“Qualche settimana fa” racconta Carmelo Chiaramonte “mi chiama Giovanni Pisana, detto Fragolina, e mi dice: 'è ora che torni qui agli Iblei, siamo aspettando tutti te', mi stava proponendo il Trittico, la sua trattoria, perché se doveva svenderlo a qualcuno preferiva lo prendessi io”. Chiaramonte era un po' che accarezzava l'idea di tornare a occuparsi di un ristorante in forma stabile, dopo 12 anni da cuciniere errante. 12 anni pieni di studi e progetti, in cui ha fatto di tutto: “ho sviluppato 7 registri di lavoro” dice, cene private, catering, progetti teatrali, ricerche sulla biodiversità e sulle varietà antiche, uno studio matto e disperatissimo nell'anima più autentica del cibo e della cultura che ci gira intorno, scoprendosi perfino designers di pentole e griglie che entreranno in produzione in autunno, 4 strumenti “artistici” di cottura, originali nel pensiero e nel disegno.
Cogliere il segnale
Quando l'Italia e il mondo intero si sono fermati, lo attendevano due mesi densissimi da una parte all'altra del mondo tra palcoscenici, cucine e tavole imbandite. “Tutto a un tratto sono rimasto fermo, e ho capito che avevo ragione a cercare un posto mio”. In quel momento aveva in mente di scendere a Modica e occuparsi del suo carrubeto, “non potevo più stare fermo”. Dal suo rifugio sull'Etna invece accoglie il richiamo del mare, di un paesaggio e un'atmosfera diversi, dove mettere di nuovo le radici alla sua cucina, “Donnalucata è in una zona della Sicilia in cui c'è un bel fermento gastronomico, dove arrivano i buongustai da Catania nel fine settimana”. Così ha guardato a quel che succedeva come a un segnale, e si è trovato a un passo dal mare, dove le risorgive mescolano acqua dolce freddissima a quella del mare.
Caro Melo
In un attimo si trova a dare un volto nuovo a quel locale, tra tavoli e sedie di legno, tutti diversi, come le stoviglie “cose degli anni '70 e alcune in vetro di Thalass, di Alessandro Rosa”. Per il resto tutto annuncia una grande informalità, atmosfera rilassata in cui accogliere con quel racconto dell'anima che chi ha incontrato Chiaramonte conosce bene. È il suo piglio da narratore autarchico e poetico che gli suggerisce il nome. Caro Melo, una distorsione di Carmelo, che sottende un'attitudine: “sarà un luogo della gentilezza: caro me lo passi il vino? Caro me lo dai un dolce?” ci scherza su. Ma con lui nulla è detto a caso, tutto converge a tessere trame di rispondenze tra pensieri, sapori, gesti, prospettive. “È un'osteria rituale, perché ci sono dei segni qua e là, e vi si ascolteranno le coincidenze degli accadimenti che ci sono intorno, un luogo dove si celebra la vita”. Un posto semplice, nulla di patinato, in cui entri e ti chiedi cosa succederà, dove “fare un po' di spettacolo per un'oretta o due”, quel che serve per far dimenticare agli ospiti i loro affanni, “sto seguendo le linee guida di Andrea Paternoster (Mieli Thun, ndr): qualità estrema e informalità spiazzante”.
Quando apre Caro Melo
Il taglio del nastro sarà il 12 giugno. Una decina o poco più i posti al chiuso che diventano quasi il doppio in estate (a regime normale sarebbero stati 35, ma in tempi di Covid “bisogna rimboccarsi le maniche e imparare a vivere in maniera semplice”), grazie a quella terrazzetta che ricorda la prua di una nave, coperta da una pianta di frutto della passione rampicante. Un piccolo eden privato ma pronto ad accogliere i suoi ospiti, “verranno scrutati negli occhi per capire che versatilità che hanno all'allegria”. Perché, Chiaramonte è un cuoco espressionista, amante del gesto e dell'incontro, coltissimo, terragno, istintivo, fluente, inflessibile nella ricerca della qualità del prodotto e dell'esecuzione. Uno vorace di conoscenza, incontri, scoperte. Sibillino nei suoi calembour pieni di citazioni ispirate che non mancano di lasciare traccia: “In cucina vale il principio di Archimde applicato al contrario: un pezzo di porco inserito dentro a un corpo riesce a provocare una spinta dal basso verso l'alto pari all'intensità della porcitudine che riesce a provocare”. Gioca ancora e poi ti stende con quella cucina elementare, ma mai banale: fuoco, braci, griglie. Un forno un fornello e poco più; una cucina bruta, essenziale, che conserva la memoria di tante altre cose.
Aperto in inverno solo nel fine settimana, da aprile a ottobre tutti i giorni, con l'aggiunta, in estate, di una proposta take away per il pranzo nel fine settimana, da portare a casa o in spiaggia: pasta al forno, pollo, cous cous. Cose semplici ma fate bene. E l'idea – chissà – di allargarsi sulla strada di fronte per l'aperitivo a dare più agio al locale mignon che nei prossimi mesi sarà punto nevralgico di eventi gastronomici, incontri, mostre d'arte come quella di Pierpaolo Ruta della Dolceria Buonaiuto, e di Orazio Battaglia, “uno dei miei artisti preferiti”.
