LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI THE BEST IN LOMBARDY
“Quando sono arrivato qui, quasi 10 anni fa, il ristorante aveva tutt'altra identità” dice Andrea Aprea parlando del Vun del Park Hyatt (5 stelle lusso vista Duomo), nuovo Tre Forchette nella guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso. “Era il 2011” continua “e la Milano di allora non è quella che è stata fino a un anno fa, prima della pandemia: la crisi del 2008 ancora si sentiva, persino la Galleria non era quella di oggi”. La ristorazione d'albergo, poi, non ne parliamo: tranne rari - bellissimi - casi era legata a un canone rigido, e cominciava proprio allora a cambiare volto. “La gente si aspettava negli hotel una cucina internazionale”. Lui invece dichiara subito il suo obiettivo: una “cucina italiana d'autore” (come recitava l'insegna allora) libera dai vincoli di una proposta di genere come quella alberghiera.
Il Vun di Andrea Aprea
Al suo arrivo, Aprea, con la nascita del Vun (che in dialetto milanese significa Uno) palesa di volersi rivolgere alla città, cercando di conquistare quella clientela sempre più a suo agio con l'alta ristorazione. Imprime la sua spinta lenta, ma costante, avendo ben chiari i risultati che vuole raggiungere e i mezzi con i quali riuscirci. “Mi interessava fare una cucina italiana contemporanea” spiega, “ho cominciato allora a costruire una squadra che lavorasse su ogni cosa, per far crescere il Vun in ogni aspetto. Perché” continua deciso “per me esiste il ristorante, non solo la cucina. E in questo ci ho creduto fin dall'inizio”.
Molti dei ragazzi di quei primi anni sono ancora lì, al suo fianco, a mettere a punto quella macchina sempre più complessa e precisa. “Il mio approccio si basa su continue valutazioni, analisi di ogni servizio, e tanti aggiustamenti della cucina e quel che c'è intorno”. Un metodo che guarda a quello scientifico: raccoglie dati, analizza, corregge; un giorno dopo l'altro, un anno dopo l'altro, con l'obiettivo di una crescita complessiva, “imparando dagli errori, con grande umiltà, calandoci nei panni di ognuno per capire dove migliorare; la guida del Gambero, con le valutazioni separate per ogni aspetto del ristorante, ci ha dato un riscontro costante del nostro lavoro”. E le conferme di questa crescita non sono tardate, “è stata una escalation” dice. Fino alle attuali Tre Forchette.
L'anno della svolta? Il 2014 “quando abbiano ristrutturato il ristorante: vedevo il cambiamento in cucina e volevo vederlo nel resto”. Un piatto di quella fase è la Seppia alla diavola (2015), con cui spariglia le carte tra carne e pesce, sceglie un sapore familiare ma gli cambia contesto, regalando un imprevisto twist piccante al mollusco grazie a una salsa che diventa polvere.
Tradizione e contemporaneità, alla corte del sapore
“Una decina di anni fa” racconta “era forte l'eco della cucina asiatica”, ma lui ignora il richiamo della fusion per concentrarsi sul suo bagaglio culturale: “è quello che ci identifica ed è quello che voglio portare avanti”. Così si immerge nei sapori della memoria: “la mia cucina contemporanea guarda al futuro senza mai dimenticare le origini” è il suo motto. “Voglio tutelare la gastronomia italiana” continua “e renderla contemporanea dando un nuovo vestito ai piatti”.
Comincia così un lavoro che l'accompagna tuttora, che porta alla ribalta piatti fortemente evocativi, riconoscibili eppure nuovi, sempre dominati da un gusto molto deciso. In cui il binario tradizione/innovazione - spesso un po' esausto - acquista significato e concretezza. È un percorso per certi versi rischioso perché si confronta con un vocabolario di sapori noti, a cui tutti possono fare riferimento. “Non puoi permetterti di sbagliare: se rielabori un piatto della tradizione, il sapore di quel piatto deve riconoscersi”. E l'evoluzione? “È qualcosa che ha a che fare con la potenza del gusto, che deve essere un missile, riconoscibile anche a occhi chiusi”. In questa partita, che ruolo gioca la tecnica? “Il limite dell'espressione della tecnica è dato da quel che ognuno rappresenta. Quindi se rappresento la cucina italiana, una fermentazione può diventare l'elemento di un'amatriciana. Ma il perimetro è sempre quello del gusto. Per spiegare determinati passaggi” conclude “c'è un solo strumento: il palato”.
