Era il 5 marzo, cioè prima dei provvedimenti restrittivi che hanno coinvolto il nord Italia (prima) e tutta la Penisola (subito dopo) per ridurre il contagio da Coronavirus, quando Lino Enrico Stoppani – presidente Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi che riunisce ristoranti, bar e simili - ha lanciato un appello al Governo mettendo nero su bianco una serie di richieste volte alla tutela e al sostegno delle imprese per scongiurarne la chiusura, mettendo a rischio un settore che impiega oltre un milione di persone di cui più di 40mila vedono minacciato il proprio posto di lavoro. L'emergenza sanitaria diventa un'emergenza lavoro. E non solo. Perché in una situazione esplosiva come quella che stiamo affrontando, le conseguenze sono molte e spesso imprevedibili con un effetto a cascata che rischia di trascinare tutto con sé.
Coronavirus e ristoranti. Incentivi e lavoro
Le prime vittime sono gli imprenditori che perdono un volume di soldi significativo che poi metterebbero in circolo (se onesti) in tasse, i fornitori e poi i dipendenti, inclusi quelli a chiamata e i consulenti, spesso a partita iva. “Chi è a scadenza del contratto molto probabilmente non lo avrà rinnovato mentre i lavoratori a chiamata ovviamente sono fermi e lo saranno pr un bel po'” dice un operatore del settore, uno dei molti con cui abbiamo parlato in questi giorni. Che ci raccontano anche di una campagna acquisti da parte di alcuni imprenditori col pelo sullo stomaco, cani da rapina pronti a fare offerte al ribasso per rilevare le attività maggiormente colpite e scioccate dalla crisi. Alcuni preferiscono cedere che accumulare debiti che non saprebbero onorare. Anche a cifre irrisorie di fronte all'effettivo valore dell'azienda. Gli affari sono affari, si dirà, ma ci sono uomini (e donne) d'affari più rapaci pronti ad approfittare delle occasioni, e altri che non mancano di scrupoli ed etica. “Vero è che chi svende ora avrebbe forse svenduto pure in un altro momento, le imprese strutturalmente solide prevedono periodi difficili”. Già, ma un momento così difficile chi poteva prevederlo? Intanto sono partiti anche cacciatori di teste in cerca di buoni nomi da assoldare.
Le richieste della Fipe
“Chiediamo interventi urgenti sugli ammortizzatori sociali, meccanismi di credito di imposta per sopperire almeno in parte al crollo del fatturato, la sospensione del pagamento di oneri e tributi, la sospensione degli sfratti per morosità, per venire incontro a chi nelle prossime settimane non riuscirà ad onorare i contratti di locazione e a pagare fornitori e dipendenti”.
Senza incassi non si riescono a pagare tasse, mutui, dipendenti, affitti. Qualcuno forse avrà qualche gruzzoletto cui attingere. Altri no, sono quelli che vivono di cash flow, flusso di cassa, che pagano i conti con quel che incassano settimana per settimana. Per i quali una chiusura prolungata, soprattutto se non prevista, può mettere in ginocchio l'azienda.
Ovviamente si può bussare alla propria banca, “ma sarebbe un suicidio per noi indebitarsi in questo momento” dice un ristoratore, incerto se cercare di continuare a lavorare a pranzo o fermarsi del tutto per un periodo imprecisato “molti di quelli che chiudono ora, non riapriranno più” aggiunge, per spiegare la sua indecisione. Vedrà nelle prossime ore, dopo una riunione con i dipendenti e un ulteriore confronto con il proprietario delle mura. Perché c'è anche l'affitto da pagare. “Ci sono due grandi scuole di pensiero” conferma un collega “chiudere e basta, senza non sapere se e quando riaprirà, o seguire l'ordinanza e chiedendo un paracadute economico”. Proprio quello su cui stanno lavorando al Ministero dell'Economia e delle Finanze.
Il ristorante in soldoni
Le voci che pesano di più per una attività ristorativa, in genere, sono la forza lavoro, poi la materia prima, le utenze e i costi del locale, mutuo o affitto. Sempre che sia rientrato dall'investimento iniziale, o da altre spese sostenute per rinnovare o migliorare il locale. Una chiusura improvvisa blocca tutto, e volatilizza l'investimento per la materia prima più deperibile senza possibilità di rientrare della spesa (a proposito, qualcuno, come il team Ceresio, ne ha approfittato per donare il cibo a un ente caritatevole)
Cosa può fare il Governo
Un Decreto a sostegno delle imprese, probabilmente mirato anche al settore turistico e ristorativo è atteso nelle prossime ore con una serie di ammortizzatori sociali, “servirebbe una sorta di cassa integrazione per gli operatori del settore” dice un addetto ai lavori poco prima di sapere che sarà probabilmente proprio una delle voci del testo, “un enorme fondo pensionistico cui attingere in base a un sistema a tutele crescenti” è il suo auspicio.
