«Sarebbe bellissimo. Ci ha risposto così quando gliel’abbiamo proposto». Per Sauro Ricci e Raffaele Minghini è stato un passaggio naturale, come naturale è tutto quello che succede al Joia, sul piano lavorativo come su quello emotivo. Saranno loro tra un anno - mese più mese meno - a raccogliere il testimone del cuoco (scrittore, pensatore, filosofo, maestro) che nel 1996 ha ottenuto la prima stella Michelin per un ristorante vegetariano (nonché la stella verde nel 2020 nell'edizione in cui è stata per la prima volta introdotta). Ma quello che Pietro Leeman “lascia” per ritirarsi da monaco della religione indiana Krishnaita in una comunità spirituale in Svizzera, dove è nato, non è un semplice ristorante. È un paradigma etico, un microcosmo umano dove la crescita personale a 360 gradi si persegue attraverso un dialogo costante, senza attriti e strattoni. E senza mai bisogno di alzare la voce. A meno che (spoiler) in motorino non ci si dimentichi di mettere la freccia...
«Qui non si prende un pasticcere perché serve un pasticcere, tutti ruotano per acquisire ogni competenza e diventare intercambiabili» raccontano Sauro e Raffaele, «solo così si prende via via consapevolezza delle proprie inclinazioni, non necessariamente legate alla cucina. Ti ricordi Jacopo (Ticchi, oggi alla Trattoria da Lucio a Rimini, cuoco trentenne dal talento eclettico comparso tra gli under 30 della classifica di Forbes Italia 2023, ndr)? Lui ha scoperto qui la sua passione per la fotografia». È quello che in parte è successo anche a loro, ragazzi provenienti da contesti e aspettative differenti che un giorno si sono trovati fianco a fianco sotto l'ala di un Maestro con la emme maiuscola. E non si sono più spostati da lì.
L'eredità di Sauro Ricci e Raffaele Minghini
Toscano e con in tasca una laurea in Antropologia con una tesi sulla Macrobiotica, Sauro Ricci si forma in ristoranti di alta cucina e lavora con chef del calibro di Antonio Guida e Michelino Gioia. È proprio il cuoco del Pellicano di Porto Ercole che gli accende la lampadina sulla possibilità di fare un’esperienza al Joia. «"Come ho fatto a non pensarci prima!", mi sono detto nel 2011, quando mi trovavo in Portogallo ma volevo tornare in Italia e inserirmi in un contesto dove convivessero eccellenza e studio serio sull’aspetto nutritivo dell’alimento». Detto fatto. Sauro invia il curriculum e dopo un giorno entra nella casa di Leemann (settembre del 2012). Diventerà, oltre che sous chef, anche co-fondatore e direttore didattico dei corsi professionali e amatoriali di cucina ayurvedica, una delle molteplici attività accessorie del Joia world. «Al colloquio c’è stata subito una grande intesa. Mi piace pensare che sia stata la mia destinazione, più che il mio destino».
«Per me è stato diverso», ricorda Raffaele, romagnolo di Cesena. Lui nasce perito meccanico - competenza che tuttora mette in campo nella composizione geometrica dei piatti - e la sua destinazione pare essere l’azienda di famiglia. Ma la passione per le discipline umanistiche lo porta alla laurea in Ermeneutica filosofica a Bologna, mentre quella per la cucina si rivela decisiva per il cambio vita radicale. «A 25 anni in un atto di onestà con me stesso ho capito che la mia vocazione era cucinare per gli altri. Comincio tardi a studiare: prima un corso veloce, poi qualche esperienza in osterie della Riviera, ma c’era bisogno di una realtà che potesse formarmi davvero, darmi dei canoni di rigore. Per cui alla fine dell’estate 2012 ho iniziato a cercare tra gli stellati». E arriva l'incontro con Leemann, un’ora e mezza a parlare di filosofia e teologia. «Non avevo visioni particolari verso il vegetarianesimo, ma è stata proprio una scoperta. Dovevo diventare cuoco, e qui, perché fiorissero alcune tendenze e inclinazioni di cui non ero ancora pienamente consapevole».
Diventare vegetariani al Joia
Raffaele e Sauro oggi sposano totalmente lo stile alimentare della casa (ma, precisano, non c'è nessun obbligo in merito), un fatto che sembra scontato ma a ben pensarci non lo è per niente. «Io ci sono arrivato con la tesi di laurea sul bilanciamento energetico degli ingredienti» spiega il secondo, «appassionandomi alle tesi del fondatore della macrobiotica Georges Ohsawa. Dopo la bomba atomica i giapponesi maturarono un senso di rinascita e una voglia di “ristrutturazione” dell’umanità in chiave spirituale e biologica, dove anche il cibo cominciò a essere vissuto in chiave non violenta, anzi come veicolo per sviluppare empatia verso tutti gli esseri viventi». Un valore stimolante che spinge Sauro a eliminare prima la carne, più tardi anche il pesce. Non senza difficoltà. «Per un cuoco, che giocoforza ha una spiccata sensibilità gustativa, può essere faticoso. Ma con un’impalcatura spirituale forte lo stimolo verso il buono rimane e quasi di accentua. E ora mi diverto anche a casa, specie col tempeh (autoprodotto come tutto qui al Joia)».
