«Sushi? Sashimi? Ceviche? Se questa è la moda di oggi, almeno in una città cosmopolita e sofisticata come Milano, la vera provocazione è servire una lasagna o una grigliata di carne. Naturalmente fatta come si deve. E come faremo proprio noi anche qui da Lubna». Romagnolo verace, 42 anni, un pedigree professionale di tutto rispetto, Enrico Croatti è oggi chef tanto affermato che affamato: di nuove sfide, anzitutto. Come quella lanciata dai fornelli di Lubna, affascinante ristorante inaugurato proprio in questi giorni nel capoluogo lombardo. La sua provocazione – che avviene sotto forma di (golosi) piatti del menu – interpella direttamente il mondo della ristorazione, specie quella gourmet, che oggi spesso appare smarrita o in qualche modo “in cerca d’autore”.
Perché ci scandalizza tanto l’idea di trovare una lasagna (qui passata su una brace di legna) o una grigliata di carne nel menu di un ristorante gourmet? «È sbagliato dover essere giunti a tanto. E se è per questo – ci dice Enrico Croatti – da noi troveremo anche lo spiedino di calamari alla romagnola o i passatelli in brodo grigliato (con porcini essiccati) che tanto difficilmente riusciamo a gustare al di fuori dei circuiti regionali. Io credo che purtroppo ci siamo assuefatti alle mode. E certamente è più facile per tutti noi pensare a un sashimi o a un tomahawk. Del resto anche i miei ragazzi quando ho illustrato loro la mia idea di cucina mi hanno guardato perplessi, per non dire del personale di sala: “ma come, la grigliata mista a Milano?” sembravano dirmi quasi con aria schifata».
Eppure la scommessa coraggiosa dello chef del ristorante Moebius Sperimentale, sempre a Milano, e che oggi innerva la proposta di Lubna, nasce da una riflessione semplice ma tutt’altro che banale: «Non è vero che la gente non vuole o ha smesso di chiedere di mangiare i grandi classici della cucina italiana. La gente, piuttosto, se li è dimenticati. Il mio obiettivo non è seguire una cucina di tendenza, ma di “controtendenza“. E dove a diventare protagonista deve essere la semplicità insieme alla qualità dell’ingrediente. Qui al centro troveremo il fuoco, quest’elemento primordiale che per me rappresenta la vita».
Per realizzare il menu di Lubna, Enrico Croatti parla di un coinvolgimento attivo da parte di tutti i ragazzi della cucina, di una brigata insomma ben più orizzontale rispetto a quel modello che ancora oggi la vede come una caserma: «Molti dei miei ragazzi – prosegue lo chef – stanno con me da diversi anni. E io li sprono a recuperare quel legame con il territorio da cui provengono, le cui tradizioni loro devono essere capaci di esprimere, rappresentando per noi l’autentica ricchezza che vogliamo proporre». Ma non basta, ci dice Enrico, perché a dare ossigeno a un comparto spesso asfittico come quello dell’alta ristorazione occorre avere il coraggio di sbarazzarsi di alcune sovrastrutture: «Disobbedisco volentieri a certe regole della ristorazione fine dining: via gli amuse-bouche e la piccola pasticceria che appesantiscono inutilmente la linea della cucina, ma anche i conti economici».
Altri segni significativi della proposta di Lubna meritano d’essere interpretati: le porzioni tornano generose e non effimere, il rapporto qualità-prezzo interessante (soprattutto per gli standard meneghini) e l’enfasi sul piacere del gusto non è più un fantasma da esorcizzare: ne è riprova la golosa “barbabietola sottoterra al taleggio e nocciole” che invita a una scarpetta goduriosa. In un ristorante affascinante come Lubna, che sorge insieme allo spazio eventi Magma e alla galleria d’arte Scaramouche nel cosiddetto quartiere SouPra, che sta per “South of Prada”, cioè a sud della Fondazione Prada ma anche a due passi da dove sorgerà il Villaggio Olimpico di Milano-Cortina 2026, che sia insomma questa proposta all’apparenza vintage e rétro a diventare, magari paradossalmente, la cucina di tendenza di domani?
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