«Che la ristorazione definita fine dining, per come è stata concepita nell’era contemporanea, non sia più sostenibile lo sanno ormai anche i sassi». Lapidario, Marcello Trentini, annuncia così la chiusura definitiva del suo Magorabin, dopo 22 anni di vita. Si allega così l'elenco degli addi che fanno rumore, a Torino, come quello di Matteo Baronetto dal Cambio (che non chiude ma si spinge verso un altro stile gastronomico), di Christian Mandura da Unforgettable o come la chiusura, lo scorso anno, di Spazio Sette.
Chi lo conosce bene - il Mago - sa che non è una decisione dettata dall'impeto: «Era una roba che maturava dentro da un sacco di tempo» ci dice. Già diversi anni fa non nascondeva la predilezione per forme di ristorazione più snelle – smart o funcky le definisce – fatte di piattini e vini da scoprire, ma anche cocktail (suo il marchio DelMago Drink) e musica. Proprio per questo che qualche anno fa ha moltiplicato le insegne concentrando la sua attenzione in Casamago bistrot, cocktail bar con piccola cucina, gustosa, fulminea e interessante, nella sede storica del suo ristorante e a un passo dalla nuova. A un certo punto c'è stata anche Formula, un format in cui lui contribuiva per creare una cornice adeguata a quella «versione liquida dei piatti che sono i cocktail», come li chiama lui. Non era un progetto suo, ma il suo zampino si sentiva eccome; e per chi vuol leggere i segni del futuro, lasciava già intuire la convinzione della fine del modello della ristorazione fine dining così come lo abbiamo conosciuto.
La fine del fine dining
Ce lo diceva qualche anno fa, e lo ha ribadito più volte prima e soprattutto dopo la pandemia, convinto come era che un certo tipo di ristorazione, fatto di una certa ritualità e menu infiniti, avesse ormai fatto il suo tempo. Non solo dal punto di vista dei clienti, stanchi di essere sottoposti a lunghe e costose maratone gastronomiche, ma anche da quello dei ristoratori. È un modello che richiede tantissima forza lavoro e molte ore dietro le quinte (che tradotto significa tantissime spese) a fronte di pochissimi coperti e una finestra di guadagno molto ridotta (ovvero pochi introiti). La differenza, in questa economia incerta, la fa un corollario di attività che arrivano come coda del ristorante: catering, consulenze, branding.
Tutte cose costituiscono un mosaico di piccole o grande entrate attirate dalla luce delle stelle. Quella stella che – dice – da lui è stata «desiderata, fortemente voluta, conquistata e portata tatuata sulla pelle con grande piacere per ben 13 anni». Ma tutto questo fa ormai parte di un altro mondo, un'altra epoca. Forse anche un altro contesto storico. Quel riconoscimento «al nostro amore per la filosofia dell'accoglienza» non lo rinnega, né ora né mai, semplicemente ha deciso che «il mio tempo, gli affetti, la qualità della vita sarebbero diventati una mia priorità e le regole non scritte della ristorazione gastronomica non mi appartenevano più». Ha tagliato i dread, quelli del vecchio Mago, ha lasciato i panni dello chef in giacca bianca per tornare al grembiule. «Non ho mai smesso di cucinare con cuore e pancia», aggiunge. E dà appuntamento a Casamago, dove incontrare la cucina di tecnica e istinto, una cucina surf and turf, «senza linee di confine, senza preconcetti». La cucina del Mago, ma ancora più free style e più scanzonata.
Casamago bistrot - Torino - corso San Maurizio 61/b - 011 812 6808 - magorabin.com/casamago-it