulla psicologia della forma, suggerisce le traiettorie compositive (lì visiva, qui del gusto) perché “i linguaggi artistici si devono esprimere seguendo delle regole di composizione dell'immagine in modo che il destinatario possa fruirne nel migliore dei modi. Questo non vuol dire” aggiunge “che io faccia un'opera d'arte, ma che il mio messaggio, quello della cucina, debba seguire anch'esso quelle regole, che qui hanno a che vedere con il gusto e il modo in cui si reagisce al contatto con la materia. Così da generare lo stesso shock che si nutre di asimmetrie, squilibri all'interno di un complesso armonico perturbante”.
La psicanalisi (di matrice junghiana) suggerisce il meccanismo di emersione del profondo, una cosa che “ha a che fare con una sorta di mondo primitivo che si tira fuori durante la psicanalisi, che la terapia fa riemergere. Questo lavoro su me stessa ha fatto sì che tirassi fuori cose intime, anche nei piatti, qualcosa che in un certo senso rigurgitiamo dal profondo, ed esce fuori in tre minuti. Come un insight che passa attraverso il cibo e la materia prima”. Il piatto come la realizzazione di una favola per bambini attraverso gli ingredienti, “per me è un esercizio importante, ma se sei bloccato è difficile tirare fuori quello che sei e la psicanalisi mi ha aiutato. Una specie di liberazione, e questo poi questo si trasmette in cucina”.
La ricerca del prodotto
E poi c'è la ricerca pervicace del prodotto, vera epifania fonte di entusiasmo: “ogni prodotto ha un gusto e quindi è il veicolo di un messaggio. Sono ingredienti gli aceti, lo sono i mieli di Andrea (Paternoster, ndr), o i fagiolini. Ogni ingrediente è lì perché ha un senso, deve esprimersi per le sue caratteristiche. Rifletto sempre tantissimo sull'uso dei prodotti, sulla loro storia, sulle origini, e sto costringendo Pietro a fare un grande racconto in sala, che da Fud Off facevo direttamente io”.
Parte dallo studio del territorio e dalla conoscenza dei fornitori, naturali, spesso locali, stagionali, etici, non standardizzati. La selezione è altissima, mai paga, al Consorzio, come abbiamo imparato a conoscere anche da quella cantina bella e originale. L'imprevedibilità è uno stimolo al cambiamento repentino, alla creazione del piatto su misura del prodotto. Difficile, certo, ma fruttifero - “mi annoio facilmente” - ma poi ci sono gli innamoramenti e i punti fermi: “In alcuni momenti mi affeziono al mondo degli acidi (hanno degli aceti bellissimi, qui, quelli di Pietro e quelli di Andrea Petrnoster), degli amaricanti, oppure alla golosità, cerco ossidazioni a contrasto con i dolci”.
La cucina del Consorzio, il crudo, il cotto
Alimenti crudi o appena scottati, lavorati pochissimo per valorizzarne la qualità, nelle verdure, certo, ma anche la carne, bovino piemontese (Brarda) e pecora, capra, agnello (Varvara), con tagli minori e frattaglie: “sono primordiale, voglio toccare l'animale che è stato sacrificato ed è stato sacrificato per l'uomo. Se lo vogliamo mangiare, poi, lo dobbiamo mangiare tutto, a partire dalle viscere. Le viscere sono quelle che lo tenevano in vita”. Tra le cotture, la brace con la sua immediatezza, ha un posto privilegiato: “il fuoco è istinto puro” mentre lascia le lunghe riflessioni e le lunghe cotture ad altre preparazioni, sulla scorta di quel volume fondamentale che è Cotto di Michael Pollan, “un libro illuminante”.
La cucina come comunicazione
E poi, da tutto questo, nascono i piatti. “C'è sempre un motivo per cui tiro fuori un piatto. Non uso la parola, le foto o i video. Io cucino, è il mio strumento di comunicazione. E devo far sì che i piatti abbiamo un significato, devo avere dei motivi per farli, cerco di avere una mia filosofia, che ovviamente cambierà sempre, perché anche io come tutti cambio sempre. E poi” conclude: “ho delle responsabilità: quando fai un piatto, lo porti al cliente che poi lo mangerà, lui deve essere contento ma deve anche capire che dentro c'è un messaggio”. E in virtù di quello torna la sinergia con la sala: “voglio sapere a chi mi sto rivolgendo”, e qui riemergono gli studi in comunicazione che vogliono che si conosca il proprio interlocutore.
Cosa si mangia al Consorzio: i nuovi piatti di Valentina Chiaramonte
In 3 settimane hanno messo a punto 7-8 piatti, alla ricerca di una cucina che sia fusione unica di vecchio e nuovo, inquietante e rassicurante, e Piemonte e Sicilia, a partire da snodi condivisi: quell'acidità che in Trinacria si chiama agrodolce e in terra sabauda si tramuta in carpione, il peperone che al sud è un racconto d'estate e al nord è un sapore autunnale, capperi e acciughe un punto focale di contatto. “Parto da cose che so fare” e poi le trasforma in chiave piemontese: “qui tutto è diverso, l'aria, la cucina, gli ingredienti, tutto ha un sapore diverso, ci sono energie alchemiche diverse”. Porta con sé l'esperienza di Off - “un grande amore” - e la decostruisce per trasformarla, ritrova il cipollotto con i ricci (14€) in carta a Catania a pochi giorni dalla partenza, e via.
“Mi sono innamorata di un'animella alla brace, un po' più primitiva, ma glassata con burro nocciola e sugo di arrosto perché fosse più dolce e confortevole, un velluto in bocca. Pomodorino crudo e nespola acerba aggiungono freschezza e puliscono il palato” (15€).
Cuore di bue crudo, capperi, acciuga e caramello di peperone affumicato VIl cuore crudo (12 €) è perturbante, meno se unito a tre ingredienti simbolo della cucina piemontese: peperone (tradotto in caramello affumicato) cappero e acciuga (in crema). Mentre nella classica albese (12€) l'acidità del limone è una declinazione di mandarino cinese: “è un carpaccio molto materico di scamone frollato con olio all'aglio, kunquat in salamoia, zantoxylium che sa di mandarino cinese e anestetizza la lingua”.
Poi ci sono plin che sanno tanto di Sicilia e tanto di Piemonte; lingua e zafferano; la granita di gelsi con foglia di fico in carpione (ah, la nostalgia della Sicilia) e poi via ancora, seguendo intuito, testa, cuore. “L'ho detto già detto che mi tremano le gambe?”
Consorzio - Torino - Via Monte di Pietà, 23 - 011 2767661 - http://ristoranteconsorzio.it/
a cura di Antonella De Santis
foto di apertura Alberto Blasetti