Lo scorso febbraio, nelle pagine del Corriere della sera, la collega Elisabetta Andreis annunciava: “Milano, chiude il ristorante Boccondivino”. Arresosi alle porte del mezzo secolo, Boccondivino è soltanto l’ultima vittima illustre di un virus in espansione. Abbiamo visto tramontare Rovello 18, Biagio, Il Cerchio, tanto per fare tre nomi a memoria. Poche settimane fa, la stessa Andreis scriveva: “Caro affitti a Milano, l'aumentato delle tariffe colpisce la ristorazione: dal Boeucc al Pandenus, i locali che se ne vanno”. Aggiungendo: “L’elenco è lungo. In piazza Cavour abbandona lo Swiss corner, arrivato a pagare 330mila euro per 300 metri quadrati”.

Lo Swisse Corner di piazza Cavour: arrivato a pagare 330mila euro/anno per 300 metri quadrati. In apertura, l'annuncio di chiusura del Boccondivino
A Milano chiudono molti ristoranti storici
Non è l’estinzione naturale di imprese che hanno conchiuso il loro ciclo esistenziale. È la metamorfosi di un intero settore, determinata da logiche patrimoniali che non hanno niente da spartire con le faccende gastronomiche. Sono gli effetti collaterali del fondamentalismo urbanistico che azzanna la città. E se la tumulazione improvvisa di insegne storiche diventa notizia, nell’indifferenza dei media le prospettive di vita della ristorazione si sono ridotte a poche pagine di calendario. La metà degli esercizi abbassa la serranda entro cinque anni. Un quarto delle nuove aperture non supera i quindici mesi.
Caro-affitti, speculazioni e malavita: costi fuori controllo
Ma è soltanto la crescita infelice degli affitti a stroncare i ristoranti? Magari. Partecipano attivamente alla potatura, le grandi manovre dei fondi immobiliari che stanno divorando il territorio. In queste oasi di feroce “rigenerazione urbana”, le piccole e medie imprese della ristorazione vengono spazzate via. Non hanno più diritto di asilo. Al loro posto, mettono radici soltanto le sale da pranzo delle grandi catene, con il loro repertorio di cibi standardizzati, o le cattedrali patinate degli chef da copertina, edificate col danaro di qualche investitore. Che spesso resta nell’ombra, perché in questo quadro, ovviamente, giocano la loro partita anche la malavita organizzata e un certo tipo di imprenditoria con le mani sporche.

L'avviso di "trasloco" in Svizzera di Felice Lo Basso
Milano è solo l'avamposto della crisi
In una recente intervista rilasciata alla collega Alessandra Dal Monte (per Cook del Corriere), lo chef Felice Lo Basso, annunciando la sua ritirata strategica in Svizzera, ha dichiarato: “A Milano le cose non vanno bene come si racconta. Le persone non hanno più soldi perché la città è troppo cara e gli stipendi sono troppo bassi. Io pago 10 mila euro di affitto al mese per 200 metri quadrati”. È probabile che Lo Basso stia minimizzando le sue responsabilità. Però, è difficile dargli torto.
Quindi? I più cinici tra i lettori non milanesi potrebbero far spallucce: “Peggio per voi. A noi che ce ne importa?”.
Non illudetevi. Milano è la sentinella d’Italia. Le dinamiche sociali e finanziarie che insorgono oggi nel capoluogo lombardo sono in arrivo prossimamente sui vostri schermi. Buona visione.