La Caprese dolce salata di Andrea Aprea
In questo percorso, ci sono stati momenti che hanno segnato la strada a venire. La Caprese dolce salato è uno di questi, e rappresenta il manifesto di una cucina pienamente mediterranea, innovativa ma rassicurante: un piatto diventato iconico - la mozzarella ricostruita - che piace non solo per quel trompe l'oeil divertente, ma perché rappresenta la sintesi di un percorso, andata e ritorno tra Napoli e Milano: “sono nato e cresciuto a mozzarella e questo piatto ne è la mia interpretazione. Sono convinto” continua “che le cose le devi conoscere veramente per poterle trasmettere, e la conoscenza non te la regala nessuno, se non il tempo”. E il tempo è uno degli alleati di Aprea. “La Caprese nasce a fine 2011, ma è entrata in carta quasi un anno dopo: la facevo assaggiare in sordina, volevo essere sicuro” tenendo fede a quel suo modo di lavorare che procede per step successivi. Sempre di quel periodo è il Cannolo di sfoglia di latte “era già in menu al Comandante, ma avevo bisogno di reinterpretarlo in nuove forme e consistenze”.
I piatti di Andrea Aprea
Quello di Aprea è un percorso punteggiato di rivisitazioni, piatti che raccontano un vissuto e la sua rielaborazione: il Tortello con doppia concentrazione di ragù napoletano (del 2011) porta la memoria dei sapori familiari partenopei in un albergo di lusso di una compagnia americana. Ci sono poi il Tortello cacio e pepe con il cuore liquido, la Quaglia cavolfiore caffè e capperi (del 2012) in cui presenta il petto come fosse una coscetta, “e a fare da collante l'amaro del caffè e il sapido dei capperi”, passando per il Maialino 100 ore.
Poi arriva la Patata in stagnola all'amatriciana, del 2017. “È un richiamo alla patata cotta sotto sale” spiega “nella prima versione era avvolta in una foglia di argento edibile, e sotto c'era un piccolo cavolo acidulo e yogurt bufala fermentato” che richiamava certi sapori nordici; poi però è cambiata: “la vedevo più rotonda, italiana”. E allora gioca a rimpiattino con i carboidrati, sostituendo la patata alla pasta in una combo familiare, ma nuova: “la cipolla caramellata dolce, una spuma pecorino morbida e sapida, e una concentrazione di amatriciana potentissima. Una dinamite”. Adesso è uno dei punti fermi del percorso Signature che mette in fila i piatti iconici, con tanto di anno di creazione.
Tra gli ultimi nati c'è il Ri-sotto-marino, del 2018, dove reinterpreta il risotto alla pescatora “da napoletano volevo far sentire il mare in un risotto”, a venire in soccorso le polveri di alga e di tutti gli elementi che si trovano sotto il mare. Ancora una volta con uno sprint deciso. Il gioco delle tre carte tra carne e pesce si ripete con il Baccalà alla pizzaiola (disidratata) mentre quello delle textures si trova nel Rococò che della versione tradizionale conserva i sapori ma non la consistenza: “c'è una cialda sopra, e dentro ci sono tutti gli ingredienti in diverse testure, talmente riconoscibili che una volta un cliente mi ha detto che l'avevo fatto tornare bambino”.
Andrea Aprea: il Vun oggi
In questi giorni il Vun è chiuso – per via delle restrizioni dovute alla pandemia – e si approfitta dell'inattività forzata per rinnovare albergo e ristorante. Difficile prevedere la riapertura - “navighiamo a vista” dice - ma una cosa è certa: c'è una clientela affezionata, pur cambiata nel corso degli anni, che dimostra grande fedeltà, “ho ospiti che tornano anche 6 o 7 volte l'anno, persone di Milano ma anche stranieri”.
Il segreto forse è da cercare in quella antologia di sapori familiari potenziati fino ai limiti estremi, prova ne siano due punti fermi di questa tavola: l'Aperitivo anni '80, omaggio a Milano e al classico Spritz olive e patatine, e il pre dessert Intensità di limone: giocosi e immediati, delineano i confini di un viaggio del gusto.
Vun Andrea Aprea - Park Hyatt – Milano - via Silvio Pellico, 3 - 02 88211234 - www.ristorante-vun.it
a cura di Antonella De Santis