Come e forse più della gran parte dei lettori di questa rivista, alla mia età ho ormai ingerito una quantità di calorie che mi consentirebbe di vivere a lungo, e bene, mangiando pochissimo e bevendo solo acqua. Se non lo faccio, e continuo a cenare fuori, non è per fame, ma per curiosità, passione, estetica, e bisogno di affetto.
Al ristorante non è come dal dentista
Sì, al ristorante mi piace essere coccolato, salutato, guidato, informato e intrattenuto da uno o più esseri umani, che possibilmente lo facciano per passione. Vorrei prenotare parlando al telefono con qualcuno, che mi dica anche che non c’è posto, perché detesto dover prenotare una serata tra amici con gli stessi metodi con cui compro un prodotto iper-standard come un biglietto di treno, a maggior ragione se il sistema non mi da subito la risposta. Anzi, esagero, vorrei addirittura che, siamo in Italia, non a New York, mi si facesse sedere quando c’è posto e alzare quando ho finito, soprattutto se magari sono in una serata romantica e non dal dentista.
Vorrei essere accolto da un umano
Vorrei essere accolto da qualcuno che è sufficientemente professionale da essere contento di vedermi e che mi accompagni al tavolo. Vorrei anche che questa persona, o qualcun altro/a, mi illustrasse il menu (viziato che sono, amo moltissimo il fuori menu e la disponibilità alle variazioni, che non solo sono una coccola, ma ti dicono che hai a che fare con una cucina vera, non una collezione di buste sottovuoto). Vorrei che mi chiedessero, con credibile interesse, se va tutto bene e se voglio provare qualcos’altro, salutandomi infine quando avrò pagato il conto con afflato diverso e superiore dal cassiere della Todis.
Oltre la cucina: l'esperienza
Non ho menzionato la cucina, un po’ perché, come dicevo, non andiamo per fame, molto perché, ormai, si pensa che una buona cucina, anche nella versione semplificata di una buona spesa da quei quattro distributori che hanno tutto, emendi qualsiasi standardizzazione: non è così. A parte poche tavole, buona parte di quello che mangiamo potrebbe essere preparato (e certamente consumato) a casa. Si esce, e si spende di conseguenza, anche per avere il resto dell’esperienza. Se molto sei uscito, e molto hai visto e mangiato essendo ormai non più un ragazzino, questa parte è il residuo secco del vino, quello che rimane e veramente conta. E anche la magia, che puoi trovare, democraticamente, più facilmente in una trattoria di campagna a conduzione famigliare che nel locale tutto infighettato aperto dal fondo che specula sul vostro colesterolo. Perché l’accoglienza, la coccola al cliente che non sia stata progettata da qualche stagista dell’ufficio marketing, di quelli che dicono di mettere le sedie spaiate perché così “fa casa”, è forse l’unico pezzo non monetizzabile del business della ristorazione, nel senso che non lo puoi comprare come i vini in lista o la Wagyu. È la combinazione di attitudine, se non ti piace la gente cambia mestiere, passione, giusta e attenta alla relazione, niente pipponi, please, autonomia, devo avere i margini per viziare il cliente, se sono un umile cameriere non li avrò mai. Non li hanno tutti, soprattutto se i titolari non sono presenti, come accade sempre più spesso.
L'importanza del servizio
A questo proposito, una volta la critica gastronomica badava molto meno, o non esclusivamente, agli chef e prestava la dovuta attenzione alla figura del patron/patronne, colui, quasi sempre titolare, che curava l’accoglienza e gestiva i clienti, assicurandosi che fosse tutto a posto mentre lo chef stava in cucina. Altri tempi, fatti di ristorazione più classica e centrata su una sola formula, ma assai più goduriosi.
Coccolare i clienti è ancora sostenibile nell’era del food cost? Certamente è difficile, perché manca il personale e, appunto, i titolari sono spesso assai lontani, ma pensarci non è solo romantico, è anche remunerativo, perché aumenta scontrino e fidelizzazione, soprattutto in quella fascia matura di clienti che è però statisticamente assai rilevante.
Se poi si preferisce il mordi e fuggi, allora mettete i monitor per ordinare come negli aeroporti. In molti casi potremmo non accorgerci della differenza.