Il valore della manodopera agricola straniera in Italia
Da qualche giorno, il comparto agroalimentare lancia un allarme che non può essere ignorato ancora a lungo, pena la perdita di interi raccolti. La filiera agricola sconta una preoccupante mancanza di manodopera su tutto il territorio nazionale: in Italia i lavoratori stagionali stranieri impiegati nel settore sono 370mila, in maggioranza rumeni, ma anche marocchini, indiani, senegalesi. La chiusura delle frontiere – anche tra Paesi dell’Unione Europea – per contenere l’emergenza Covid-19 non solo ostacola la circolazione di merci, ma anche gli abituali spostamenti delle persone. Così, si stima che circa un milione di lavoratori stranieri provenienti dall’Est Europa e dell’Africa per rispondere alla domanda di manodopera agricola nelle prossime settimane (mesi?) non potranno giungere a destinazione. A complicare le cose ci hanno pensato le anomalie climatiche, con temperature record che hanno accompagnato tutto l’inverno, anticipando il periodo di raccolta di molti prodotti, fragole e asparagi in primis. Ma bisognerà farsi trovare pronti anche per mietere il grano, preparare le viti per la vendemmia, trapiantare i pomodori. L’Italia è un Paese agricolo: su oltre un milione di operai agricoli al lavoro nei campi da Nord a Sud dello Stivale, il 36% arriva dall’estero. Se a questo dato si aggiungono le defezioni di chi è stato colpito dal virus e delle persone in quarantena, la preoccupazione di Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, è condivisibile.
L’allarme di Confagricoltura
Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Giansanti fa il punto della situazione: “Gli ultimi campi senza immigrati, in Italia, saranno degli anni Settanta; a memoria non ricordo un’agricoltura con sole braccia italiane”, ribadisce segnalando un’evidenza troppo spesso sottovalutata quando si stima il valore della manodopera straniera. Poi arriva il momento di snocciolare i numeri dell’emergenza: “Al momento mancano 200mila persone rispetto agli standard”, ma alla lunga le aziende agricole cominceranno a soffrire anche l’impossibilità di rimpiazzare chi finora ha garantito la “normalità” alla filiera produttiva (le assenze per malattia o quarantena sono stimate al 20%). E allora si cercano alternative per correre ai ripari. Qualche giorno fa il Ministero degli Esteri ha concesso la proroga dei permessi di lavoro stagionale in scadenza per i lavoratori stranieri già presenti nel Paese, dove potranno restare fino al 15 giugno.
Obiettivo: reclutare nuova forza lavoro
Ma questo non basta, e la prospettiva auspicabile passa per un reclutamento di forza lavoro presso categorie alternative. Non solo lavoratori non comunitari il cui impiego sarà regolato da un nuovo decreto flussi al vaglio delle istituzioni; ma, soprattutto, una politica più aggressiva per far incrociare domanda e offerta di lavoro in modo inedito. Come? “Favorendo il ricorso a manodopera italiana disponibile a lavorare nel settore agricolo, anche se al momento fruisce del Reddito di Cittadinanza”. Perché questo sia possibile sarà necessario un lavoro di concerto tra Mipaaf e Ministero del Lavoro, per varare un emendamento al decreto 18/20: chi percepisce il reddito di cittadinanza potrebbe così metterlo “in pausa”, prolungando il periodo di copertura di una durata pari al numero di settimane/mesi spesi nei campi; le aziende agricole coinvolte, invece, beneficerebbero di un esonero contributivo. Ma Confagricoltura avanza anche la proposta di coinvolgere le persone impiegate in altri settori, attualmente in cassa integrazione (pensiamo a ristorazione e turismo), i disoccupati e gli studenti universitari. Previa semplificazione dello strumento del voucher agricolo.