Jessica Rosval ha messo le sue radici in Italia e ora cerca di aiutare altre donne a fare altrettanto. Donne meno fortunate di lei, che è giunta a Modena dalla parte giusta del mondo, il Canada, anzi il Québec, e a cui lei ha deciso di restituire parte di quello che la vita le ha dato. Jessica, classe 1985, un sorriso ammaliatore, è giunta in Italia una decina di anni fa e dopo aver lavorato un po’ in tutte le partite dell’Osteria Francescana di quel geniaccio di Massimo Bottura, è stato da questi e dalla moglie Lara Gilmore messa a capo dei progetti ulteriori della famiglia, il bed and breakfast deluxe Casa Maria Luigia e Il Gatto Verde. In pochi anni Jessica ha trovato una sua precisa identità culinaria, che non prescinde ovviamente dal territorio in cui si trova a lavorare.
Modello di impresa sociale
La incontriamo a Las Vegas poche ore prima che le venga consegnato il premio Champions of Change dell’edizione 2024 dei 50 Best, nel brunch che Illy ha organizzato in una suite dell’hotel Wynn per annunciare che proprio lei, Jessica, è la nuova brand ambassador del marchio triestino. Con lei, anche sul palco, c’è Caroline Caporossi, statunitense, con cui ha creato il ristorante Roots, che grazie alla collaborazione con l’Associazione per l’integrazione delle donne rappresenta oggi un modello di impresa sociale autosufficiente, che forma donne di ogni provenienza e cultura al lavoro in cucina, dando loro indipendenza e consapevolezza in sé stesse. «Ma quello che prendo io da Roots – dice Jessica - è molto di più di quello che avrei mai immaginato. C’è uno scambio incredibile, io insegno loro con il cuore aperto ma loro mi insegnano non solo i piatti, ma anche la resilienza umana, la forza, la loro voglia di ricominciare dopo quello che hanno affrontato e stanno ancora affrontando».
Due volte buono
La forza di Roots è che la valenza sociale del progetto è inserito in un milieu di grande professionalità, perché “noi veniamo dall’alta ristorazione e siamo abituate alla bellezza, all’amore e alla dedizione» e questo abitua le tirocinanti a lavorare con professionalità e pensando in grande. «Per questo ci tengo che Roots sia riconosciuto per il suo impatto sociale ma anche per la sua qualità gastronomica». Insomma, la valenza sociale del progetto perderebbe di slancio se da Roots si mangiasse male. Ha un senso, non trovate? Inizialmente, spiega Caroline, «le tirocinanti ci venivano segnalate dai servizi sociali, a cui io chiedevo di donne che volessero partecipare a un progetto del genere». Poi il passaparola ha avito la meglio e oggi il 50 per cento di loro sono indirizzate da persone che si sono diplomate da noi. «In questi gruppi c’è molta sorellanza, si condividono esperienze e ci si dice dove ci si trova bene e dove male, e io sono molto orgogliosa del fatto che le vecchie tirocinanti parlino bene di noi, perché questa è la dimostrazione che stiamo facendo cose giuste e ben fatte».
Doveri e diritti
Solo poche delle donne che si diplomano sono prese a lavorare a Roots, «succede quando si rende disponibile un posto – dice Caroline – ma non è questo il nostro obiettivo. L’obiettivo è dare quel contatto con il lavoro che a loro manca, noi abbiamo connessioni con i migliori ristoranti di Modena, che come in tutta Italia non trovano personale, e forniamo alle tirocinanti delle referenze». Delle 43 donne di 17 differenti Paesi del mondo che hanno lavorato da Roots nell’ultimo anno, il 95 per cento ha trovato lavoro. Naturalmente aiuta il fatto che la formazione avvenga in un vero ristorante. «Loro lavorano in un posto aperto cinque giorni a settimana, lavorano nel fine settimana, capiscono che cosa vuol dire lavorare in un ristorante di alta qualità. E poi noi insegniamo anche loro i diritti dei lavoratori, a leggere una busta paga, la lingua italiana se serve, public speaking per costruire la propria autostima». Al corso per formare al lavoro in cucina si affiancherà presto un corso analogo per il personale di sala.
La storia d Zuahira
Quando chiedo a Jessica e Caroline di raccontarmi una storia che possa essere di esempio loro esitano, si vede che non vogliono fare distinzioni tra le donne che sono passate per Roots, ma alla fine decidono di raccontarmi di Zuahira, una donna marocchina. «E’ stata parte del primo corso – spiega Carolina – che ha avuto inizio nel febbraio 2022, die mesi prima dell’apertura del ristorante. Noi a ogni inizio di un corso chiediamo alle donne di cucinare un piatto che racconti la loro vita e lei ha fatto un piatto tunisini, il brik, ma ci ha messo dentro il Parmigiano reggiano invece che il formaggio tunisino che non trovava. Lei ha fatto un bellissimo percorso, è stata molto brava, volevamo assumerla ma lei cercava altri orari di lavoro. Ora fa un altro lavoro ma fa anche tanto volontariato. Insegna ad altre donne arabe a guidare, e torna sempre a Roots ogni primo e ultimo giorno di un corso, come fosse una mentore».