Dei fondi per sostenere la ristorazione - fortemente penalizzata dalle regole imposte dal Dpcm - si parla già da un po', con il rebus dei codici Ateco e le attese (e le falle di un sistema di sostegni basato sul fatturato dichiarato ad aprile 2019, escludendo, quindi, di fatto le attività aperte nell'ultimo anno) del Decreto Ristori e Ristori Bis di cui lo stesso Giuseppe Conte ha discusso in diretta web con Massimo Bottura. L'aggiornamento dei codici pare infinito, e proprio in questi minuti continuano a essere presentati nuovi emendamenti, aprendo speranze (e delusioni) in molte categorie: il comparto dell'ospitalità coinvolge una filiera poliforme.
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Non solo alimentare: fiorai e lavanderie. I grandi dimenticati
Se da un lato ci sono i proprietari di bar e ristoranti, dall'altro c'è una rete di fornitori – di prodotti o di servizi - a loro volta colpiti dalle chiusure ma spesso dimenticati. “I fioristi sono lasciati fuori” dice Rosario Alfino, presidente di Federfiori. Considerati parte della filiera agricola, “eravamo presenti nell'articolo 7 del Decreto Ristori, poi eliminato”. Nessun obbligo di chiusura - “ma sarebbe meglio ci fosse: la nostra è una merce deperibile, quel che abbiamo in negozio viene buttato regolarmente”: con ristoranti ad attività ridotta ed eventi bloccati, la perdita è tra l'80 e il 90%. Discorso simile per le lavanderie che si occupano dell'Horeca. Fabrizio Di Palma, dell'omonima lavanderia romana: “a regime siamo 10-12 persone con 3 furgoni per le consegne, oggi siamo in 4 con un solo mezzo”. Il lavoro si concentra prima e dopo il fine settimana: “2-3 quintali due volte a settimana” nulla rispetto a prima quando tutti i giorni si muoveva tra 7 e 10 quintali. “Siamo al 70% di fatturato in meno, ora” conclude “cerco di capire se rientrerà anche il mio codice Ateco tra quelli inclusi nel Decreto”. Mentre per le lavanderie industriali pare essersi aperta una possibilità.
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Prodotti tecnici per gelaterie e pasticcerie
Qualcuno tenta di rimodulare il suo business cercando nuovi clienti tra i privati, per altri è pressoché impossibile. Come nel caso dei fornitori di prodotti tecnici, semilavorati, basi o ingredienti professionali, come quelli per la pasticceria e gelateria: un settore da 800 milioni di euro di fatturato, con oltre 65 imprese attive, 4.000 dipendenti (diretti o meno) e un export intorno al 60%. Un comparto in cui l'Italia è leader mondiale che si rivolge, per il 95%, all'Horeca e che incide sulla filiera agricola: le aziende di trasformazione acquistano circa 220mila tonnellate di latte, 1.800 tonnellate di nocciole piemontesi sgusciate, e 3.500 di altre origini.
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La contrazione del mercato
Durante il primo lockdown la perdita è stata di oltre il 60% rispetto al 2019, ora - dopo un'estate favorevole e le nuove misure anti Covid – si prevede un calo complessivo attorno al 40%. E se con il Decreto Ristori Bis le gelaterie hanno diritto ai fondi a coefficiente 2 (il doppio rispetto alla primavera), nulla c'è per i fornitori dei prodotti specialistici, vera cerniera tra agricoltura e retail. Al netto di un colpo di coda nell'aggiornamento dei codici. "Peraltro, il Decreto Ristori Bis, emanato il 9 novembre, ha una formulazione non sufficientemente chiara e crea dei dubbi sull’individuazione puntuale della platea dei possibili destinatari del contributo incrementale previsto" afferma Roberto Leardini, Presidente del Gruppo Ingredienti per Gelateria e Pasticceria di Unione Italiana Food. " A questo aggiungiamo che le provvidenze indicate risulterebbero molto limitate nel caso di un coinvolgimento molto ampio di destinatari e qualora, quindi, il nostro comparto non riuscisse a beneficiarne, sarebbe l’unico anello della filiera – mondo agricolo, aziende di trasformazione, gelaterie e pasticcerie – a non ricevere contributi, con prospettive di futuro condizionamento negativo sia sul settore agricolo a monte sia su quello artigiano a valle.
“Le perdite che questo settore ha subito sono drammatiche per la loro dimensione rispetto al fatturato del settore. Il danno economico subito dall’industria dei preparati per gelato e per pasticceria si è concretizzato, fino ad ora, in circa 200 milioni di perdita di fatturato causata del lockdown e dai pesanti strascichi che lo stesso ha determinato anche nei mesi successivi. E a causa degli ultimi provvedimenti la situazione peggiorerà ulteriormente”. Fondamentale dunque illuminare velocemente anche queste realtà meno note, ma non meno importanti e non meno in difficoltà, pena il rischio di “un possibile default di molte aziende, che rischierebbero in alcuni casi di scomparire o essere acquistate a prezzo di saldo da imprese estere”.
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I piccoli produttori, dal campo alla cucina
Nelle molte spire della filiera – corta o breve – che dal campo porta alla tavola, ci sono tasselli scoperti, che cercano una soluzione. Alcuni – i piccoli produttori - alleandosi tra di loro, sfruttando il principio sempre valido che l'unione fa la forza - è nel caso di Pipolà - altri seguendo la strada segnata da ristoranti di riferimento o rispondendo alla chiamata di un selezionatore di rango, come per RetroDelivery o Dol Fish. Un percorso che dal produttore arriva al consumatore attraverso la mediazione del ristorante.
