Gian. Il gin firmato Giancarlo Morelli

19 Lug 2022, 13:43 | a cura di
SI chiama Gian, il gin di Giancarlo Morelli, che esprime il gusto e le idee dello chef bergamasco, nel gusto come nell'estetica.

Oggi la sua ultima creazione non riguarda il mondo dei fornelli, ma quello di shaker e strainer. Un universo del quale Giancarlo Morelli non solo è da sempre appassionato, ma che ha anche saputo mettere da anni su un palcoscenico di equale valore rispetto a quello della sua cucina, grazie alla specularità asimmetrica del Bulk presso l’Hotel VIU di Milano. Lo abbiamo intervistato per saperne di più sul suo doppelgänger liquido che con lui condivide il nome (Gian) e l’inconfondibile profilo, occhiali inclusi.

GinGian di Giancalro Morelli

Finalmente il progetto di questo distillato arriva a compimento. Come nasce quest’idea, e come si è arrivati alla sua realizzazione?

La prima bottiglia l’ho avuta tra le mani poco più di un mese fa, ma l’idea ha radici molto più profonde: se infatti fin da giovane ho sempre apprezzato il Gin Tonic, è più o meno una quindicina d’anni fa che ne ho percepito il potenziale gustativo e ho iniziato a ragionarci sopra. Ero appena stato a Valencia, in un viaggio di lavoro molto importante per un grande congresso dove ero stato invitato a fare una relazione sul mondo del riso. In uno di quei momenti di piacevole rilassamento e goliardia che si consumano tra colleghi a margine di queste kermesse, Rafael García Santos ci portò a bere qualche Gin Tonic. In Spagna già all’epoca la cultura su questo cocktail era molto sviluppata, e la proposta era ricca. Lì ho capito per la prima volta che il drink poteva essere migliore di quello che bevevamo qui in Italia, soprattutto che era qualcosa di molto diverso dalla versione banalizzata figlia della mentalità della discoteca.

Nasce quindi l’idea di creare un gin?

In realtà no, all’inizio nasce un periodo di studio per capire al meglio il tutto, ho iniziato a fare ricerca su tutti gli elementi, dal ruolo del ghiaccio fino alla scelta tonica giusta: un processo non facile visto che all’epoca per fare esperimenti non c’era tutta l’abbondanza e la varietà di sodati che c’è oggi. Arrivai comunque alla conclusione più logica, ovvero a quella che era il gin a dover dare la spinta, la voce solista intorno alla quale si poteva ragionare per il coro.

Come mai dall’ideazione alla realizzazione è passato molto tempo?

Paradossalmente perché io avevo fin dall’inizio le idee molto chiare, e non ero particolarmente disposto a scendere a compromessi. Seguendo lo stesso processo mentale che percorro quando vado a creare una nuova ricetta, avevo già in testa il profumo e il sapore che volevo. Ma se per la cucina posso mettere in pratica da solo il mio pensiero, attraverso le mie mani e la mia bocca, ben diversa è la situazione quando si parla di distillazione. Per forza di cose avevo necessità di un partner, e non nascondo che trovare il giusto compagno di strada è stato più complesso del previsto.

E allora cosa è successo?

Sono stato a parlare e a visionare molte distillerie, di grandi e piccole dimensioni da Roma al Veneto, passando per il Piemonte ma avevo l’impressione che ognuno volesse fare il gin secondo la sua idea e non la mia, semplicemente declinando qualcosa di proprio con le mie botaniche. Non era quello che cercavo, avevo bisogno di un compagno di strada che volesse aprire un dialogo e uno scambio, perché non sapevo neanche se quello che volevo fare era tecnicamente realizzabile.

GinGian di Giancalro Morelli

Quando e come si è palesato il giusto compagno di strada dunque?

Alla fine tramite passaparola sono arrivato a conoscere i ragazzi di The Spiritual Machine di Torino, una start up veramente giovane e dinamica (la stessa che ha creato una linea di cocktail RtD DelMago con un altro chef, Marcello Trentini). Quando ci siamo parlati mi hanno detto le parole che avevo bisogno di sentire: “noi ci crediamo, ci dia fiducia”. Da lì ho capito che si poteva lavorare insieme, e in effetti si sono dimostrati all’altezza, sempre aperti alle critiche e disponibili a venirmi incontro sulle richieste.

Quale era dunque quest’idea botanica che avevi immaginato?

Sapevo di voler dare un ruolo di spicco al ginepro visto che sono sempre stato un cuoco di selvaggina, poi volevo includere altre botaniche, figlie di esperienze importanti della mia vita umana e lavorativa, come ad esempio il lime peruviano, che mi aveva molto colpito in un viaggio fatto in quel periodo, o il bergamotto. Alle note balsamiche e resinose del ginepro ho voluto aggiungere alcune nuance fresche e insolite come quelle della menta e dell’eucalipto e parti floreali come la rosa canina, l'ibisco e la camomilla, fino ad arrivare alla radice di colombo che sollecita piacevolmente la lingua, ristorata dalla morbidezza della mirra e dell'incenso, l'aloe felox chiude il sorso con una punta di amaro, pulito e mai invasivo.

E invece com’è nato il nome Gian?

È nato prima del gin. Qualche anno fa dopo il servizio era molto facile che tra colleghi ci si recasse uno nel ristorante dell’altro, per farsi un saluto e bere qualche cosa insieme, e spesso la scelta cadeva proprio sul Gin Tonic. Raccontando della mia idea di creare il mio spirits ad Alessandro Colombo, mio storico collaboratore cresciuto con me, mi disse scherzando “chef, non Gin Tonic, ma Gian Tonic”. Da lì è rimasto il nome che devo dire mi diverte ancora molto.

Per chi è stato pensato questo prodotto? Per il mondo del bar o per quello della cucina?

Ho voluto fare un gin pensato per il piacere di tutti, un prodotto che piacesse ai bevitori e che non scimmiottase il mondo della cucina. Mi piace descriverlo come “un gin elegante e mondano, come una donna che si prepara ad andare alla scala”, e se dovessi spingermi in là con la fantasia il mio sogno sarebbe di vederlo nei migliori cocktail bar del mondo tanto quanto nelle cucine dei miei colleghi. Se da un lato infatti ho voluto fare un gin che convincesse i barman, dall’altro l’ho provato a utilizzare per fare salse che accompagnassero - a esempio il piccione o la pernice - e sono venute fuori delle cose incredibili. Ma io sono sempre stato così, anche quando ho aperto il mio primo ristorante subito ho sognato di averne altri, è la storia della mia vita! La chiusura della sfida di creare il gin è l’inizio di un’altra, e non ho nessuna voglia di rallentare.

 

a cura di Federico Silvio Bellanca
foto di Michele 
Tamasco

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram