Non c’è evento in Europa che riesca a tenere il polso delle tendenze e del vento che tira nella cucina contemporanea più di Madrid Fusión. Il congresso spagnolo fondato e presieduto da Jose Carlos Capel - da due anni acquisito dalla società Vocento - in questa edizione, come visto già nella prima giornata, punta tutto sul dibattito intorno alla semplicità, dall’essenza del prodotto locale fino al focus sui principi di nutrizione e salute.
Prodotto locale approccio globale
Principi fondamentali, ad esempio, per la cucina cinese tradizionale, da sempre focalizzata sul cibo come medicina. È Vicky Cheng a introdurre l’argomento sul palco dell’Auditorium: chef cinese di scuola francese, è tornato a Hong Kong per aprire il VEA Restaurant & Lounge dopo numerosi anni di formazione in grandi cucine del Nord America (su tutti con Daniel Boulud al Daniel di New York). Nel suo ristorante, al trentesimo piano del The Wellington, mescola il grande patrimonio cinese con la cultura e le tecniche apprese in Occidente, basandosi sugli ingredienti autoctoni, a volte anche rari, dai granchi dentellati ai cetrioli di mare.
I cetrioli di mare
Questi ultimi sono divenuti il suo cavallo di battaglia, grazie a un lavoro sulla texture che trasforma la tradizionale caratteristica gelatinosa data dal collagene – per questo il cetriolo di mare è considerato un alimento molto pregiato e salutare in Cina – in croccantezza. Si opera sul cetriolo di mare essiccato (in Oriente molti pesci e frutti di mare si commercializzano in forma essiccata e acquisiscono valore in proporzione alla loro “vecchiaia”): un prodotto quindi molto duro in origine, che viene reidratato con vari passaggi, prima in acqua a temperatura ambiente e poi in acqua bollente (per un processo che in totale dura quasi una settimana), fino a raggiungere una consistenza soffice ed elastica e a raddoppiare nelle dimensioni. Una volta pulito dalla sabbia e dalle interiora, il cetriolo di mare è pronto per essere cucinato, quindi per essere sottoposto al processo creativo nelle mani del cuoco. Viene poi farcito con una mousse di capesante e gamberi, avvolto in pellicola e bollito, quindi fritto solo in superficie, versandovi olio bollente, fino a far diventare l’esterno molto croccante. Ecco che si avvicinano due mondi lontani: Cheng interviene su un prodotto prettamente locale – molto familiare al pubblico cinese – per modificarne la consistenza, renderlo gradito anche a palati non avvezzi a una mollezza così estrema e creare un piatto totalmente nuovo.
Lo stesso assunto da cui praticamente partono i fratelli Artem e Alexei Grebenshchikov al Bourgeois Bohemians di San Pietroburgo, una delle città invitate in questa edizione di MF. La Russia, ne abbiamo scritto più volte, è in preda a una vera e propria rivoluzione agroalimentare, partita dalle necessità di autoproduzione – a causa dell’embargo – e dalla volontà di molti giovani cuochi di ricostruire l’alfabeto autoctono dei sapori, cancellati dall’omologazione di regime. La creatività è esplosa, insieme alla ricerca delle radici: due istanze ben condensate al BoBo, dove si parte dal conosciuto, dal retroterra gustativo indigeno, per creare piatti completamente nuovi.
“Il nostro obiettivo è salvaguardare il gusto russo in un’epoca di globalizzazione” racconta Artem Grebenshchikov mentre presenta un piatto che unisce aringa e pane nero, due ingredienti ipertradizionali della gastronomia russa, lavorati in maniera pienamente contemporanea: caviale di aringa, gelato di pane nero, aneto fritto. Così per la classica accoppiata patate e cipolle, che va a comporre un piatto dall’estetica molto essenziale con succo fermentato di patate, cipolla cotta sottovuoto, granchio saltato e maionese di aneto, o per topinambur e bacche, usuali ingredienti da paese freddo che si trasformano in un dessert senza aggiunta di zuccheri, nel quale nocciole, caffè e cioccolato si sposano a frutti di bosco e caramello di topinambur.
