Se gli chiedi qual è la sua petite madeleine proustiana ti risponde: il crème caramel: «È il dolce che mi faceva mia nonna». Eppure, Martín Leandro Castrogiovanni è un ghiotto di carne: la sua casa è attrezzata con tre griglie e può stare davanti alla brace anche dodici ore. La vita da celiaco di uno dei rugbisti più famosi al mondo non è poi così male, seppur abbia dovuto rinunciare alla birra del terzo tempo e alla pizza italiana. Qui ha raccontato il dietro le quinte della vita culinaria di un celiaco, fra pranzi fuori casa e contaminazione da glutine sempre dietro l’angolo. Come si difende?
Quando e come ha scoperto di essere celiaco?
Io sono celiaco d’adozione, lo sono diventato quando sono arrivato in Italia. Nel 2001 ho fatto il test e ho scoperto di essere intollerante al glutine. Dopo cinque anni, nel 2006, quando ero in Inghilterra, mi hanno diagnosticato la celiachia.
Come mai pensa sia manifestata solo arrivando in Italia?
Credo si sia manifestata qui perché la dieta è diversa: il grano è diverso, più raffinato, ci sono altri tipi farine, in Argentina si mangia molta carne e pochissima pasta o pane.
Quali sintomi aveva?
Nei cinque anni fra il primo e il secondo test definitivo, comparivano improvvisamente bolle sulle ginocchia, gomiti, sulla fronte e si pensava fosse psoriasi. E soprattutto ero molto stanco. Avevo problemi muscolari, piccoli stiramenti, fastidi. Ero anche abbastanza nervoso, questo succedeva perché prima delle partite mangiavo più carboidrati e spuntavano fuori tutti i sintomi.
Com’è cambiata la sua vita dopo aver scoperto di essere celiaco?
Sportivamente parlando sono cambiato tantissimo, sono diventato un altro giocatore: mangiando meglio giocavo meglio, però è stato difficile.
Quindi l’ha presa male quando ha scoperto di essere celiaco?
Malissimo. La birra…la pizza. Sono tutte queste le cose che ti vengono in mente all’inizio, e non riesci a capire come potrai fare senza.
Tra pizza e birra cosa l’è mancato di più?
Purtroppo, la birra. Sai, un rugbista, il terzo tempo… come vede però ci sono un sacco di birre senza glutine.
Però non è la stessa cosa?
Beh, credo che quelle che utilizzano l’enzima per eliminare il glutine siano più simili alla birra normale, quelle realizzate con altri prodotti, no. Uno si adatta.
Ci sono piatti che le piacciono e ha scoperto quando è diventato celiaco?
No, non ho scoperto nulla. Sono molto classico: pizza e cotoletta, le empanadas, ecco quelle mi mancano e le stanno riscoprendo senza glutine. Piano piano mi sto riprendendo quello che non avevo mangiato prima.
La gente vicina a lei, invece, come ha reagito quando l’ha saputo?
I miei compagni di squadra mi prendevano in giro (sorride, ndr.) la mia famiglia l’ha presa bene. Credo che la celiachia sia un problema da non sottovalutare, ma credo che ora la possiamo affrontare bene, c’è informazione e si possono mangiare un sacco di cose buone.
Com’è cambiata la situazione dal 2006 a oggi?
Nel 2006 in Inghilterra la celiachia non era molto conosciuta e quando dicevi di essere celiaco nessuno capiva, mangiavi solo carne e risotto, adesso non è più così, siamo molto avvantaggiati.
Almeno in Italia?
Sì, in Italia.
Perché all’estero com’è la situazione?
Sono stati anni molto duri, però ora l’universo celiachia sta cambiando. Spagna, Francia, Inghilterra stessa si stanno adattando.
E com’era la sua vita da celiaco in giro per il mondo?
Quando giocavo sicuramente era tremendo: girare, andare in paesi dove non è conosciuta la celiachia, ad esempio in Sud Africa. In quel periodo quando giocavo c’erano due scenari. Uno si concretizzava con la squadra: quando ero in giro con loro c’erano un sacco di persone che lavoravano per me e mi portavano tutto quello che era necessario perché mangiassi bene. Diverso era quando andavo da solo nei ristoranti – sto parlando del 2006-2007 – e dicevi celiachia, non capivano cos’era il glutine. Oggi invece credo siamo molto più fortunati.
Credo ci sia un po’ più d’informazione sulla celiachia in generale, ma si perdono per strada i dettagli, ad esempio la questione della contaminazione. Com’è la situazione quando va per ristoranti in Italia adesso?
Ci sono ristoranti e ristoranti. Quando vado a mangiare fuori capisco subito se il ristorante è adeguato o meno. Il problema, come diceva lei, è sempre la contaminazione: può essere il mestolo, o dove cucinano la bistecca, magari la grigliano dove hanno grigliato il pane prima. Sono piccoli dettagli che vanno curati, alcune persone possono anche rischiare la vita; perciò, credo si debba fare più informazione e formazione, in alcuni ristoranti manca.
