“Le tradizioni culinarie sono il riflesso del modo di vivere e della cultura di una comunità, a questo titolo è importante trasmetterle alle generazioni che vengono dopo di noi”. Queste le parole che il Principe Ranieri III dedicava all’enogastronomia del suo paese qualche anno fa, nell’introduzione al libro “Saveurs de Monaco” di Paul Mullot. Il principato infatti, nonostante le sue piccolissime dimensioni (2,02 km quadrati: dopo la Città del Vaticano, il secondo stato sovrano più piccolo al mondo) ha da sempre saputo legare a livello internazionale il suo nome a quello dell’alta cucina, imponendosi come lo stato con il maggior numero di chef stellati al mondo pro capite, davanti alla città basca di San Sebastian. Ma se sulla cucina “alta” non si discute, è interessante andare a scoprire anche le tradizioni “povere” di questo regno mediterraneo, figlie di secoli di storia e di confini moto più ampi che oramai non esistono più.
Monaco: la storia
Geograficamente incastonato tra Francia e Italia, Monaco condivide con questi due stati maggiori il proprio passato: Signoria rinascimentale (spesso in guerra con l’altra potenza regionale, Genova), sotto il dominio della famiglia Grimaldi dal 1297, questa città-stato ha incluso a sé molti altri territori molto per gran parte della sua storia. Fu infatti solo dopo la Rivoluzione Francese, quando i Grimaldi furono estromessi dal principato, e con il successivo avvento di Napoleone che le tre città monegasche, Monaco, Roccabruna e Mentone persero la propria indipendenza e divennero parte integrante della Francia, nell’arrondissement di Sanremo, dipartimento delle Alpi Marittime.
Tornato stato sovrano con il Congresso di Vienna nel 1815, nel 1860 (quando Nizza e la Savoia furono cedute alla Francia in base agli Accordi di Plombières) Napoleone III si appropriò in via definitiva delle altre due città, pagando 4 milioni di franchi-oro al principe di Monaco.
Avendo perso l'80% del proprio territorio e soprattutto tutti gli approvvigionamenti agricoli (coltivazioni di ulivi, limoni, peschi...), il principe Carlo III iniziò a puntare tutto sul turismo, e approfittando dell'arrivo del treno e della creazione di una strada carrozzabile, diede origine al casinò, prima sulla Rocca, poi sull'altipiano delle Spelonghe (ribattezato in suo onore Monte-Carlo) che divenne il luogo di maggior prestigio del Principato.
Cosa mangiare a Monaco?
Essendo situato a 18 chilometri a est di Nizza e 14 km a sud-ovest di Ventimiglia, e come già detto non avendo a disposizione larghi appezzamenti di terra coltivabile, ovviamente Monaco è da secoli ormai completamente dipendente dai due stati maggiori, e con essi scambia tradizioni e ricette. Ciò nonostante esistono alcuni piatti tipici, spesso varianti di ricette comuni a tutta la Riviera, che meritano di essere citati. Il più famoso è senza dubbio il Barbagiuan, che in dialetto monegasco significa "uncle Jean" o “zio Giovanni”. Questo fagotto di pasta fritto a forma di mezza luna, è tradizionalmente farcito con foglie di bietola (anche se oramai è comune che per seguire la stagionalità in estate si faccia con la zucca rossa), e può venir consumato come aperitivo, o come antipasto. Questo piatto è estremamente trasversale: dal fornaio al ristorante, fino ai ricevimenti reali, questo raviolo è talmente tipico da prescindere classi sociali e portafogli e da trovarsi a suo agio su ogni tavola che voglia rendere onore al principato.
È possibile mangiare a Monaco a Km 0?
Se voleste assaggiare qualcosa che sia anche prodotto nei confini nazionali, la scelta ovviamente si ridurrebbe al pesce, che qui viene spesso presentato (soprattutto il branzino) con una ricetta a base di verdure mediterranee chiamata “alla Monegasca”. Ma, anche se sulla tavola reale i prodotti ittici abbondano, vige però un embargo: il principe Alberto e la principessa Charlene infatti hanno deciso di boicottare a palazzo il tonno rosso, per mandare un messaggio in favore della salvaguardia della specie minacciata dalla pesca indiscriminata. C'è però un interessante progetto di allevamento di ostriche di Monte Carlo nel porto di Fontvieille, Le Perles de Monte-Carlo, nato dalla fine di dicembre 2012. Questi molluschi nascono nel Mediterraneo, crescono nei migliori parchi della Bretagna per poi essere affinate per un paio di mesi presso l’Ecloserie de Monaco a Monte Carlo dove vengono nutrite con un plancton della zona che ne determina un sapore molto dolce e raffinato.
