“Il ghiaccio per noi bartender è come il fuoco per gli chef”. Esordisce così Patrick Pistolesi di Drink Kong - appena premiato come Novità dell'anno dalla guida Roma 2020 del Gambero Rosso – quando gli chiediamo di spiegarci cos'ha di tanto speciale la Hoshizaki, la macchina giapponese che fabbrica ghiaccio e che sta spopolando tra i migliori cocktail bar d'Italia.
La reputazione del ghiaccio nel corso dei secoli
“Il ghiaccio è storia antica, i romani raccoglievano la neve d'inverno e la conservavano in grotte profonde. Così si è fatto fino all'avvento dell'energia elettrica”. E sempre prima dell'energia elettrica il ghiaccio era cosa da ricchi, anche se non sempre ha goduto di una buona reputazione. Pensiamo per esempio ai tempi in cui dietetica e cucina strinsero un rapporto stretto, intorno al XVII secolo, esisteva un preconcetto contro il bere ghiacciato in quanto era convinzione comune che il vino si trasformasse quasi immediatamente in sangue e che di conseguenza andava bevuto alla temperatura del corpo.
Una convinzione che col tempo è andata via via affievolendosi fino ad arrivare alla raccomandazione opposta, fatta da alcuni dottori, di raffreddare le bottiglie in sacchi di ghiaccio durante le grandi calure. Ed è così che il bere ghiacciato si è affermato definitivamente nelle pratiche dell'aristocrazia.
L'introduzione del ghiaccio nei bar
“Per secoli il ghiaccio è stato una rarità, poi nel XIX secolo le cose hanno cominciato a cambiare, negli States anche grazie a un certo Frederic Tudor, conosciuto come "Ice King", che ha iniziato a trasportare il ghiaccio dalle isole caraibiche all'America trovando un sacco di espedienti, dall'utilizzo del cotone ai trucioli di legno, per non farlo sciogliere. Era un malato del ghiaccio! Ad un certo punto ha anche ideato il metodo per tagliare più rapidamente le lastre di ghiaccio”.
Attraverso una specie di aratro, del ghiaccio. “Una volta arrivato a destinazione, questo ghiaccio lo distribuiva nei vari bar. La prima volta era gratis, dopodiché era sicuro che i proprietari non avrebbero più potuto farne a meno: provate solo a immaginare la prima volta che hanno bevuto un whisky con ghiaccio!”. Ed è così che le persone hanno iniziato a sviluppare un gusto per le bevande fredde.
L'avvento dell'elettricità e il primo frigorifero
Poi l'avvento dell'elettricità ha fatto il resto. Per rispondere all'espandersi della domanda di ghiaccio si è sviluppato un tentativo volto a creare le basse temperature attraverso tecniche di compressione ed espansione di particolari gas che, dilatandosi, sottraevano calore all'ambiente circostante.
È ad opera dell'americano John Gorrie il primo frigorifero basato proprio su queste tecniche, brevettato poi nel 1851. Ma l'avvento del ghiaccio come ha cambiato il mondo dei cocktail? “L'ha stravolto, non solo cambiato, si è passati dai punch ai drink come li conosciamo oggi. Basta sfogliare il primo ricettario sui cocktail scritto da Jerry Thomas per comprendere il ruolo fondamentale del ghiaccio, anche il solo gesto dello shakerare ha senso solo grazie alla presenza del ghiaccio”.
I diversi tipi di ghiaccio
Assodato il suo ruolo imprescindibile, ora vorremmo capire quanto è importante la qualità del ghiaccio.“Un bar deve avere differenti tipi di ghiaccio: il pilè (ghiaccio tritato), il cubetto e il ghiaccio in blocco”.
Andiamo per ordine, a intuizione il primo è perfetto per tutti quei drink tropicali, quelli da tiki bar per intenderci. Ma che differenza c'è tra cubetti e blocchi? “I cubetti li usi un po' per tutto, dal raffreddare il bicchiere allo shakerare, ai drink on the rocks. L'importante è che siano pieni, ovvero che non abbiano bolle d'aria all'interno, così lo scioglimento è più lento. E non devono essere cavi: il ghiaccio si scioglie in tutte le sue superfici, se è cavo aumentano i lati di scioglimento”.
Il blocco di ghiaccio, a che vi serve? “Lo puoi scolpire a tuo piacimento, una volta i blocchi ce li portava Tuttoghiaccio, ora abbiamo un macchinario anche per questi. Pensate che abbiamo una sala del ghiaccio dove due volte a settimana tagliamo queste lastre da 60 chili l'una, per ottenere cubi da 5 centimetri per lato. Roba da sega a nastro industriale!”. Una volta ottenuti i cubi, poi, vengono solitamente “brandizzati” mediante un timbro in ottone: da Drink Kong il ghiaccio ha ovviamente il faccione dello scimpanzè.
Le sfere di ghiaccio e l'arte giapponese dell'ice carving
Ma da queste lastre, soprattutto in Giappone, si ricavano anche sfere di ghiaccio. “Si ottengono tramite l'ice carving con la quale si vanno via via a smussare gli angoli del cubo di ghiaccio fino a realizzare la forma sferica. Una forma che, seguendo la struttura molecolare dell'acqua (che è tonda), dura più a lungo del classico cubetto e ha un potere di raffreddamento più alto, tanto che spesso con la stessa ball si fanno due o tre servizi per la stessa persona”.
Tornando alla Hoshizaki, questo macchinario direttamente from Japan, produce anche pezzi di ghiaccio tondi. Ma, dunque, che cos'ha di tanto speciale? “È una macchina che raffredda l'acqua dal basso verso l'alto, e lo fa nell'arco di 48 ore, in questo modo l'aria presente ha tutto il tempo e il modo per fuoriuscire. La Hoshizaki consegna un ghiaccio completamente trasparente e compatto, dove anche il cuore raggiunge una temperatura di -12° C, il che si traduce in un punto di scioglimento nettamente superiore rispetto agli altri ghiacci”.
Dello stesso parere gli altri barman che abbiamo interpellato, come Diego Melorio di Quanto Basta a Lecce, che nel suo locale utilizza il modello che produce cubi perfetti da 32 millimetri, “è una macchina che costa parecchio, si aggira attorno ai 7mila euro, ma sicuramente poi ammortizzi l'investimento. Nelle giornate full arriviamo a consumare 200 chili di ghiaccio al giorno, pensate se lo dovessimo comprare che cosa significherebbe in termini economici”.
Concorda anche Carlo Simbula di The Spirit a Milano: “La uso da oltre cinque anni: in ogni locale in cui ho lavorato l'ho fatta acquistare, ma nessuno si è mai pentito. Fa il ghiaccio migliore di ogni macchina: oltre ad avere un triplo filtraggio dell'acqua, che consegna un ghiaccio trasparente, ha un processo di raffreddamento unico”. E il cliente se ne accorge? “Capita che il ghiaccio rimanga intatto al termine del drink, e così qualcuno ci domanda perché. Ad ogni modo se si punta sulla qualità non si può sorvolare sul ghiaccio, anche perché, per un barman, è l'ingrediente principale dei drink”. Il ghiaccio è cosa seria, dunque, tanto da essere protagonista di alcuni libri, uno su tutti “On the rocks. Tutto quello che volevi sapere sul ghiaccio” di Marco Garino e Mirko Turconi.
Alla fine l'obbiettivo per ogni barman è lo stesso: lavorare sulla temperatura ma evitare la diluizione. Ovvero ghiaccio che rimanga freddo e che non rilasci acqua nel drink. Ricordatevi, dunque, che la domanda da fare al vostro barman di fiducia non è tanto “puoi mettere meno ghiaccio?”, ma piuttosto “che tipo di ghiaccio usi?”.
In Italia i macchinari Hoshizaki vengono distribuiti da P&B Line
a cura di Annalisa Zordan
foto di Alberto Blasetti