“Dopo la chiusura stagionale, a ottobre, facciamo un paio di mesi in giro, con eventi e consulenze”. Spiega Marco Sacco, uno dei più autorevoli cantori della cucina di acqua dolce, che nel suo Piccolo Lago di Verbania, celebra con equilibrio e competenza. Quella che – dagli anni delle esperienze all'estero a quelli del ritorno in casa - ha maturato, elaborato e adattato al suo microcosmo lacustre.
Chef table al Piccolo Lago
A fine dicembre si raccolgono le idee per la stagione successiva, poi le ferie, a gennaio: “stacchiamo e solo dopo maturiamo quelle idee”. Si riapre a marzo, dopo un altro mese di lavoro sui piatti e le novità. Un primo cambiamento è la nuova veste dello chef table, “molto più conviviale” per i commensali (non più solo due): si tratti di servirsi direttamente dalla pentola portata in tavola, di finire da soli le preparazioni, o assaggiare piatti improvvisati. “Magari prendiamo uno degli elementi di un piatto che va in sala e lo trasformiamo in qualcosa di nuovo”. Così nasce un menu diverso, con alcune pietanze prese dai due degustazione, altre che non sono ancora in carta e altre ancora che non ci entreranno mai, su cui ragionare con il cliente. “Il piatto fine a se stesso non basta più: c'è bisogno della storia dietro, che dal cervello arrivi allo stomaco”, un'esperienza in cui il cliente passa dalla cantina alla cucina al giardino, “vivendo” le diverse aree del ristorante. “Alcuni ospiti fanno più di 200 chilometri per venire qui, voglio restituire l'esperienza del viaggio”.
La griglia di Marco Sacco. Meno tecnologia e più pratica
“La griglia, quella italiana” spiega Sacco l'altra novità “fa parte dei miei ricordi di bambino, di quando andavo in vespa alle feste campestri con mio padre”. Questa grande griglia “di cui era appassionato mio padre” ora troneggia nella sala del Piccolo Lago e si offre allo sguardo dei commensali. “Oggi la posso valorizzare usandola in modo più scientifico”. E via allora alla ricerca: legno, profumi, segatura, gradazione della brace, qualità del fumo. “E la carne più adatta per ogni tipo di fuoco”.
Niente giochi di prestigio, insomma: “ripartiamo da chi siamo e da dove eravamo: la brace, il fumo, i sentori primordiali”. E spiega: “Pure con tutta la tecnologia che abbiamo a disposizione, per me tutto parte sempre dal fuoco. Da quel fuoco primordiale che ha cotto incidentalmente una carne”. Oggi ci sono strumenti e possibilità di studio “per capire cosa è questo gesto primordiale”. Qualcosa che parla un linguaggio diverso da quello delle cucine moderne ad alto tasso di tecnologia “gli strumenti si programmano, il fuoco si deve gestire” spiega “c'è solo il cuoco che ha la cucina tra le mani, elimina gli attrezzi” e in un certo senso i filtri. “Non è programmabile” conclude “tutto avviene in diretta sotto gli occhi dei clienti”.
Il fuoco e i prodotti
Il fuoco diventa il legante tra i menu, uno che guarda al passato con i piatti storici, uno tutto rivolto al futuro. E nel gioco degli elementi acqua e fuoco si uniscono. Il legno? Faggio per il 70%: “quello della zona qui intorno al ristorante: molto duro e poco resinoso, dà una brace calda che mantiene per molto tempo”. E consente una cucina estemporanea: “metti una patata, una cipolla nella cenere, sposti la brace e fai partire la fiamma. Hai fumo, aromaticità e una bella marcatura del prodotto”. Così per il pesce: “arriva il pescatore con un lavarello da un chilo, un fuori programma. Parte la brace, e ne esce un piatto conviviale da condividere tra i tavoli”. Sul fuoco finisce anche il capretto locale, “lo facciamo intero allo spiedo, il fegato alla brace”. Ci vuole esperienza e abilità - “il cosciotto e la spalla hanno una cottura più lunga” - ma poi il risultato è una carne morbidissima, che si scioglie in bocca, con l'aroma di fumo. “Partiamo dall'animale intero che poi scaloppiamo, alla vecchia maniera”.
Il ritorno al classico
La vecchia maniera, è il leitmotiv ricorrente: “stiamo riscoprendo un turismo come quello degli anni '40 e '50: famiglie inglesi e americane che tornano nei grandi hotel, meno pullman e turismo mordi e fuggi, più ospiti di qualità, attenti anche al cibo”. Complice anche una gastronomia finalmente orgogliosa della propria identità, che sa valorizzare l'ambiente lacustre. Una svolta di cui Sacco è uno dei capofila: “tutti i giovani della zona sono stati in un modo o nell'altro miei allievi” racconta. L'esperienza di Gente di Lago e di Fiume, da lui creata, rappresenta un tassello fondamentale anche per la capacità di aggregare profili professionali diversi - pescatori, chef, albergatori, industriali - intorno al tema dell'acqua dolce, con l'intervento di cuochi locali e altri di diverse regioni, che approcciano il pesce di acqua dolce in modo diverso, portando in consegna visioni e contaminazioni nuove. Per esempio nei brodi, zuppe di acqua dolce che non appartengono alla tradizione locale. Del resto questa zona è da sempre un crocevia in cui i viandanti sostavano portando prodotti, culture e conoscenze diverse; “ecco perché ci sono pompelmi, cedri e olivi” adattati grazie a un microclima favorevole, come dimostra Villa Taranto, tra i giardini botanici più belli al mondo. “Lo stesso probabilmente è dentro il lago”. Dice, per invitare a un approccio più consapevole delle trasformazioni dell'ambiente lacustre.