Oltre la salute, non pensa sia diventato un po’ una tendenza mangiare senza glutine?
Sì, non sono molto felice nel sentire la gente che mangia senza glutine per tendenza. Io vorrei tanto mangiare quello che mangiano loro. La pasta senza glutine, per dire, si digerisce meglio di quella normale e credo sia questo il motivo per cui la gente, anche per tendenza, adotti una dieta senza glutine.
Lei cucina?
Mi piace un sacco cucinare, ho più spazio per la griglia che nella cucina di casa. Quello per ovvi motivi: sono un po’ artista quando cucino, sporco molto e mi trovo meglio davanti alla griglia, posso passare ore e ore, invito gente, accendo il fuoco alle otto del mattino e sto lì davanti fino a mezzanotte. È una passione, con la carne ci devi parlare. E poi, il fuoco unisce in tutti i sensi.
Visto che le piace un sacco la carne, che ne pensa della carne coltivata?
È una cosa nuova, come molte altre cose. Io personalmente non la mangerei, però non sappiamo come andrà il mondo e questa potrebbe essere un’alternativa valida. Io amo la carne però forse per il futuro del pianeta potrebbe essere importante, sì credo che le alternative siano importanti. Se non ci fosse stato chi ha pensato di produrre farina di riso o patate, io oggi non mangerei.
Perché non mangerebbe carne coltivata?
Siamo essere umani e oggi il cervello ci porta a mangiare quello che ci fa piacere e credo che nella mia testa oggi mangerei più la carne che sono abituato a mangiare. Fino a quando posso decidere, scelgo quello che sono stato portato a fare fin da bambino. Credo sia una questione culturale.
Esistono contributi statali per celiaci, concessi con importi differenti a uomo e donna in base al fabbisogno calorico: l’uomo consuma più di una donna e ha diritto a un bonus di entità maggiore. Poi, per gli anziani addirittura diminuisce. Cosa ne pensa a riguardo?
Ero a conoscenza di questo contributo, ma non sapevo della differenza in merito al fabbisogno calorico uomo-donna, allora a me per il peso dovrebbero dare 300 euro (sorride, ndr.). Credo che questa regola sia stata fatta un po’ senza pensarci.
Magari i bonus si potevano concedere in base all’Isee di ogni celiaco?
Esatto, come si fa all’università. Le persone celiache che non hanno un reddito alto si trovano in difficoltà: i prodotti per celiaci costano tanto, la pasta costa quasi il doppio di quella normale, e non sapevo fosse così, credo non sia giusto.
Inoltre, il contributo si può usare solo nella regione di residenza. Se un celiaco è fuori temporaneamente, non può usufruirne. Pensa sia una cosa corretta?
Mi sembra un po’ una scelta del Medioevo, sono leggi che sono state fatte molti anni fa a questo punto. Non aiutiamo le persone disabili, pensa quanto possono aiutare i celiaci. È un grande punto interrogativo.
Dove fa la spesa?
Oggi i supermercati sono pieni di prodotti senza glutine, magari la qualità non è la stessa di botteghe selezionate, ma quando uno vive nella frenesia e ha il supermercato sotto casa va lì. Quando devo fare una cena particolare so dove andare, qui a Roma è pieno di posti incredibili.
Se invita amici a cena a casa, loro le vengono incontro mangiando senza glutine?
Adesso non voglio creare false aspettative, i miei amici vengono perché cucino la carne (sorride, ndr.). I nostri barbecue sono abbastanza rinomati fra gli amici.
Quando viaggia, porta con sé del cibo o degli snack senza glutine?
Non sempre. Quando si viaggia in macchina, nelle stazioni di servizio c’è qualcosa per celiaci. Quando andavo in Argentina, per esempio, mi portavo qualcosa. Adesso anche lì si possono trovare empanadas per celiaci, per dire.
Lei ha un’Academy di rugby, la Castro Academy. Fate dei campus per ragazzi che durano anche una settimana. Ci sono stati casi di ragazzi celiaci?
Sì, i bambini sono lì e mangiano, dormono, si allenano, fanno tutto lì insieme. C’è un dottore, degli psicologi e sì, arrivano anche ragazzi con patologie legate all’alimentazione e devi essere pronto ad accogliere tutti. Sono arrivati anche ragazzi celiaci e mi hanno detto: “Castro, anche io sono celiaco” (sorride, ndr.) basta aiutarli e stare vicino.
Mi dice il suo ristorante preferito di Roma, quello proprio dove si sente a casa?
Con questa risposta rischio di perdere tanti amici (sorride, ndr.). Vado spesso in due posti: uno è il Cambio a Trastevere e l’altro è il ristorante di Marco Martini (ex rugbista, ndr.). Vedere che un rugbista sia stato capace di fare quei piatti lì, dà valore a tutti i rugbisti: sono artisti e intelligenti!
Foto di Alessandro Barattelli