Non è un fulmine a ciel sereno, l'addio di Christian Mandura ad Unforgettable, innovativo counter restaurant - un solo grande bancone da 10 posti intorno a una postazione di lavoro con un altro mini ristorante nascosto al primo piano - che aveva smosso le acque placide della gastronomia più tradizionalista con il suo format. Fa scalpore piuttosto la sequela di chiusure importanti nella Torino gastronomica, come quella di Magorabin dopo ben 22 anni di vita, o la fine di collaborazione di rango, come quella di Baronetto con Del Cambio. Da parte sua, però, Mandura aveva già dimostrato di non essere fermo a quel progetto, quando qualche mese fa lo abbiamo visto tenere a battesimo Maison Capriccioli, un ristorante di impostazione molto più tradizionale, nell'offerta gastronomica come nel format.
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La Sala di Unforgettable
Alle fine lascia Unforgettable. Come mai questa decisione?
Ci pensavo da settembre. Non è stata una decisione repentina, quindi, ma ci sono arrivato dopo mesi di dialogo costante con tutte le persone coinvolte nel progetto. Dopo 6 anni, sentivo la necessità di fermarmi.
Nessun vento di crisi dunque per Unforgettable?
No, Unforgettable è il ristorante più pieno e più caro di Torino e lo dico per tappare la bocca a chi dice il contrario. Basta provare a prenotare: prima di marzo non c'è posto, anche se allora io già non ci sarò più; il ristorante prosegue la sua attività con Stefano Mancinelli, che c'è dal primo giorno, e Sabrina Stravato che è arrivata tre anni fa.
Cosa cambierà?
L'esperienza rimarrà uguale, con un bancone da 10 posti, mentre dal punto di vista gastronomico ci sarà la loro visione, con cui non avrò alcun tipo di relazione.
E lei dove sarà?
Mi concentrerò solo su Maison Capriccioli. È un ristorante in cui credo fortemente e dove metto tutto il mio impegno e il mio pensiero, anche se lì non c'è la mia cucina, ma quella di Andrea Turchi. Darò un mio contributo da un punto di vista di presenza ma non creativo.
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La sala di Maison Capriccioli
Come sta andando?
Bene, c'è un bel movimento e le persone stanno rispondendo bene.
Sta dicendo che c'è un ritorno alla ristorazione classica?
Il contributo di un posto come Capriccioli è lo stesso che può dare un altro tipo di ristorante; per esempio un lavoro di ricerca non esclude la gastronomia classica. Sono sicuro che le due cose possano convivere e contribuire entrambe.
Però in questi giorni a Torino c'è una chiusura o un cambio chef dopo l'altro. Che succede?
Stiamo vivendo un momento complesso dal punto di vista economico e di società. Una città come Torino, super riflessiva e super innovativa, sta facendo le sue considerazioni; in base a quelle si prendono decisioni, per me proficue e straordinarie.
Tutto bene dunque?
Se uno chef che decide di cambiare progetto dopo più di 10 anni come Baronetto o dopo 6 anni come me, o se dopo 22 anni qualcuno decide di cessare la sua attività o anche se nascono luoghi come Capriccioli in cui si fa una esperienza più classica o si portano avanti progetti più innovativi, credo sia un segno di vitalità.
Facciamo la domanda più diretta: il fine dining è in crisi?
Non vedo tutta questa crisi del fine dining. Credo che sia un modello radicato e non penso morirà mai, ma non per questo dobbiamo avere paura di fare qualcosa di nuovo, ridefinire il concetto di ristorazione e accoglienza in modo da rendere sostenibile proposta gastronomica.
E tutte le chiusure degli ultimi mesi?
Non è la crisi del fine dining o del ristorante Michelin, è la crisi generale che fa sì che alcuni ristoranti devono chiudere, altri devono ridefinire il proprio business, altri invece devono aprire. Succede a qualsiasi livello ma naturalmente fanno rumore solo se questo fermento riguarda i nomi più noti. Ma tutto questo non è per forza crisi, è un cambiamento che porterà qualcosa di interessante e figo. Torino, se parliamo di questo, è molto figa.