Cucina di lago, progetti e prospettive
Questioni toccate nella seconda edizione di Gente di Lago, a ottobre scorso, dove sono emerse problematiche legate alla pescosità, alla presenza di pesci invasivi e all'impatto su pescatori e cuochi. “Per esempio le alborelle non ci sono più, ma ancora qualcuno le mette in menu, bluffando, invece di raccontare la verità ai turisti” sottolinea. “Dobbiamo confrontarci con il bacino delle prealpi e con il nord Europa, che vive di acqua dolce da sempre, e molti dei loro pesci sono arrivati qui”. Un'emigrazione al contrario, verso il caldo? “I motivi sono diversi” tra gli altri l'arrivo di specie non autoctone per la pesca sportiva, “facili da prendere e divertenti, ma gli esemplari che rimangono nel lago nel tempo cambiano l'ecosistema, che si adatta. Anche il gardon e il luccio perca sono una presenza recente. Non più di 100 anni”. Quindi l'intervento dell'uomo sta cambiando l'habitat “la natura sistema tutto, dice la scienza, basta dargli tempo” e aggiunge “nel frattempo occorre adattarsi ai cambiamenti e raccontare quello che succede: la chiave per uno sviluppo sano è dirci cosa cambia e dirlo agli altri”. È una filosofia che Sacco adatta in ogni contesto, a Verbania come a Hong Kong.
Marco Sacco e Hong Kong
“Hong Kong è una piazza che conosco bene, ho avuto una consulenza per 4 anni, lì” dice per introdurre il locale che aprirà in questi giorni: circa 50 coperti, con un angolo bar per aperitivi, cocktail italiani e caffè. Un angolo di Piemonte in oriente, con una proposta inedita di alta cucina regionale che punta dritto all'eccellenza di prodotti e preparazioni tipiche, realizzate con spirito e competenze moderni.
Fuori dai grandi alberghi e dai mega gruppi ristorativi: un ristorante indipendente, su strada, come si fosse all'ombra della Mole: plin, vitello tonnato e altri grandi classici piemontesi “fatti a regola d'arte” perché “all'estero lo spaghetto al pomodoro fatto bene è vincente. Più del fine dining e del fusion. Noi siamo di sostanza, e oggi possiamo spingerci oltre e proporre la cucina regionale, ora che anche lo straniero comincia a capire, e poi abbiamo due prodotti forti, tartufo e Barolo”. A Hong Kong arriva tutto, anche di piccolissimi produttori, si tratti di formaggi, pasta, carni o dei pesci d'acqua dolce che sono il cuore della cucina di Sacco. Nessun problema con il vero made in Italy, insomma.
Si chiama Castellana - Authentic Piedmont Cuisine. Castellana è il nome di una maschera del carnevale di Saluzzo, “che simboleggia il connubio tra nobiltà e giustizia e mantiene vivo il legame con le mie radici” dice Matteo Morello il giovane imprenditore che – dopo anni di esperienza nel mondo della ristorazione in estremo oriente - ha deciso di investire di un ristorante autenticamente tricolore: arredamento italiano – pur se nell'avveniristico grattacielo Cubus, firmato dallo studio Woods Bagot - piatti Richard Ginori, posate e bicchieri made in Italy.
Investimento? “Un milione e mezzo di euro, con obiettivi di fatturato sui 3 milioni l'anno”. Fino a dicembre – in fase di start up – la presenza di Sacco è limitata a una consulenza. “Poi l'intenzione è entrare in società”.
Nel frattempo a Verbania si provano piatti e si scelgono fornitori, si analizza il food cost e si codifica la ricetta in inglese con tanto di passaggi e foto. Quella che l'executive chef – Enrico Degani – dovrà sapere a memoria per fare a sua volta il training alla brigata. Tre menu degustazione: il primo richiama i piatti del Piccolo Lago come il Lingotto del Mergozzo e la Carbonara au Koque; il secondo più tradizionale, con tutto il coté regionale a base di vitel tonnato, ravioles della Val Varaita e bonet piemontese, il terzo legato alla stagionalità.
Il tutto da accompagnare a una cantina (480 etichette) che parla, per il 70%, piemontese, con Barolo e Barbaresco a fare la parte del leone, anche con vecchie annate. Il tartufo, altro campione regionale, dominerà la scena al cocktail bar, diventando protagonista di drink studiati ad hoc (ma non solo).
Piccolo Lago - Verbania (VB) - Via Filippo Turati, 87 - 0323 586792 - http://www.piccololago.it/
Castellana - Hong Kong - Cubus - 10/F, Cubus, 1 Hoi Ping Road, Causeway Bay - 3188 5028 - https://www.castellanahongkong.com/
a cura di Antonella De Santis
foto di apertura di Adriano Mauri