«Quando a Natale, quest’anno, non mangerò il cotechino, spezzerò una tradizione millenaria del genere umano». Nel suo ultimo libro “Ho mangiato troppa carne” (Editore Cairo) Lorenzo Biagiarelli parte da uno degli insaccati più amati delle Feste per dimostrare quanto in Italia il legame, quasi sacro, con la carne sia radicato. E perché sarebbe, invece, necessario spezzarlo. Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un estratto del libro, in cui il social chef e food blogger spiega la scelta, condivisa anche dalla compagna Selvaggia Lucarelli, di non mangiare più carne.
La “dittatura” del cotechino
Il fatto di non mangiare il cotechino il 25 dicembre renderà questo giorno un Natale “meno Natale”? Per Biagiarelli sì: «Per una serie di motivi legati a quel pezzo di carne. Significa che quello non è più un pezzo di carne, o meglio non lo è mai stato». Capire cosa rappresenta davvero questo insaccato, secondo l’autore, vuol dire anche comprendere cosa simboleggia la carne per il nostro Paese. E perché è così difficile rinunciarci, nonostante il costo enorme in termini di sofferenze di milioni di animali e danni all’ambiente.
Una curva unita per la carne
A spiegare la difficoltà di rinunciare a carne e derivati, secondo Biagiarelli, c’è innanzitutto «l’oltranzismo gastronomico» che si manifesta ogni volta che si mette in discussione la tradizione culinaria italiana. Per l’autore il «clima da curva» che si crea quando si parla di cucina italiana ha diverse spiegazioni: la prima è che la tradizione culinaria è uno dei pochi punti di contatto con il nostro passato, la seconda è che è anche uno degli ultimi presidi di identità nazionale e la terza è che la nostra è una cucina povera e democratica, in grado di mettere (quasi) tutti d’accordo. «Il cocktail che si ottiene mescolando questi tre spiriti è benzina per il patriottismo gastronomico di cui la carne è quasi sempre protagonista». Non è un caso che dei 321 prodotti italiani protetti da una qualche denominazione o indicazione geografica, più di un terzo sia di origine animale. Proteggere la carne, secondo l’autore, vuol dire quindi proteggere l’identità italiana, anche se comporta la macellazione di undici milioni di maiali l’anno.
La vita “facile” degli onnivori
Il legame stretto con la tradizione culinaria italiana non è l’unico ostacolo che rende difficile separarsi dalla carne. In chiusura dell’estratto del libro Biagiarelli scrive: «La verità è che, alla fine, ciò che ci lega più alla carne è la piccola galassia dei nostri egoismi. Il mio tenore di vita, la leggerezza di non dover setacciare il menu del ristorante ogni venerdì sera, la rapidità con cui una fetta di pollo diventa una cena dignitosa, il costo ridicolo di un Happy Meal e il gusto». Cambiare è difficile, ma si può iniziare a farlo un passo alla volta, partendo magari da un’alternativa vegetale al cotechino.