Molti, nell'immediato, chiedono un blocco temporaneo dei pagamenti, per garantire liquidità e dare sollievo all'oppressione delle scadenze, prima tra tutte quella legata ai dipendenti: “posticipare il pagamento degli F24 senza interessi, e in forma rateizzata”, stesso dicasi per bollette, tributi, e multe, con in più la possibilità – per le rateizzazioni già in corso - di sospendere il pagamento di alcune rate senza le sanzioni e le penalità abitualmente previste. E poi “Congelare il rimborso dei mutui, almeno nella quota capitale, studiando inoltre fondi di garanzia e agevolazioni nell'accesso al credito per le piccole e medie imprese”.
Cosa possono fare gli enti locali
Sbloccare le autorizzazioni, laddove ci sono richieste in attesa di una risposta da mesi, se non da anni. È il caso, per esempio, di Roma, dove una richiesta di Occupazione del suolo pubblico (anche di rinnovo, dunque con controlli e misurazioni già effettuati) può attendere anche più di 15 mesi per una risposta, nel frattempo salta un'intera stagione e l'attività perde un potenziale incasso e lo perde anche il Comune (dato che l'Osp ha un costo). Quando l'emergenza Covid-19 finirà, occorrerà ingranare la marcia e lavorare a più non posso, senza rimanere bloccati per lungaggini burocratiche. “Se le amministrazioni comunali approvassero in automatico queste richieste, per poi fare tutti i controlli del caso secondo i loro tempi ed eventualmente revocarle, molte attività potrebbero nel frattempo lavorare con maggiori possibilità di guadagno pur sapendo che controlli e verifiche potrebbero cambiare le cose, e intanto il comune incasserebbe, nel caso delle Osp, le occupazioni di suolo pubblico per i tavolini all’esterno. Chi invece preferisce seguire l'iter consueto, può sempre farlo”. Tanto più se si chiede il rinnovo di una autorizzazione già accordata in precedenza. Operazioni simili possono valere anche per subentri e trasferimenti di licenze o altre domande che languono su scrivanie sovraccariche dove si paralizza un settore, oggi più che mai al collasso. Insomma: se il Comune non è in grado di dare risposte in tempi brevi, non può scaricare il peso di questa lentezza sugli imprenditori. Soprattutto ora.
Cosa possono fare i clienti
Sostenere i ristoranti. Come? Cercando delle formule per un aiuto concreto, magari acquistando – oggi – delle cene da consumare in futuro. Con la stessa modalità con la quale alcuni ristoranti, in genere quelli di fascia più alta, consentono di regalare una cena o di acquistare dei voucher. Un modo per adottare il proprio locale del cuore, assicurandogli la stessa presenza (anche economica) che avrebbe se fosse aperto, e poi usufruire di quanto acquistato cercando di aggiungere anche qualcosa in più al momento debito. Un hashtag che potrebbe funzionare e aggregare queste iniziative? #adottaunristorante. Proviamoci ma con la consapevolezza che è assai difficile che tante persone oggi si sentano vogliose di progettare le cene di domani.
Cosa possono fare i ristoranti
Trovare un accordo per l'affitto. Che ci voglia poco tempo o poco, una trattativa sfiancante o meno, nella stragrande maggioranza dei casi un accordo con il proprietario delle mura è possibile: chi butterà fuori un affittuario (soprattutto se virtuoso) sapendo che un altro vivrebbe la stessa difficoltà se non peggiore? Le prospettive di affittare di nuovo nel breve tempo sono pressoché nulle. Tanto vale cercare un accordo per superare questa crisi, insieme, facendo un piano di rientro, ma se l'affitto pesa per oltre il 10% sull'incasso mensile, a meno di rare eccezioni, forse bisogna ripensare il business plan.
Le indicazioni governativa parlano chiaro: state-a-casa! Il più possibile, a qualsiasi ora, in ogni circostanza. Ma questo non significa non poter lavorare, sempre rispettando le norme indicate dal Ministero (bene che siano sempre esposte in ogni esercizio pubblico, come promemoria per gli avventori, e bene che in ogni locale su illustri chiaramente tutte le procedure adottate per tutelare al massimo clienti e impiegati), applicandole anche nei ristoranti così come ha indicato anche il tecnologo alimentare Valerio Sarti. Facciamo un passo indietro, ma cerchiamo di non far fermare l'intero comparto e cerchino gli addetti ai lavori a studiare soluzioni per andare incontro alle sacrosante regole e agli altrettanto sacrosanti timori, ma facendo in modo che le attività si fermino solo per il tempo necessario. Contenendo i danni ora e riprendendo più forti, dopo.
“Si raccomanda ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dall’articolo 2, comma 1, lettera s)”. Non è un nostro suggerimento, ma quello contenuto nel Decreto del Presidente del Consiglio dell'8 marzo. Discorso che vale anche per chi, pur rimanendo aperto, vedrà ridotta l'attività e di conseguenza la necessità di forza lavoro. È il momento, per i dipendenti, di recuperare ferie e permessi, anche perché potrebbero essere gli unici di quest'anno.
Sono tanti gli operatori che hanno scelto di fermarsi un po' in questo momento, tra loro anche Massimo Bottura, Christian Mandura o Alberto Gipponi che ha lanciato il suo invito a fare un passo indietro e chiudere per il momento tutte le attività, per quanto doloroso possa essere, perché – dice – “una decisione di questo genere necessita di accettazione, è un lutto per tutti noi”. Una decisione sofferta e piena di incertezze, messe nero su bianco in una lettera aperta firmata Comitato Ristoratori Responsabili che sta dilagando in tutta Italia, raggiungendo anche la Campania e il Sud.
Sviluppare o potenziare il take away e la consegna a domicilio, la dove è consentito. Lo hanno fatto già Irina Steccanella; dirottando i clienti della sua trattoria a Savigno verso il consumo dei suoi piatti a domicilio e i fratelli Cerea, forti di un ristorante tra i più importanti d'Italia (Da Vittorio, a Brusaporto) ma anche di uno storico catering d'autore. Oggi abbiamo a disposizione sottovuoto, packaging ad alte prestazioni, mezzi digitali e connessioni veloci. Usiamoli. Talvolta occorre rimodulare le ricette per un consumo diverso da quello in loco come ha fatto Jacopo Mercuro che ha ripensato l'impasto della pizza di 180g di Roma, lavorando con un preimpasto e giocando con l'idratazione per avere un prodotto più adatto per l'asporto (ma sta organizzando anche un piccolo servizio di consegna a domicilio), che mantenga la friabilità più a lungo. Qualcuno è strutturato per questo. Non mancano perlò casi in cui le stesse forze dell'ordine hanno intimato la chiusura anche del delivery (è il caso di Legs a Roma) a conferma di quanto la situazione sia incerta e ancora nebulosa.
Organizzatevi per take away e il delivery, ma non solo: un biglietto in cui illustrate il piatto o ne spiegate l'origine o la realizzazione, le materie prime impiegate, il vino ideale con cui accompagnarlo, o quello che ritenete più opportuno. E anche nel caso di un vino: aggiungete informazioni, note di degustazione, tipo di processo di vinificazione e viticoltura, il racconto che fareste ai vostri clienti se fossero davanti a voi. E magari via Facebook e gli altri social network, potreste farlo davvero. Nessuno dice sia facile.
Le attività di somministrazione sono bloccate dalle 18 alle 6 di mattina. Anche se si sta andando verso ulteriori restrizioni, molto probabilmente. Significa che di giorno è possibile tenere aperto, si può dunque tentare di spostare la propria clientela e dirottarla in quella fascia oraria. Difficile, ma non impossibile. Potenziare la pausa pranzo, sempre tenendo fede alle
Verificare che la distanza tra i tavoli sia quella stabilita dalla legge e possibilmente anche maggiore. Dunque ripensare e riorganizzare la sala, rinunciando anche a qualche coperto.
L'esigenza di mantenere la distanza di sicurezza non riguarda solo i tavoli, ma ogni momento o area in cui si possono creare assembramenti. Quindi il pagamento al tavolo, anche se elettronico, per evitare che si crei una fila davanti alla cassa. E sempre meglio che chi si occupa dei pagamenti faccia solo quello.
Fate in modo che sia più semplice possibile il rispetto della distanza di sicurezza, indicando dove e come fermarsi in attesa del proprio turno. Predisponete dei segnali che aiutino a calcolare le distanze (a volte un semplice nastro adesivo in terra o una indicazione sul bancone). Liberate lo spazio e rendetelo più confortevole.
Lista delle bevande e delle pietanze. Soprattutto nel caso di bar, pasticcerie o esercizi di ristorazione veloce, la lista di gusti è – in genere – esposta direttamente al bancone: si tratti di gelati, croissant, dolci o tramezzini. Agevolare la scelta esponendo cartelloni ben leggibili evita che tante persone si avvicinino nello stesso punto (e migliora la vivibilità del locale). Il discorso non cambia per le bevande, i vini alla mescita, le birre alla spina, o i cibi del giorno. La tanto amata lavagna di questi tempi non basta più.
Mantenere il rapporto con i propri clienti è fondamentale, ora e in un futuro. Che auspichiamo quanto mai prossimo.
a cura di Antonella De Santis