La cucina del senza e del con
Tra i temi chiave della contemporaneità, la capacità di rispondere alle nuove esigenze alimentari, siano determinate da allergie, intolleranze, mode, manie o prescrizioni mediche, religiose, filosofiche. Quale che siano i motivi, a fronte di un panorama alimentare sempre più ricco di ingredienti, ricette e tecniche diverse, sono moltiplicati vincoli e limitazioni alimentari. Richieste che la ristorazione – soprattutto quella di fascia alta - non può ignorare. “Prendersi cura delle persone è ciò che amiamo fare” dice Josep Roca (El Celler de Can Roca, Girona); obiettivo raggiunto grazie a un'organizzazione complessa che mette insieme sala, cucina e ricevimento. Tre persone di riferimento in ogni settore che consentono, a ogni reparto, di essere adattabile e capace di rispondere con prontezza a ogni richiesta o imprevisto. Nel caso delle restrizioni alimentari gli imprevisti sono rari ma non impossibili: si prenota con quasi un anno di anticipo, si conferma un paio di mesi prima segnalando preferenze o restrizioni alimentari e così, passo passo, un organismo si muove per adattarsi e dare la risposta migliore.
I due menu, Tradizione e Festival, sono complessi: rispettivamente 250 ingredienti e 400, tra cui molti allergeni. Sviluppare un buon menu significa anche farlo in modo da poter eliminare un ingrediente, lasciando intatta l'essenza del piatto. Note alimentari alla mano (a volte le più disparate, ma tutte rispettate al millimetro) si mette in moto una macchina che adatta, sostituisce, elimina. A volte improvvisa, ma senza che il servizio ne risenta, spiegano i maitres Melchor Montero e María Suárez. Così che il menu sia su misura per il commensale, anche il più difficile. Solo nelle ultime due settimane del 2019 su 1589 ospiti, ci sono state 92 segnalazioni di allergie o intolleranze. Per ognuna di queste il folto team del Celler ha modellato il menu. No pesce, no carne, sì carne no latticini, no cannella, no glutine, sì frutti di mare, no frutta secca. Il foglio delle prenotazioni e quello di cucina parlano da soli: un elenco lunghissimo di voci e varianti. Il segreto? La formazione (ogni martedì) e poi “comprendere, prima di tutto, coltivare la sensibilità, sviluppare una capacità di adattamento a partire da eleganza, empatia, buon gusto” conclude Roca. Perché invitare una persona a cena, non significa prendersi solo cura della sua felicità ma anche della sua salute.
La nuova era del dolce
E a questa salute guarda René Franck, chef del dessert restaurant CODA di Berlino. Un posto in cui la pasticceria è la protagonista dell'intero menu (il lungo, da 7 portate e il corto, considerato un after dinner, da 4) assottigliando i confini tra dolce e salato. “Se nel piatto sono presenti i 5 gusti, umami salato dolce acido amaro, al termine del menu si sarà pienamente soddisfatti, senza l'esigenza di mangiare piatti salati”. L'importante però è bilanciare perfettamente i sapori, scegliere con cura ingredienti sani, naturali, senza cedere a quella scorciatoia industriale rappresentata dallo zucchero raffinato - “che è per il dolce quel che il glutammato è per l'umami” dice.
Una scelta che implica un grande lavoro nello sviluppo delle ricette. Le sue sono ricche di equilibrio e non lesinano ingredienti abitualmente impiegati nelle pietanze salate come la carne o il pesce. Ma è la ricerca sugli zuccheri naturali che spinge più in là l'asticella del tedesco. Miele, sciroppo d'acero, zucchero di cocco – certo - ma anche sciroppi prodotti a partire da succo di frutta e verdura concentrati, fermentazioni. Una strada cui si aggiunge, a sorpresa, un contributo da Angel León (Aponiente, Cadice), lo chef del mare, che continua con tenacia la sua indagine su quella dispensa segreta, interpretata come un organismo complesso.
