È di pochi giorni fa la notizia della distruzione di 2 milioni di bottiglie di Perrier, l'iconica acqua minerale frizzante del gruppo Nestlé Waters. Tecnicamente la motivazione è legata a motivi precauzionali in quanto l'azienda ha spiegato di aver notato un deterioramento della qualità dell'acqua in uno dei suoi pozzi nella regione di Gard. Nestlé ha parlato di una «deviazione microbiologica una tantum» a seguito di piogge molto intense legate alla tempesta Monica, che ha colpito il sud della Francia a metà marzo. Interpellata dall'Agence France-Presse, la filiale dell'azienda alimentare leader mondiale non ha specificato la natura della contaminazione, ma ha affermato che «tutte le bottiglie in commercio possono essere consumate in sicurezza». Dalle informazioni pervenute a Foodwatch però risulta che il provvedimento è una conseguenza diretta di un'ordinanza del prefetto del Gard (la massima autorità francese a livello regionale). Questa nuova rivelazione solleva ulteriori interrogativi sui rischi sanitari legati alle acque Nestlé, dopo che tali problematiche erano già state evidenziate dall'Agenzia francese per la salute e la sicurezza e ampiamente ignorate dalle autorità francesi.
Acqua filtrata spacciata per minerale
A fine gennaio scorso i giornalisti francesi Dominique Chapuis e David Barroux di Les Echos hanno rivelato che l'acqua minerale di marchi appartenenti alle multinazionali Nestlé Waters e Sources Alma, sarebbe stata filtrata utilizzando metodi illegali, come trattamenti ai raggi ultravioletti e ai carboni attivi. Dall'inchiesta era stato evidenziato come anche l'acqua del rubinetto veniva imbottigliata come minerale. Sebbene l'obiettivo di questi trattamenti «sia sempre stato quello di garantire la sicurezza alimentare», essi «hanno portato l'azienda a perdere di vista la questione della conformità normativa», ha dichiarato Nestlé Waters all'Agence France-Presse. La scorsa settimana però Radio France e Le Monde hanno rivelato ulteriori informazioni sul caso. Secondo le nuove informazioni, l'acqua in questione presentava un rischio sanitario e le autorità francesi ne erano a conoscenza.
L'omertà delle autorità francesi
L’Agenzia nazionale francese per l’alimentazione, l’ambiente e la salute e la sicurezza sul lavoro (Anses) aveva già messo in guardia il governo lo scorso ottobre. Nel rapporto, l’agenzia metteva in dubbio se l’acqua fosse sicura, sottolineando la contaminazione problematica, tra cui materiale fecale o batteri Escherichia coli «in concentrazioni talvolta elevate», pesticidi e altri inquinanti come Pfas. L'acqua veniva poi venduta senza alcun preavviso ai consumatori. In tutto ciò risulta preoccupante il fatto che il governo francese non avesse informato la Commissione europea né gli Stati membri della non conformità dei prodotti commercializzati da Nestlé Waters e Sources Alma. Per chiarire il ruolo dello Stato francese nel caso, Foodwatch France ha scritto alla commissaria europea per la Salute e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakides, chiedendo un parere. Intanto l'11 aprile scorso il Senato francese ha avviato una commissione d'inchiesta parlamentare con l'obiettivo di «far luce sulle mancanze dello Stato» in termini di monitoraggio dei produttori di acqua in bottiglia.
La giustificazione di Nestlé
Secondo la multinazionale l’obiettivo di questa pratica era garantire la sicurezza alimentare in quanto le sorgenti potevano essere contaminate da germi. Il problema è che secondo la direttiva europea in materia, l'acqua minerale naturale deve soddisfare determinati criteri: è di purezza originale e proviene da riserve idriche sotterranee protette da contaminazioni. Nella produzione e nella lavorazione dell'acqua minerale naturale sono consentiti solo pochi processi di trattamento e quelli utilizzati da Nestlé Waters e Sources Alma non erano tra questi. Nel 2021 Nestlé Waters ha deciso di informare le autorità sanitarie dell'uso di queste tecniche di filtraggio. L'interruzione dell'uso di questi dispositivi ha costretto l'azienda a sospendere l'attività di alcuni dei suoi pozzi nei Vosgi, portando a una riduzione dei volumi di produzione di Hépar e Contrex. La cessazione dei trattamenti incriminati, che ha coinciso con la fine della commercializzazione del marchio Vittel in Germania, ha anche spinto il gruppo a lanciare un piano di licenziamenti nella regione dei Vosgi, che ha portato alla perdita di 171 posti di lavoro concordati attraverso un accordo con i sindacati nel novembre scorso.