Caro Direttore,
a Santo Stefano accompagno due parenti alla Stazione centrale di Milano verso l'ora di pranzo e decidiamo di fermarci a mangiare al Mercato centrale. Risultato: un tortino di riso a 12 euro, due hamburger di Bastianich e una porzione di patatine fritte 30 euro, tutto con vista pullman.
Incuriosito, mi sono messo a girare per i banconi del Mercato e sembrava di stare nel food corner italiano di un supermercato all’estero, mettiamo in Islanda, dove vedi i prodotti che usi costantemente, ma a prezzi molto più alti. Alti come eccessivamente alto è bastato quest’anno, a mio modestissimo parere, il prezzo medio di un panettone non da supermercato, pericolosamente attestato oltre i 40 euro al chilo, non da Marchesi in via Montenapoleone, ma in una qualsiasi buona pasticceria.
Prezzi folli al Mercato Centrale, tra moda e lusso
Io spendo per il cibo gran parte del mio budget, comprendo per formazione che le cose belle e buone costano, che un ristorante gastronomico è un’esperienza di lusso e il lusso è raro e prezioso e deve (anche, non solo) costare.
Ma questo si applica al lusso. Riso al salto, hamburger (uno vegan e uno di pollo , peraltro), patatine fritte, persino il panettone, per quanto si voglia “complicare il pane” come cantava Samuele Bersani, non sono cibi di lusso, non lo sono mai stati.
Mettici la maestria, i migliori ingredienti (che valgono come giustificazione finché se ne coglie la differenza con quelli medi), il brand. Mettici pure gli insensati affitti milanesi, è sempre troppo.
Prezzi folli, cui prodest
Per chi? Non per i turisti che vengono una volta, non per chi, buon per lui, può permettersi di fare la spesa senza nemmeno guardare al prezzo, ma per tutti gli altri. Chi sono gli altri? Quelli che una volta erano la classe media, che a Milano comprava il panettone buono a Natale e che mangiava un panino in stazione se doveva partire verso l’ora di pranzo. Ma anche, più semplicemente, quelli che popolando un luogo lo salvavano dallo stigma di essere solo una trappola per turisti scemi, che almeno per il sottoscritto non è esattamente un buon biglietto da visita. Peggio ancora se la trappola per turisti scemi non è un singolo locale, ma un’intera zona di una città, quando non una città intera.
La logica della "nota spese"
Se tutti applicano indistintamente il concetto dello “sticazzi se i locali non si possono permettere di mangiare da me, c’è sempre il turista col grano o il manager con la nota spese” i luoghi si trasformano e non in senso buono. Non siamo Dubai, con buona pace di Briatore, vendiamo uno stile di vita anche molto legato al quotidiano, agli italiani che vivono bene tutti i giorni.
Se l’alimentazione (ossia la gran parte della cultura materiale del nostro Paese) sostenibile per la classe media urbana passa solo per il low cost e l’onnipresente, sempre più invasiva, GDO (ci sarebbero i mercati, che il Gambero ha meritoriamente premiato, ma bisogna avere tempo) stiamo segando le basi della nostra attrattività, come quelli che si rifanno troppo e, ritocchino dopo ritocchino, non li riconoscono più nemmeno i parenti.
Il panettone al prezzo giusto
In ogni caso, ho festeggiato Natale con un panettone artigianale piemontese a 25 euro al kg, decisamente più buono di quello che ho assaggiato, brandizzato da uno chef pluristellato (55 euro al kg), che confondeva l’umidità con la qualità. Soprattutto, a Roma mi aspetta quello di Noel Crochon, mago dei lievitati che mi ha rapito il cuore con il pan brioche. Lo fa solo per Natale, non devi aderire a nessuna massoneria né vincere lo squid game per averlo, 22 euro al chilo e poche musse. A me piace così.