C’era una volta (e c'è ancora) un giovane cuoco, un pioniere: nel 2007 lascia Roma per Parigi, transitando nei ristoranti cittadini del momento, da Le Châteaubriand a La Gazzetta, e, dopo tre anni si mette a proporre la sua cucina, contemporanea, italiana, elegante, ma spogliata degli orpelli paludati da fine dining e italian sounding. Possiamo dire che, nel periodo in cui Aizpitarte e Nilsson hanno fatto conoscere al mondo una Parigi differente, è lui, Giovanni Passerini a consolidare la bistronomie di nuova generazione, all'italiana, che mette insieme i due paesi, il fascino del bistrot e lo spirito dell'osteria. Sulla sua scia, con talenti luminosi e differenti, ecco Fabrizio Ferrara, Simone Tondo, Michele Farnesi, e le varie insegne cresciute (anche perché gli spazi a Parigi sono risicati) o cambiate e moltiplicatesi negli anni.
Passerini è passato da Rino al Restaurant Passerini, affiancandolo con il Pastificio e la cave à vin Passerina; Ferrara dal Caffè dei Cioppi all'Osteria Ferrara (nella foto di copertina); Tondo dall'iniziale Roseval oggi accoglie al Racines, ambiente più informale nel bellissimo Passage des Panoramas; Farnesi si divide tra Dilia, Dilia La Cave e Dilietta (gastronomia con pasta fresca e antipasti all'italiana, nata lo scorso agosto, al 26 di Rue Étienne Dolet). Con un'impennata di cave à vin e localini nei quali giocano un gran ruolo vini naturali e piattini, stesso trend riscontrato in Italia negli ultimi anni.
Il fermento italofono nella rive droite
Cucina contemporanea o di mercato, le proposte dei vari locali sono differenti, ma, casualmente o no, sono tutti posizionati nello stesso quadrante, insieme ad altre insegne interessantissime di Parigi, come Septime o il su menzionato Chateaubriand, nell'XI arrondissement o nei dintorni. Ma non ci sono solo gli chef: nelle strade dei quartieri fioriscono bar à vin, traiteur ed epicerie italiane, c'è chi è specializzato in prodotti sardi (come Joya Mia) e chi in cicchetti veneziani di grande spessore culturale (come Isola la cantine littéraire). Nel centro più turistico e intorno alla Senna, alcuni locali italiani sono ancora vecchio stampo (tipo le pizzerie che omaggiano Sorrento), ma poco hanno a che fare con la madre patria; altri invece sono fascinosi ristoranti di cucina di mercato nel cuore dei parigini, come L’Enoteca al village Saint Paul: carta dei vini tricolore, passatelli e mozzarella con fichi della Barbagia. E poi, a testimonianza della grande voglia di Italia nella ville Lumiere, c'è l'Altro Frenchie, il bistrot italiano, di recente apertura, dello chef Greg Marchand, poliedrico imprenditore, famoso già in città per il suo Frenchie. Ma ci sono anche altri italiani che stanno conquistando i parigini, soprattutto con l'alta cucina, e sono Aurora Storari e Flavio Lucarini, pastry chef e chef di Hemicycle, che in pochissimo tempo ha conquistato anche una stella Michelin.
La sala parla italiano all'estero
In Italia c’è crisi di personale di sala, ma basta accomodarsi nei locali parigini (non in quelli specificamente italiani) ed essere accolti, per la maggior parte delle volte, da camerieri italiani. Come mai? Perché i giovani italiani scelgono di espatriare per fare un lavoro che è molto richiesto anche in patria? Presto detto. Paghe e contratti giusti sono la motivazione per la maggior parte delle persone incontrate. C’è chi a Parigi sta alla grande e non ha rimpianti e chi, invece, un po’ di nostalgia la sente. Come A., pesarese, che lavora in una brasserie su boulevard Voltaire: «Mi sono trasferito 9 anni fa» racconta. «Erano appena successi gli attentati dei bistrot e del Bataclan - il fatidico venerdì 13 novembre 2015 - è stato difficile, la gente aveva paura, era diffidente». In generale a Parigi A. non trova il calore umano delle sue Marche e nemmeno un clima piacevole. Perché non torni? «Con gli stipendi che propongono nella mia zona?» rivolta la domanda. «No. Sto meglio qui». T., lombardo, lavora in uno dei ristorantini del Marché des Enfants Rouges, ambiente iperconviviale, affollatissimo, nel cuore del Marais, e non ci pensa minimamente a ritornare a casa. «Qui il lavoro viene riconosciuto» dice «sto da Dio». Del resto non è solo un vox populi, i dati sono chiari. Secondo l'Oecd Employment Outlook 2024 (dati aggiornati al primo trimestre 2024), fra i 36 paesi dell'Ocse nessuno fa peggio dell'Italia nel campo dei salari reali: il nostro paese registra un -6,9% rispetto al 2019, contro il +0,1% della Francia. Un paese che non cresce crea meno lavoro, i posti sono di minore qualità e i salari più bassi. E i ragazzi vanno via.