Leo non sa se è giorno o notte, se oggi il cielo di Città di Castello è nuvoloso o terso: i suoi occhi sono cuciti, e anche se gli è costato perdere i bulbi oculari ne ha guadagnato in olfatto.
Leo è un cocker spaniel, ha undici anni ed è uno dei cani più addestrati nella cerca di tartufo. A due mesi era già nei boschi a scovare le pepite d’oro dell’Umbria.
“La malattia degenerativa agli occhi è stato un colpo al cuore. Negli anni è peggiorato con infezioni che gli provocavano dolore, a quel punto i medici hanno scelto di togliergli i bulbi” - racconta Lorenzo, il suo padrone-cavatore.
Il mondo visto da Leo
Il mondo visto da 40 cm di altezza è colmo di odori: terra bagnata, vegetazione boschiva, umidità funghi, e tartufi.
“Anche dopo l’operazione, lui a casa non ci voleva stare e ho continuato a portarlo con me in cerca” – chiosa con un sorriso Lorenzo.
Leo non molla mai, il naso è il suo punto forte: si agita, è pronto per lanciarsi in una nuova sfida.
La cerca inizia una mattina di novembre nel bosco tra sterpaglie, fiumiciattoli, terreno acquoso e sabbioso tipico della zona di Città di Castello che conferisce al tartufo una forma più globosa, meno tondeggiante di quella delle trifole affossate nella terra compatta di collina.
Come tutti i cani pastorini tipo i lagotti, Leo ha la capacità di lavorare in maniera più pacata e ragionata rispetto a un bracco, di stazza più importante. Sa annusare bene il terreno, testarlo. La sua cecità gli ha regalato un olfatto tanto fine che riesce ad avvertire l’odore dei tartufi anche a lunga distanza. Il suo talento smisurato lo ha reso quasi una star. E chissà che anche in questa cerca di un sabato di novembre non trovi una trifola che possa magari raggiungere l’estero: “un tartufo su tre distribuito nel mondo viene da Città di Castello”, chiosano da queste parti.
La cerca del tartufo, simbiosi tra animale e umano
Leo ha fame di tartufi, cammina sveltissimo e stargli dietro è difficile. Eppure, Lorenzo sa come fare. Insieme passano sotto rami di alberi, fogliame autunnale, superano pungitopi, e sperano insieme che nessuno di quei milleottocento cavatori di Città di Castello, o di cinghiali ghiotti di tartufi, sia passato di lì di recente a sfilare dalle mani qualche trifola.
La cerca è un lavoro di simbiosi. Il padrone non può fare a meno del cane e viceversa. I due parlano la stessa lingua fatta di suoni, silenzi, e movimenti: Leo cammina, cerca, raspa, annusa; Lorenzo dà comandi, scava, valuta. E intanto il percorso continua tra fiutate e controlli.
Quando il cocker avverte qualcosa di serio, parte spedito. Il cavatore lo segue, si fida. Leo individua il punto, ed è questo il momento topico della ricerca: comincia un’altalena di movimenti e suoni tra l’animale e l’umano fatto di zampate e “dov’è” pronunciati dal cavatore con tono intimo e spronante. Leo annusa e raspa, poi gironzola, e riscava, scodinzola, mentre la musica del “dov’è” di Lorenzo alza la tensione: “Ho la battarella!” – dice l’uomo. Sono le pulsazioni che aumentano, mentre la coda di Leo si agita e i profumi mano mano vengono fuori. Quando il cocker individua definitivamente il tartufo non raspa più, direziona il naso verso il punto dov’è la trifola, come a passare il testimone al padrone. La simbiosi prende forma, l’uomo diventa cane e il cane diventa uomo. L’uno si fonde con l’altro: ora è il tartufaio a scavare delicatamente il terreno e ad annusarlo, e se la sua percezione olfattiva ancora non arriva, interviene in aiuto il cane.
Il bottino della cerca
Il cuore dei due pulsa, un nuovo tartufo bianco pregiato di Città di Castello piano piano si mostra. Con il vanghino il cavatore elimina il terreno intorno al tartufo cercando di fare delicatamente per non rovinarlo, quando lo vede con le mani scosta radici, sassi, pezzi di legno. E poi la gioia: eccolo. Il cavatore richiude la buca, un po’ per nascondere ad altri tartufai quel posto segreto, un po’ per rimestare bene le spore nel terreno. Leo non vede, ma sente il cuore del padrone, e si arrampica sulle sue gambe: vuole sapere com’è la pepita d’oro che ha trovato.
Lorenzo guarda il tartufo, lo tocca, l’annusa.
Le dimensioni non sono grandissime: “In natura, quelli più grossi sono molto meno”, dice. Questo è di circa 30 grammi, è globoso, però non è male: “Quelli tondeggianti hanno più valore sul mercato ma non è detto che siano migliori di qualità”.
Il colore è giallo vivo, ha delle screpolature che il tartufaio fa notare: “Questo è in salute”. Non è opaco, e vuol dire che la trifola non è vecchia e non ha sofferto. Poi, delicatamente, pigia: il tartufo è resistente, non si riesce a penetrare, al contrario sarebbe stato catalogato come vecchio, o alla fine di un ciclo non completato in condizioni ottimali. Poi l’annusa, tante volte. Sente il miele millefiori, il fieno di prato stabile, sente l’aglio. I tre componenti sono in armonia e il verdetto è presto detto: quel tartufo bianco pregiato è ottimo, al giusto grado di maturazione. Non ci sono difetti, non si sente ammoniaca o marcescenza, profuma solamente e questo odore si spera duri il più possibile. Almeno dieci giorni.
Il mistero del tartufo
Leo non vede, ma sente. Sa che quello che ha beccato è un ottimo bottino. Con gli occhietti sigillati scodinzola, è felice, vuole la sua ricompensa: a undici anni è ancora ghiotto di coccole.
Il cavatore mette la trifola in saccoccia e si riprende la cerca in silenzio del bosco dove i suoni vivi sono solo quelli di uccelli, di ruscelli, del calpestio dei piedi sul terreno. Il mistero del tartufo si è compiuto ancora una volta, per Lorenzo, per Leo e per tutti quei cavatori che più in là, nel bosco di Città di Castello, hanno faticato, camminato, scavato, annusato. C’è Andrea con Samba, un lagotto; c’è Daniele con Taro, un bracco; c’è Alessandro con Sally. Insieme hanno appena finito una cerca faticosa e ora serve una colazione corroborante: formaggio, Cannaiola, salsicce arrostite sulla graticola con spiedini di fortuna. Già stanno pensando alla soddisfazione dei distributori che apprezzeranno i loro tartufi. Ma chi li guarda e sorseggia con loro del vino, sta immaginando delle tagliatelle al burro con il tartufo bianco che assaggerà in qualche ristorante di zona.