Onorare il sacrificio dell’animale. È un dibattito senza fine, ma il pensiero più diffuso è proprio questo: se si mangia la carne, allora non bisogna fare differenze. Poco importa che si tratti di un cucciolo, come nel caso dell’agnello pasquale, o di una mucca adulta, cosa cambia se sul piatto ci finisce una coscia o un cuore? Eppure, certe ricette disturbano più di altre, pur essendo in qualsiasi caso il frutto di uno stesso procedimento - l’uccisione dell’animale.
Il piatto-provocazione di René Redzepi
Come l’ultima, provocatoria specialità pensata da René Redzepi, che dopo aver messo in carta muffe e formiche, ha deciso di optare per il grugno di cinghiale. Una piccola cocotte di terracotta con un liquido bruno, dal quale affiora il naso dell’animale, condivisa sul suo profilo Instagram con foto di rito e una domanda, chiara e semplice: Riuscireste a mangiarlo? In molti hanno risposto positivamente, ma c’è anche chi ha intimato lo chef di smettere di umiliare gli animali.
Quando si oltrepassa il limite
Ma quand’è che si oltrepassa il limite? Quando il mangiare tutto diventa mangiare troppo, e soprattutto perché, se tutti gli abbattimenti sono uguali, ci si indigna solo di fronte ai piatti che mettono in scena la morte in maniera più evidente? Non c’è differenza se si sceglie di addentare una zampa o un orecchio, allora perché siamo turbati dal primo piano del naso? Che si tratti di una glorificazione del sacrificio animale? Certo sarebbe irrispettoso, irriverente, una sorta di pornografia del dolore, ma in fondo qualsiasi foto di grigliate tra amici, cenone di Natale, dell’ultimo smashed burger aperto in città, rappresenta la stessa cosa. Una cucina di tradizione o d’avanguardia, ma pur sempre basata sulla sofferenza animale.
La mente umana ha dalla sua una serie di strumenti speciali da mettere in campo in questi casi, così quando mangiamo una bistecca dissociamo l’idea del bovino vivo, quello nel piatto diventa solo un prodotto come tanti altri, un qualcosa e non un qualcuno. Trovandoci di fronte un naso intero, però, quest’operazione di scissione tra l’idea dell’animale e quella del cibo, si fa più complicata.
Così come risulta più difficile provare empatia per una seppia, piuttosto che per un maialino che scodinzola, ma in fondo è questo il pensiero alla base dello specismo, che è ciò che combattono i vegani: pensare che alcune specie siano superiori ad altre. Lo stesso motivo per cui un vitello fa più tenerezza di un’oca, pur essendo entrambi esseri senzienti, in grado di provare dolore, creature a cui viene strappata la vita per finire in cucina.
Animali tutti uguali
Orwell lo diceva già nel 1945, tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri. A quanto pare, vale anche per i loro muscoli, organi interni, articolazioni. Componenti tutte uguali, ma non poi così tanto, altrimenti perché tagliare il petto via dal pollo è socialmente accettabile e immergere un naso in un brodo no?