Il miele marino di Angel León
Come già aveva fatto con lo zucchero del mare, León ha presentato un nuovo prodotto, il miele marino, un liquido viscoso estratto da una pianta acquatica, la ruppia marittima, che Leon serve su un'alga che ricorda un nido d'ape. E, a proposito delle evoluzioni del dessert, che dire di Essenza? Il dolce storico di Niko Romito, datato 2008. Uno dei primi piatti che hanno segnato la sua svolta gastronomica: un dolce senza zucchero, con note amaricanti decise, volutamente sbilanciate nell'ingresso in bocca ma poi pulitissimo. Un dolce innovativo: da ben 12 anni.
Il rischio della semplicità
È Niko Romito il cuoco dell'anno. Lo chef del Reale di Casadonna, a Castel di Sangro, che già un paio di anni fa aveva portato la sua ricerca al congresso, fa in quest'occasione un riassunto della sua cucina. Una traiettoria, dice Capel che non lesina complimenti a Romito, che interpreta perfettamente il senso di questa edizione del congresso, che indaga la semplicità nella sua complessità. Non un gioco di parole, ma la voglia di andare a fondo con concetti nuovi, più diretti al cuore e alla pancia, pensieri e pratiche gastronomiche che stupiscono e segnano senza strafare. “La semplicità è un atto di coraggio” spiega Romito, che aggiunge “che affrontando ricette, ingredienti, sapori conosciuti e riconoscibili ci si espone e ci si mette molto in gioco”.
Lui lo fa da esattamente 20 anni (che bel regalo per questa ricorrenza) con un percorso che non ha avuto cedimenti né incertezze. Perfettamente coerente, ha puntato alla purezza estetica e dei sapori, sommando profondità, significato, risonanze, sviluppando tecniche e concetti. Il lavoro sugli estratti, le basi, i vegetali, il pane, le stratificazioni, l'invisibilità dell'ingrediente, il lavoro con l'acqua. Tutto per giungere all'essenza, alla massima semplicità apparente. 20 anni di ricerca dell'essenzialità condensati in poco più di mezz'ora: dal pancotto – primo tentativo di elaborazione di un piatto classico - al cavolfiore gratinato, in cui riunisce tutte le tecniche che ha studiato in questi anni di prove e calcoli e che oggi apre il suo degustazione. Un percorso di grande complessità, prove e studio, ma in cui il linguaggio rimane semplice, solo il gusto suggerisce il lavoro che c'è dietro ogni piatto.
Gli usi culinari di un verme di mare: la tita
Nella laguna d'acqua salata che circonda il suo Aponiente, León ha scoperto gli usi culinari di un verme di mare, una delle novità che saranno in tavola nella prossima stagione del ristorante andaluso: noto come tita, in Spagna utilizzato come esca per la pesca, in altre parti del mondo è una prelibatezza: "costa 650 euro in Giappone" dove è molto apprezzato per il suo sapore, vicino a quello di un asparago. "I pregiudizi vengono rimossi quando scopri che è buono", ha detto lo chef del mare, che ha rivendicato l’edonismo nel mangiare qualcosa di sconosciuto per la propria cultura culinaria.
Tra le preparazioni elaborate con la tita, molto ricco di proteine e collagene, un aspic e un pil-pil. L’auspicio di León è di rendere questo prodotto alla moda, affinché si diffonda nei ristoranti: significherebbe "creare posti di lavoro per i pescatori di crostacei a Cadice e abbassare la pressione su specie più ambite e minacciate dai consumi eccessivi”. Tra le altre novità della stagione 2020 di Aponiente, oltre al miele marino, il cocido madrileno di palude, in cui carne e ingredienti tipici della zuppa castigliana vengono sostituiti, tra gli altri, da salsiccia di sgombro, patata marina e dalla chaetomorpha, un’alga invasiva (da qui il titolo della ponencia di León: “Se non puoi combatterlo, mangialo”).
a cura di Antonella De Santis e Pina Sozio