A Værøy tutti conoscono l'Italia e molti dei suoi piatti, anche se qualcuno non c'è mai stato. «Spediamo quasi tutto da voi», spiega Jarle Andreassen, general manager di una delle quattro aziende dell'isola norvegese che produce e vende pesce. Nel 1963 suo nonno ha fondato la Astrup Lofoten, ha più di 70 anni, è un pescatore da tutta la vita e oggi vende la maggior parte del suo pescato in Italia. «Viviamo grazie allo Skrei, il merluzzo pregiato dell'Artico, è il nostro miglior amico». Questa storia comincia da qui: l'odore pungente dello stoccafisso appeso sulle rastrelliere, le facce dei pescatori macchiate dal sole, le navi mercantili che solcano il mare del Nord, lo spettacolo naturale dei fiordi e delle loro acque blu petrolio, le cime montuose dove si sviluppano imponenti ghiacciai, il cambiamento climatico che minaccia un equilibrio secolare e commovente, le ricette simbolo di alcune regioni italiane, perché il baccalà alla vicentina e quello mantecato non potrebbero esistere senza la Norvegia.
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Lo Skrei di Værøy
Værøy è un minuscolo isolotto, il penultimo dell'arcipelago delle Lofoten. Una delle sue montagne, Håen, si raggiunge solo a piedi, si arriva in cima attraversando una stazione radio della Nato. Superandola si apre una vista incredibile, la lunga dorsale montuosa che precipita in basso fa tremare le caviglie. I suoi 19 chilometri quadrati ospitano poco più di 700 abitanti, una delle chiese più vecchie delle Lofoten, una scuola piccola ma ben attrezzata, un municipio, un ufficio postale. Si trova nella contea Nordland, sopra al Circolo polare artico, e si raggiunge con il traghetto o l'elicottero. La fine del mondo o il suo inizio.
Il viaggio del merluzzo
La Norvegia è l’unica produttrice al mondo di stockfish, letteralmente “pesce bastone”, il merluzzo essiccato: da gennaio ad aprile, il nord del paese e le Lofoten si riempiono del pesce atlantico che, abbandonate le acque fredde del mare di Barents, nuota fino alle coste settentrionali per depositare le uova. Il viaggio di oltre mille chilometri rende l'inconfondibile carne bianca dello Skrei magra e compatta. Quando la pesca va particolarmente bene le barche di medie dimensioni tornano con 20-40 tonnellate di pesce da pulire. Le barche più piccole ne consegnano da una a tre tonnellate. Può infatti pesare fino a 55 chili e misurare fino a 180 centimetri. «Il processo di lavorazione dei merluzzi inizia appena sbarcati. Dopo essere stati puliti e privati di testa e interiora, i pesci di taglia simile vengono legati tra loro e appesi a essiccare su grandi graticci in legno all'aperto», spiega Charles Ingebrigtsen della Norges Raafisklag, l'Associazione norvegese del pesce selvatico. Da marzo a giugno, l'aria costiera mite e salata con sole, pioggia, neve e vento permettono una perfetta essiccazione. «Non c'è altro posto nel mondo che questo per produrre lo stoccafisso». Il merluzzo è il maiale della Norvegia, in quanto viene riutilizzato tutto: le teste vengono spedite in Nigeria, le guance e il “latte” (lo sperma) in Asia, le uova vengono trasformate in caviale, dall’olio di fegato si ricavano integratori alimentari. La lingua è una prelibatezza che costa fino a 35 euro al chilo, e nella città di Ballstad il compito di tagliarla è affidata ai bambini.
Dall’Artico all’Italia
Quanto Jarle Andreassen ha iniziato a lavorare a Værøy era un ragazzino. La sua isola è incredibilmente legata all'Italia (è addirittura gemellata con Venezia), così come il resto dell'arcipelago. Il 90-95% delle esportazioni di stoccafisso norvegese verso il nostro paese proviene dalle Lofoten. «Questo lo spediamo in Sicilia; quest'altro è più grande e arriva fino a Napoli», spiega tenendo in mano il pesce essiccato pronto a partire. È orgoglioso del suo prodotto. Infila il naso nella cavità dove prima si trovava la testa e lo riconosce dall'odore: «Questa tipologia invece è per Ancona». È un ingrediente che si ritrova nelle ricette di molte regioni, dal Veneto alla Liguria, dalla Toscana alla Campania, dalla Calabria alla Sicilia. È differente dal baccalà, che invece viene messo sotto sale e, alcune volte, anche essiccato.