Per quanto riguarda le verdure, invece, l'offerta è assai ridotta: tra i pochi prodotti agricoli autoctoni di cui si ha notizia invece, sono quelli coltivati nell’orto del giardino reale. Un angolo segreto la cui esistenza è nota perché la principessa Grace, americana trasferita in Europa, desiderava avere un po' della sua terra di origine in giardino. Quale? Il mais, naturalmente. Ma vista dall'alto, Monaco è un polmone verde, per via dei molti aree green biologiche nascoste sui tetti delle case e nei cortili nascosti, merito di una start up nata 5 anni fa per creare degli orti urbani sospesi tra la terra e il cielo di Monte Carlo. Dopo appena un anno dall'avvio del progetto, Terre de Monaco è diventata una delle maggiori aziende agricole urbane private al mondo, che conta oggi circa 1600 metri quadrati di superficie coltivata nei luoghi più iconici del Principato, dalla Fondazione Albert II di Monaco e all’hotel Monte-Carlo Bay, all'Ospedale Principessa Grace, ma il progetto include spazi verdi di superfici di dimensioni diverse, da pochi metri quadrati in poi, con alberi da frutto, ulivi, ortaggi, vecchie varietà di piante, ed è oggi partner di ristoranti, hotel, scuole e altre strutture che possono contare su una produzione locale.
Mangiare a Monaco: il dolce tipico
Nel 1974, per celebrare il 25 ° compleanno del Principe Ranieri III, il Comune di Monaco organizzò un concorso rivolto a tutti i pasticceri del paese, chiedendo loro di realizzare un dolce originale. Il premio fu assegnato alla Maison Mullot per la creazione dei Pavés du Rocher, dolcini a base di miele, arancia e marzapane, ormai affermatosi come uno dei prodotti tipici da provare.
Cosa bere a Monte Carlo?
È bizzarro pensare a uno stato europeo della fascia mediterranea senza vini celebri, ma le dimensioni comì contenute rendono difficile una produzione orizzontale come quella richiesta dalle vigne. Ma è altresì estremamente interessante quello che si sta sviluppando per il verticale, ovvero tramite gli alambicchi.
La prima microdistilleria del Principato ha da poco aperto i battenti e ha scelto un nome tautologico: Distillerie de Monaco a sottolineare il legame con un territorio di cui si vuole fare interprete: sta provando a mettere in bottiglia i sapori più tipici di questa terra, come si può vedere nel liquore l’Orangerie, prodotto con le arance amare che crescono lungo i viali del regno, oppure Carruba, a base di frutti della carruba, l’albero nazionale di Monaco, i cui baccelli sono tostati e poi macerati per estrarre tutti i sapori.
Ovviamente, oltre alla liquoristica, qui viene anche prodotto un gin – ormai prodotto immancabile nel ventaglio di offerte di una distilleria moderna - che usa come botaniche diverse tipologie di agrumi costieri non trattati, provenienti tutti da un raggio massimo di 20 km e coltivati da piccoli produttori. Ad arance amare del Principato di Monaco, arance dolci, limoni di Menton, pompelmi, lime, cedro e bergamotto vengono aggiunti inoltre zenzero fresco, del pepe Sichuan e del timo limone, oltre il fondamentale ginepro.
La birra del Principato
Nel panorama delle bevande autoctone, oltre ai distillati, c'è anche una birra prodotta nel Principato di Monaco, quella di La Brasserie de Monaco, attivo dal 2008 a Port Hercule. Il progetto si ispira ai segreti e alla tradizione di un vecchio birrificio monegasco, fondato nel distretto di Fontvieille tra il 1905 e il 1972. Da una selezione di malti biologici vengono prodotte una bionda, un’ambrata e una bianca non filtrate e non pastorizzate.
Un bel riscatto pensando che con il nome “Monaco” in Francia si intende un famosissimo cocktail a base birra a cui vengono aggiunti limonata e sciroppo di granatina, e che con il principato non ha nulla a che spartire.
a cura di Federico Silvio Bellanca