Ristoranti italiani all’estero. Veri o falsi?
Se è vero che il cibo italiano ha sempre goduto di grande fama nel mondo, il rischio di emulazione e falsificazione è direttamente proporzionale all’appeal del “marchio” made in Italy. E questo è sempre stato il rovescio della medaglia per il comparto agroalimentare (la piaga dell’italian sounding è dura a morire, mentre dall’estero continuiamo a “importare” cibi pericolosi, all’ordine del giorno al Forum Coldiretti di Cernobbio, appena concluso) e pure per la ristorazione cosiddetta “italiana”. All’origine del problema c’è l’impossibilità di stabilire con certezza quanti siano i ristoranti italiani all’estero: la stima più veritiera censisce oltre 90mila imprese – tra ristoranti, pizzerie e pasticcerie – che si “autocertificano” italiane, per un volume d’affari pari a più di 200 miliardi di euro, di cui 60 in Cina e 56 sul territorio statunitense.
Nomi, loghi clonati, falsi prodotti made in Italy
Ma non è raro scoprire, quando si riesce a smascherarli, veri e propri cloni delle attività tricolore, che spesso si vedono rubare persino il marchio. Il caso più recente ci porta in Corea del Sud, nella città di Taegu, dove alcuni uomini d’affari coreani hanno pensato bene di importare il marchio Giorgio – nota caffetteria pasticceria della provincia fiorentina – all’insaputa dei diretti interessati. Ma casi simili si rintracciano in tutte le grandi capitali internazionali, e per qualcuno aver azzeccato il nome giusto si trasforma in una vera e propria beffa: Il Santo Bevitore, noto ristorante fiorentino, è oggi presente in almeno cinque città del mondo, da New York a Tokyo. Ovviamente si tratta solo di brutte copie dell’originale. E quando gli imprenditori truffaldini non arrivano a falsificare il marchio, comunque è molto elevata la percentuale di attività che rivendicano l’italianità senza prestare la minima attenzione per i prodotti e per i piatti che portano in tavola, in genere solo vagamente “ispirati” alla tradizione italiana.
Una certificazione per i ristoranti italiani all’estero. Operazione Ita0039
Qui entra in gioco Asacert, impresa di certificazioni con sede a Cormano (MI), già abituata a rilasciare certificazioni di autenticità e conformità in diversi settori – dalla sicurezza sul lavoro all’informatica – che proprio sul suo ruolo di garante ha costruito un gruppo solido, in attività da più di 20 anni, che oggi conta diverse sedi nel mondo e 65 dipendenti. Dunque proprio ad Asacert si è rivolto il Mipaaf di Teresa Bellanova nel tentativo di arginare i falsi nella ristorazione made in Italy. Così è partito il progetto Ita0039 (dal numero del prefisso italiano), che assegna all’impresa milanese il compito di certificare fino a 7mila esercizi commerciali di ristorazione ogni anno. Questo, almeno, è l’auspicio per un’impresa che non si preannuncia facile. Il piano è quello di offrire la possibilità di esporre un marchio autorevole ai ristoranti che nel mondo si fregiano dell’italianità come motivo di vanto; ma solo previa dimostrazione di corretto utilizzo del “brand”. A partire dall’utilizzo di prodotti realmente italiani. Per questo nel progetto sono state coinvolte anche la Filiera Agricola italiana e le Poste Italiane, che si impegneranno a semplificare la logistica per la fornitura di materie prime nazionali all’estero. Mentre l’ultima tappa del percorso dovrebbe portare al rilascio di un’applicazione per gli utenti che vogliono riconoscere i veri ristoranti italiani nel mondo (da parte nostra, ricordiamo la guida Top Italian Restaurants, che certifica l’autenticità oltre che la qualità dei ristoranti italiani recensiti da Gambero Rosso nel mondo e che lo farà sempre di più in futuro grazie ai piani di sviluppo immaginati per i prossimi mesi e anni).
Un premio per l’uso di prodotti italiani
Ma come farà Asacert a smascherare le frodi? I certificatori incaricati si recheranno personalmente nei ristoranti che ne fanno richiesta (la candidatura al momento è spontanea, e non obbligatoria, ma certo il “bollino” di qualità potrebbe garantire un aumento dell’indotto) per vagliare i requisiti di idoneità, scandagliando le forniture e la provenienza dei prodotti. In presenza di attività che possono dimostrare di utilizzare esclusivamente prodotti di origine italiana, inoltre, l’ente certificatore potrà riconoscere un ulteriore bonus. Con l’obiettivo di stabilire una vera e propria scala di qualità, facilmente consultabile dai clienti. Non il primo caso di certificazione nel settore della ristorazione – tra i precedenti più noti il marchio di autenticità per i ristoranti giapponesi – ma certo una scommessa che, per la prima volta, vede schierate le istituzioni (con il Mipaaf) in modo significativo, anche se il processo sarà lungo e complesso. Per questo la Fipe si appella alla Farnesina per la razionalizzazione del sistema delle Camere di Commercio e degli Istituti per il commercio estero, chiamati a rivestire un ruolo di mediazione nelle dispute internazionali e nella risoluzione di casi di plagio ai danni dei ristoratori italiani.
E se nascesse un Ministero del cibo?
E intanto c’è anche chi propone di istituire un ministero del cibo. Un’idea già ventilata in passato, sul modello dell’omologo dicastero francese, che trova nuova forza nella proposta di legge depositata dal deputato di Forza Italia Paolo Russo. L’obiettivo? Promuovere una sana competizione della filiera agroalimentare ed esaltare l’eccellenza gastronomica italiana all’estero. Alzata di scudi contro la minaccia dei dazi statunitensi?
a cura di Livia Montagnoli