Cosa si mangia da Caro Melo
Una carta minima: 4 antipasti, 2 primi, 2 secondi, 2 dolci (spesa media tra i 35 e i 50 euro), a rotazione settimanale. Cose che raccontano il territorio come lui ha saputo cantare in ogni suo progetto. Per ogni preparazione un racconto, per ogni sapore una storia, per ogni ingrediente una scoperta. Con quel gusto per le parole che non lo ha mai abbandonato. E che qui si traduce i nomi strategici, per esempio Figa la parmigiana parmigiana di fichi, Polpetta l'arancino con ragù di polpo, la Salsiccia di tonno porco che unisce due animali principi delle nostre tavole. Il Profumo di capelli di sirena, è un primo piatto freddo, capellini d'angelo serviti su un'ostrica con fragoline ghiaccio e ricci di mare; la Caponata secondo la ricetta di Domenica Cappa, nonna di Martin Scorsese, da servire dopo 3 giorni di frigo, preparata proprio in onore del regista di origini siciliane, durante una cena a base di piatti presi dal ricettario di famiglia. Poi c'è il maiale con le vongole, una ricetta dell'Alentejo portoghese: maiale confit saltato con le vongole, “lo preparavano i cuochi delle grandi famiglie quando si spostavano al mare”. E qualcosa di più succoso – come i risotti con il pesce. Poi c'è opzione maremosso, ovvero quando non si può pescare, pollo al forno o al limone, rigatoni, “Cose dritte” dice, ma arriverà anche la zuppa di mandorle con le vongole.
La giardiniera è un festival
Tra i piatti di apertura, un posto d'onore va alla giardiniera, un classico dell'antipasto all'italiana, preparata con frutta e verdura che – dice - “deve essere un festival”. Sarà anche in vendita da Caro Melo, vera e propria ristobottega, insieme a ketchup di albicocche e di pomodori pachino, al tonno al naturale, e alle conserve di amarene e rose.
A fine pasto arriva Dentifricio e collutorio, un giochino creato una decina di anni fa: un tubetto con crema pasticcera senza uova, profumata di menta e anice, accompagnato da vodka alle rose, frutto di uno studio sulle rose aromatiche, che lo ha portato fino a Teheran per assistere alla distillazione della damascena. Poi tanti gelati, granite, sorbetti anticaldo come per la pera farcita con il gelato di ricotta (Farsi una pera), “per mantenere uno sguardo sulla fisiologia dei piatti, cose che non fanno sudare, con tanti sali minerali che ti mantengono leggero facendoti divertire”.
Cosa si beve da Caro Melo
Una piccola selezione di vini sfusi d'autore, a rotazione, Cantina Giardino, Cantina Macciocca, Agricola Carussin, Praesidium; qualche bottiglia e poi c'è l'Elogio del rutto libero, la carta delle bevande frizzanti, alcoliche e non, per esempio gassose espresse, con estratti home made e seltz, come quella di zagare (si chiama Ti spunta un fiore in bocca), di arancio amaro, di rose e bergamotto, gelsomini. Il minimo comune denominatore è il piacere, “sono di scuola epicurea”.
Prodotti e produttori
Il miele è quello di melo di Andrea Paternoster, gran parte dei prodotti invece sono di Fragolina, proprio lui che l'ha chiamato per offrirgli la sua trattoria: “coltiva fragole di bosco a 10 meri dal mare”. Cliente, interlocutore, provocatore, Carmelo lo ha spinto ancora di più alla ricerca di varierà desuete dell'area del Mediterraneo, insieme hanno scelto semi e alberi rari, come gli amati agrumi (uno dei pallini di Chiaramonte, sin da quando ha scritto il libro Arancia), bergamotti, pompia di Siniscola, e così via. A mettere nel piatto, giorno dopo giorno, quel che per anni ha studiato senza sosta, collaborando con le università locali per riscoprire e tutelare la straordinaria biodiversità del territorio, lavorando a stretto contatto con l'accademia per il mantenimento varietale avendo così accesso ai giardini sperimentali. Fanno parte di questa brigata anche Gianluca Pannocchietti, di Radice Sicula, un altro ricercatore di specie agricole e varietà rare di frutta – 12 di fichi, 14 di albicocche, e poi nespole, mirto, mandorle – l'Aia Gaia di Ciccio Sultano che fornisce il pollame, mentre il bovino è di razza modicana, l'olio di tonda iblea è quello di Case di Lavinia e di Terre di Vito. “Sono un cuoco della Sicilia orientale, dice” ma tu sai che questo significa molto di più.
Caro Melo – Donnalucata (RG) - via Sanremo, 7/1 - https://www.carmelochiaramonte.it/
a cura di Antonella De Santis