Molti i B2B diventati B2C per riempire il vuoto lasciato dai ristoranti. A rimboccarsi le maniche tutti gli storici fornitori. E se alcuni di questi sono ancora realtà familiari - pensiamo alla macelleria Varvara – fratelli di carne, che serve l'Olimpo dell'alta ristorazione ma non ha perso il contatto con le cucine di casa – altri sono partiti da zero come Longino & Cardenal specializzato in “cibi rari e preziosi”, Cicchinelli Ethical Food e molti altri.
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I piccoli produttori e la distribuzione ai ristoranti, il caso di Orme
“Siamo equiparati ai distributori della Gdo” fa Federico Falchetti, creatore di Orme – Valori Agricoli, codice Ateco è 46.38.9: “commercio all'ingrosso di altri prodotti alimentari”. “Vediamo se con i prossimi decreti possiamo fare domanda”. “La situazione è tragica: è come se fossimo in lockdown, ma peggio”. I suoi clienti sono ristoranti, per lo più aperti solo a cena. “Normalmente abbiamo circa 200 clienti Horeca a settimana, ora sono una decina”, e in termini di fatturato conferma il dato del 5%. Di fermarsi non se ne parla: “se anche uno solo dei miei clienti lavora, lo faccio anche io, per fedeltà, correttezza e rispetto”, ma con questi volumi stare aperti è improduttivo anche con una struttura ai minimi termini.
Anche loro guardano ai consumers, “abbiamo un listino privati, e per fine mese partiamo con l'e-commerce, sfruttando gli stessi canali di logistica dei professionali”. Una soluzione? Non tanto: “al primo lockdown con i privati facevamo meno del 10%”. I produttori cercano una via d'uscita nella vendita diretta, “ma il problema è lo spreco. Verdure e ortaggi sono stati messi in campo mesi fa, con una programmazione fatta su uno storico” poi disatteso.
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Tra produzione e distribuzione. Il caso HQF
Per chi si muove tra produzione e distribuzione, la situazione è diversa e ancor più complicata: “ho una attività che ha come holding una grande azienda agricola e di trasformazione” spiega Simone Cozzi di High Quality Food, “produciamo il 70% di quel che vendiamo, siamo una agroindustria in cui le aziende vendono tutte a HQF che trasforma per l'Horeca. Quindi” conclude “non abbiamo avuto accesso nemmeno ai fondi dell'agricoltura né primo lockdown né adesso. E neanche al 60% di credito di imposta per l'affitto dei locali, perché la distribuzione non ha contratti commerciali ma industriali. L'unico strumento di cui abbiamo beneficiato è la cassa integrazione. In questo momento” continua “il governo approccia in maniera tattica e non strategica, coprendo le falle man mano che si creano”. Ma in queste ore qualcosa pare muoversi.
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Il cambio di business
In primavera si sono rivolti ai privati “fino al sabato di Pasqua è andata bene, abbiamo raggiunto più di 6mila famiglie in 3 mesi, arrivando a 40-50mila euro al giorno, 15-20mila euro in meno di prima, ma comunque tanto”. Dopo le cose sono cambiate “siano scesi a 4mila euro al giorno, una cifra importante perché non avevamo mai guardato a questo mercato”. Da cui oggi non può prescindere, “ho cercato di adattarmi”, doppio binario, online-offline: da una parte un nuovo portale, www.buongusterai.it dall'altra una decina di negozi “da aprire, spero, entro gennaio 2021”: alimentari di quartiere a filiera corta, sbocco per HQF Agricola. “Abbiamo un problema economico - siamo al 70% in meno di 20 giorni fa - ma non finanziario; possiamo trasformare il modello di business. Mi auguro” conclude “che così riusciamo a mantenere in piedi la baracca”.
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E il vino?
Il mondo del vino fa i conti con il blocco delle attività, pochi gli ordini a 5 zeri, il mercato cambia veste e si muove a passo d'uomo. “Non ricordo quale sia il nostro codice Ateco” fa Christian Bucci “qualsiasi sia, non è contemplato dal Decreto Ristori”. Con Le Caves de Pyrene si occupa di distribuzione di vini; grafica inconfondibile, come la selezione di piccoli produttori artigianali, marchio di fabbrica di una azienda da sempre orientata all'Horeca. Il primo lockdown è stato complicato: “abbiamo anticipato la cassa integrazione ai dipendenti e ancora dobbiamo rientrare di quella di maggio e giugno. Non avendo nulla dallo Stato, a marzo abbiamo chiesto dei prestiti che sono arrivati a settembre. Ma la cosa più difficile, è stata con i produttori: stavano imbottigliando e sostenevano molte spese, e noi eravamo in difficoltà perché i ristoranti chiusi non pagavano. Una cosa psicologicamente durissima”.
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L'e-Commerce che tutela la filiera
Il fatturato, che nel 2019 sfiorava gli 8 milioni di euro, a oggi è sotto del 25%, con un post lockdown in crescita e la previsione di chiudere l'anno a meno 30-35%. Intanto ha deciso di rivolgersi ai consumers, “in un modo forse complicato, ma che tutela la filiera: apriremo un sito apposito, da dove il privato non può comprare direttamente, ma deve passare attraverso un rivenditore, enoteca o ristorante, così genera un cashback per il locale e una provvigione per il l'agente”. Una cosa risolutiva? “Il nostro business è l'Horeca, non penso che questo risolleverà la situazione, ma credo che sia importante far vedere a clienti e produttori che ci siamo”. Come credi che finirà? “Il nostro settore ne uscirà, ma con le nostre forze”.
a cura di Antonella De santis