La sostenibilità economica in alcuni ristoranti è moto precaria, però...
Siamo in un momento in cui dobbiamo farci delle domande. In base a queste prendere delle decisioni: fare qualcosa di nuovo, ridimensionarsi, sperimentare, cambiare concept. Ognuno deve definire un proprio campo d'azione per quello che vuole esprimere, e in quel disegno si creeranno energie positive che daranno un contributo inedito al territorio, ma allo stesso modo il classico fine dining continuerà vivere. È un momento molto figo, di incognita, in cui i punti interrogativi sono grossi ma sono quelli che danno la spinta.
Questo è successo anche con Unfogettable?
Alcune cose possono non essere più sostenibili. Questa valutazione mi ha fatto chiedere quanto potessi affrontare in modo sereno il 2025 in un posto come Unforgettable.
Eppure è un modello che sembra tagliare i costi: solo menu degustazione, servizio diretto al bancone da parte dei cuochi, niente tovaglia, niente spese superflue...
Unforgattable ha dimostrato di essere sostenibile anche solo con la sua attività di ristorazione. Quando abbiamo preso la stella eravamo solo 3 cuochi, ma avevamo uno scontrino medio che ripagava la forza lavoro e la ricerca sulla materia prima di un certo tipo, le cose cambiano se hai più personale o fai più ricerca.
Avete alzato troppo il tiro?
Quando abbiamo deciso di inserire figure che con la loro professionalità avrebbero inciso in maniera diretta sui costi lo abbiamo fatto consapevolmente, sapendo che non saremmo più stati sostenibili in modo diretto con il solo servizio della cena. Se hai 9 dipendenti su 10 coperti, le economie devono arrivare dalle attività parallele che ci sono proprio per la ricerca che fa. Ogni società deve capire quale è la sua mission aziendale.
Dunque non crede che nel mondo della ristorazione sia il momento di format più snelli e che un certo tipo di ristorazione sia ormai superato?
Non trovo che una cosa debba sostituire un'altra, nasceranno nuove formule di ristorazione come è sempre successo, ma tutte continueranno a dare il loro contributo. Nel 2019 quando abbiamo aperto Unforgettable la gente ci ha accolto con diffidenza, ma quando la nostra formula si è affermata non ha sancito la fine del ristorante classico. Ma poi è sempre successo: la cucina molecolare negli anni '90 non ha decretato la morte della cucina classica francese. Il pubblico può andare una sera in un ristorante e un'altra in uno completamente diverso.
Il nuovo non cancellerà il vecchio?
No. Tutto quel che è fatto bene, che è buono, contribuisce alla crescita di un territorio, nella gastronomia. Poco tempo fa Cannavacciuolo diceva che puoi fare fine dining anche in trattoria. Tutti nel loro modo possono dare un contributo.
E poi c'è la questione dell'innovazione...
Viviamo in un'epoca in cui l'innovazione è costante, quotidiana, e nelle case della gente arriva ogni giorno, queste cose vanno concretizzate. Le nuove generazioni sono pronte ad accoglierla: è una fase creativa sotto tutti i punti di vista, non solo quello gastronomico. Se un giorno parleremo gastronomia generativa, di applicazione dell'Intelligenza Artificiale al fine di creare nuove tecniche di manipolazione e conservazione degli ingredienti non significa che questo debba sostituire gastronomia più classica come quella di Capriccioli.
Parla di Intelligenza Artificiale e innovazione non a caso, dato che lavora con Reply: una grande Service Provider Tech, una realtà ad alto tasso di innovazionee tecnologia.
Con Reply ho una collaborazione da un po' di tempo. Stiamo lavorando sull'applicazione dell'Intelligenza Artificiale in ambito gastronomico, per capire come la tecnologia possa intervenire nel cibo, per esempio per creare una esperienza multisensoriale con un raggio di espressione più ampio, che non riguarda solo il gusto.
Dobbiamo pensare a un ristorante immersivo anche in Italia nel nuovo centro direzionale nell’ex Caserma De Sonna?
No, è uno spazio sperimentale in cui potremmo applicare gli studi che stiamo facendo ma non è un luogo aperto al pubblico.