Forse qualcuno sa che regalare coltelli attira a sé tante superstizioni legate alle varie culture nel mondo e che esistono quindi dei riti scaramantici. Pochi invece conoscono la Calabria per una fiorente produzione pregiata di coltelli che però fu purtroppo smantellata dopo l’Unità di Italia, distruggendo di fatto decenni importanti di storia.
I coltelli realizzati all’epoca erano dei veri e propri capolavori dell’artigianato calabrese, ma non tutti sono arrivati fino a noi poiché divenuti vietati dopo il 1861. Chi era riuscito a nasconderli non lo dichiarava apertamente a causa di una politica repressiva. Il brigantaggio fu sicuramente una delle cause per proibire e ostacolarne l’uso essendo largamente attivo in Aspromonte e in Sila. Eppure, possedere un coltello serviva per la sopravvivenza soprattutto nelle zone montuose a causa degli animali selvatici.
La storia di Salvatore Tarantino
A ricordarci questo pezzo di storia che riguarda tutta l’Italia c’è un artigiano calabrese che ha ripreso l’antica produzione dei coltelli nella Sila grande cosentina. Casali del Manco era anche conosciuta come zona dei “curtellari” di Pedace. Qui Salvatore Tarantino crea coltelleria artigianale talmente apprezzata che ha guadagnato la stima di importanti chef calabresi del calibro di Roberto Davanzo e Antonio Biafora che usano i suoi coltelli per svolgere il loro lavoro riconosciuto a livello internazionale. Ma non solo: la storia di Salvatore Tarantino è emblematica per tanti motivi e parte da lontano, precisamente… dal Giappone.
Dalla Calabria al Giappone per scoprire una storia dei coltelli andata perduta
Questo ultimo “forgiaro” calabrese non ha fondato il suo laboratorio solo per la produzione di eccellenti coltelli, ma anche per raccogliere testimonianze di un periodo storico perduto nella sua zona.
L’arte di Salvatore Tarantino nasce dopo un periodo di disoccupazione. Avendo perso il lavoro si dedica totalmente ai bonsai e alla produzione di coltelleria per il taglio di tali piante. Crea anche un blog dove racconta il lavoro svolto in Calabria e, con grande sorpresa, viene apprezzato particolarmente in Giappone dove è invitato e dove trova lo stimolo per migliorare le tecniche della coltelleria.La “religiosità” giapponese lo contagia positivamente. La precisione e la cura dei coltelli in Giappone consentono un salto di qualità nella sua produzione. Ben presto, la passione diventa cura maniacale dei dettagli. La precisione nella creazione di coltelli per vari usi si unisce a quella dell’arte, realizzando dei veri e propri capolavori che vengono ammirati all’estero, dove si reca spesso, e non solo dai giapponesi che sono notoriamente elitari quando si tratta di tradizioni e cultura nipponica.
Salvatore Tarantino racconta con molto entusiasmo ciò che è diventata la piccola bottega TaSa e come si è evoluta la sua passione di artigiano.
C’è molto affetto quando descrive il suo rapporto di amicizia con Antonio Biafora, stella verde Michelin, il quale gli ha commissionato una serie di 4 set di 5 coltelli che raccontano la storia del mondo contadino della Calabria e che usano i clienti nel ristorante. Tra i coltelli storici, Biafora ha fatto fare 'u zeccagnu che era un coltello polifunzionale maschile e poi la mozzetta o curtellu chiattu che era senza punta e serviva alle donne nella campagna. Nel Settecento le donne non potevano avere un coltello a punta.
È entusiasta Tarantino quando parla della “coltella” calabrese tenuta nascosta dal nonno e mostratagli con molti timori, come se ancora esistesse il tabù dei briganti.
Durante l’epoca borbonica, tra il 1700 e il 1860, nelle Serre calabresi esisteva le Reali Ferriere della Mongiana che forniva acciaio e ferro al Regno delle Due Sicilie. A Mongiana si produceva un fucile che prendeva il suo nome e che veniva usato dalla fanteria napoletana nel periodo pre-unitario. In Calabria, il metallo veniva usato nella Sila grande cosentina, nella zona dell’attuale Casali del Manco, per forgiare coltelli e in generale le posate.
La “coltella” calabrese era un coltello pregiato, spesso personalizzato dagli artigiani, e faceva parte del costume tradizionale maschile. Il suo uso era trasversale. Possedere la “coltella” era simbolo di classe sociale, di bellezza estetica, di potere, di fascino. All’epoca esistevano più di cento botteghe artigiane che forgiavano il metallo. Dopo il 1861 improvvisamente vennero chiuse e la documentazione andò perduta. Il coltello divenne un semplice utensile per macellai o per altre lavorazioni legate all'agricoltura. La cosa non sorprende poiché altre realtà artigiane andarono perdute, come quella della seta a Catanzaro, ad esempio, che era apprezzata in tutta Italia.
Un'occasione per parlare ancora una volta di territorio calabrese
Questa storia è rappresentativa perché unisce il passato al futuro. Ciò che era il sud Italia e ciò che è ancora oggi e che sarà. Disoccupazione, emigrazione, invasioni, ma anche caparbietà, orgoglio delle proprie origini, rinascita. Offre una chiave di lettura traslata dove finanche il brigantaggio appare funzionale a una società che era ed è in trasformazione. Se è vero che il coltello occorreva per ferire o difendersi, aveva anche il nobile fine di servire nelle cucine e per la preparazione di cibi o per il rito del maiale. Esattamente come oggi grandi chef riconoscono gli artigiani forgiatori come artisti essenziali per il futuro della piccola e grande ristorazione calabrese che sta riscattando un'intera regione.