Rivoluzione culinaria
In Norvegia, lo stoccafisso è profondamente radicato nel patrimonio culturale e culinario del paese. Nonostante le sembianze che lo fanno somigliare a un mostro, i bambini ci giocano fin da piccoli, lo usano come moneta di scambio. È un prodotto che ha ottenuto l'Indicazione geografica protetta (Igp) dall'Unione Europea, c'è anche un marchio – Seafood from Norway – che ne certifica l'origine. Dallo stoccafisso deriva anche il lutefisk, piatto consumato anche in Svezia e Finlandia, che tradizionalmente viene proposto durante le feste del julebord, i buffet natalizi scandinavi. Gli amici si invitano nelle rispettive case per fare un lutefisklag, la cena a base di lutefisk.
Lo Skrei è nei menu dei ristoranti di tutto il paese. «La cucina norvegese è cresciuta moltissimo negli ultimi 15 anni, prima lo Skrei veniva servito solo con le patate e carote, oggi non è più così», racconta Jo Mattias Smenes, responsabile vendite della Premier Seafood, una società specializzata nella distribuzione di prodotti ittici. Nel minuscolo paesino di Ballstad, poco più di 800 anime, lo chef Roy-Magne Berglund ha creato un posto unico nel suo genere. Il Lofoten Food Studio è un ristorante insolito dove gli chef di tutto il paese arrivano per cucinare i prodotti delle Lofoten. Anche Sven Erik Renaa, chef e patron del ristorante Re-naa insignito di due stelle Michelin, è stato qui. Il suo menu, cucinato a quattro mani con Berglund, contava 14 piatti, tutti a base di merluzzo, incluso il fegato servito crudo. «Può essere mangiato così solo dopo pochissime ore dalla battuta di pesca», spiega Renaa. Quest’anno, la città di Trondheim ospita la finale europea del Bocuse d’Or, la più prestigiosa competizione culinaria a livello mondiale, in cui i cuochi norvegesi sono stati spesso protagonisti. Tre gli ingredienti da cucinare: merluzzo, stoccafisso e capesante norvegesi.
Ricambio generazionale
Anche Roger Jakobsen, Ceo dell'azienda ittica Brødrene Berg, è nato a Værøy. La famiglia Berg è originaria dell'isola di Vestvågøy, dove il pescatore Analius Aleksandersen nacque nel 1882. Alla fine del secolo si trasferì a Værøy dove iniziò la sua carriera. Prese il cognome Berg, mise su famiglia ed ebbe cinque figli. Tra questi c'era suo figlio Johan, che fondò l'azienda dove lavora Jakobsen. Roger è molto orgoglioso del suo lavoro e sta cercando di tramandarlo ai suoi figli. La più grande vive a Bodø, dall'altra parte del fiordo dell'ovest, in cui sta finendo le scuole perché a Værøy l'istruzione arriva fino ai 15 anni. «Vuole lavorare nel settore della pesca». Anche suo figlio più piccolo è un aspirante. Sta svolgendo un apprendistato in azienda grazie a un programma messo a disposizione dal governo norvegese che punta a evitare che i professionisti del settore della pesca si estinguano, un apprendistato di quattro anni in cui i giovani lavorano continuando a frequentare la scuola con corsi online e al termine del quale c'è un esame da superare.
Un ecosistema a rischio
Sull'isola di Værøy i pescatori hanno un privilegio: vivere ai confini del mondo avendo tutto il necessario. Ma la produzione ancestrale di stoccafisso potrebbe essere compromessa. Lo Skrei pescato ogni anno si aggira tra le 150mila e 400mila tonnellate (quest'anno la quota è di circa 200mila) ma potrebbe ridursi a causa del cambiamento climatico. Conclusione a cui nel 2019 sono giunti gli studiosi dello Skrei Convention Conference, riassunta in un paper dell'Università della Lapponia. La temperatura del Polo Nord sta salendo a grande velocità, il ph degli oceani sta diminuendo verso l'acidificazione. Nel caso del merluzzo, pesce che vive in acque fredde e semiprofonde, questo ha portato negli ultimi anni a una circostanza del tutto nuova: i pesci si stanno spostando più a nord. Pescarlo quindi è sempre più difficile.
Una volta scesi dall'elicottero l'odore dello stoccafisso è fortissimo, rimane attaccato su vestiti e zaini. I norvegesi lo chiamano “l'odore dei soldi”. «Smell is good», dice nel suo inglese durissimo Jakobsen. È il ricordo più nitido che rimane quando si lascia Værøy, le cittadine di Svolvær, Å, Ballstad o il pittoresco paesino di Henningsvaer. È l'odore delle Lofoten. «Sono cresciuto qui e non vorrei essere da nessuna altra parte», dice sorridendo mentre stiamo per sederci a tavola per mangiare dello stoccafisso.
Foto di Sonia Ricci