Per Raffaele è stato un cambiamento graduale, iniziato con lo stage. I primi tempi “cedeva” solo nel weekend o - comprensibilmente, aggiungeremmo - quando rientrava nella sua Romagna. Poi è arrivata la decisione definitiva, legata a un benessere fisico inedito. «Mi sono accorto che le digestioni erano molto più veloci, ero più performante ed energico. E poi nel 2014 mi è capitato di vedere un documentario tedesco al Milano Film Festival, Live and Let Live, dove semplicemente tante persone raccontavano in modo equilibrato e pacifico il perché della loro scelta vegana, senza nessun tipo di immagine violenta. Lì ho capito definitivamente che era la strada giusta». E oggi a casa che si mangia? «Se c’è una cosa che mi stuzzica particolarmente è la verdura ripiena, mi ricorda le mie origini. E ci gioco parecchio anche nei piatti del Joia, dove una delle fasi più stimolanti è proprio quella empirica, quando si tratta di costruire il piatto e calibrare le forme, lavorando continuamente e incessantemente sui dettagli».
Le rappresentazioni estetiche delle idee
In questo laboratorio di alta cucina naturale al civico 18 di via Panfilo Castaldi ogni cosa che arriva in tavola è frutto di uno studio minuzioso che punta all’armonia, al bello e al buono. Tra i "ripieni" più cari a Raffaele, per esempio, c'è Elogio alla purezza, che non può uscire dal menu perché i clienti continuano a richiederlo. Si tratta di un cuore di carciofo cotto alla giapponese con pesto di sedano di Verona e timo, intingolo profumato allo yuzu, emulsione di wasabi ed erbe, un capolavoro anche di estetica «nonostante non sia mica così semplice far sembrare bello un carciofo». Mentre Il volto della natura è l'emblema di un concetto che Sauro non smette mai di trasmettere ai suoi allievi dei corsi: inscrivere la natura nella geometria sulla base di intuizioni legate a ogni ambito della cultura. Ecco che questa insalata tiepida di tuberi si ispira liberamente al Volto dell'artista olandese Escher, dove due nastri si intrecciano e formano due volti, e che nel piatto è costituito da tuberi "tagliati geometricamente, scomposti e ricomposti, appoggiati e sostenuti dal viola intenso di una salsa pennellata al tornio” come descritto da Leemann stesso sul sito.
Dividersi per tornare ancora più uniti
Sauro e Raffaele suonano così maturi, risolti, pacifici nel loro incastro professionale che non sembrano veri. Ci devono pur essere stati momenti di attrito, distacchi, crisi, dubbi. O no? «Nessuna crisi, nessun dubbio. Nel 2015 ho solo sentito il bisogno di mettermi in gioco da solo. Sauro mi ha seguito molto sin dal primo giorno, e così ho dovuto camminare sulle mie gambe per un po’». Quel po’ per Raffaele è stata una parentesi di tre anni trascorsi a Londra per seguire l’apertura di un ristorante plant based. «Un'esperienza incredibile che mi ha arricchito molto. Quando sono partito mi sono buttato nell’ignoto, prendi una nave e non lo sai se torna indietro, se le porte rimangono aperte. Nel mio caso lo sono state».
Insomma, al netto di piccole fughe alla scoperta del mondo e di qualche fisiologico momento di stanchezza mentale dovuta alle dinamiche gestionali che il lavoro comporta, di ripensamenti o passi indietro non ce n’è mai stati in questi dieci e passa anni di vita in comune. Una scelta libera continua, la chiama Raffaele. Ci sarà però qualcosa di insopportabile dell’uno nei confronti dell’altro nel quotidiano spicciolo. «Quando andiamo in giro in motorino insieme, Sauro non mette le frecce e questo mi fa uscire fuori di testa». Quanto a Raffaele «a volte è un po’ puntiglioso, pignolo, cosa che però in alcuni passaggi diventa un pregio. Per il resto tra noi c’è un confronto continuo, così come nella brigata che abbiamo organizzato. Stiamo tutti crescendo insieme».
Il futuro del Joia
I ragazzi in cucina e in sala sono “allevati” esattamente come è stato per loro, e persone come Giovanni Di Liberto, maitre, e Simone Biestro, sommelier, sono anelli insostituibili di un ingranaggio che viene oliato ogni giorno, in un flusso costante di lavoro ma soprattutto di vita, che in questo posto che pare un “altrove” etico e al tempo stesso è un’industria concreta e solidissima si sovrappongono fino a coincidere. Un’armonia che a tavola si avverte e corona l’esperienza gastronomica, che già di suo ti proietta verso frontiere culturali per molti inaspettate. «Le persone rimangono colpite perché non si aspettano gusti così audaci, decisi, coraggiosi, neanche le rappresentazioni estetiche che concepiamo per le nostre idee. Per noi poi l’apertura mentale è una conditio sine qua non, l'esperienza è un momento di di comunione.
Per questo offriamo diversi livelli di servizio: il piatto quadro del giorno, dal martedì al venerdì, una serie di assaggi sempre diversi in una combinazione meno impegnativa, e i menu degustazione per pranzo e cena, con tempistiche e modalità di fruizione ovviamente differenti, affinché tutti abbiano modo di ritagliarsi il proprio spazio nella nostra dimensione». E il futuro? «Il ristorante ha bisogno di una sistematicità, di una gestione dall’alto di cui stiamo gradualmente prendendo le redini. Da una parte c’è la fase creativa collegiale, dall’altra gli obblighi produttivi ci impongono di ottimizzare i passaggi. Non è facile, ma quando l'abbiamo proposto a Pietro l'abbiamo fatto emozionati, timorosi ma con cognizione di causa. La sua risposta non ha fatto che quadrare il cerchio. E ci ha commossi».
foto di copertina di Manuela Vanni - foto di Lucio Elio