Riduci. Riusa. Ricicla. Ripensa. A Berlino, città di 3,6 milioni d’abitanti, l’impegno sulla sostenibilità proietta la capitale tedesca fra le metropoli più inclusive e “green” del panorama internazionale, piazzatasi lo scorso ottobre in sesta posizione nel Global Destination Susteinability Index, un indice che misura le buone performance ambientali, sociali ed economiche – la qualità della vita – di tutte le città del pianeta con una popolazione superiore a 1,5 milioni di persone. La classifica è stilata da un movimento indipendente, il Global Destination Sustainability Movement (GSDM).
La sostenibilità certificata
Il bel posizionamento nella lista dei virtuosi – davanti a Montreal, Barcellona e Sapporo, appena dietro Melbourne e Sidney – è il risultato di vari progetti (pubblici, privati e associativi) realizzati in anni recenti: il Piano del Turismo 2018 e le attività di formazione e certificazione delle aziende berlinesi – ristorazione, hotellerie, servizi – all’interno del programma Restart Economy 2022. Una certificazione di sostenibilità basata su vari principi guida (11) e criteri aziendali (65), come la riduzione di emissioni di CO2, la qualità delle forniture di cibo e bevande, il rispetto dei dipendenti e la sicurezza sul lavoro. S’intravede all’orizzonte un ambizioso obiettivo d’efficienza energetica e di neutralità climatica.
Dall’acquaponica agli orti giardino
A 35 anni dalla caduta del Muro – era il 1989 – Berlino è diventata una città dal volto nuovo: ricca d’energia e creatività, eventi culturali e micro e macro progetti di quartiere. Ed è diventata una capitale del gusto con una scena gastronomica che fa tendenza non soltanto in Germania e non solo nella fascia più alta della ristorazione. Vanta, tra l’altro, 150 orti-giardino urbani e una piccola produzione di miele sui tetti. Dalle arnie della Cattedrale, da quelle sul roof del Governo Federale e da quelle sopra al Planetario nasce un miele stellare. Nella metropoli, inoltre, si moltiplicano spazi e iniziative di cura ambientale, economica e sociale come i seminari presso la Casa della Statistica (il nostro Istat) per imparare a riparare e riciclare oggetti d’uso quotidiano e apparecchiature domestiche. E ancora: c’è il nuovo NochMall, un “centro commerciale dell’usato” dove si fanno pure workshop per dare una seconda vita agli oggetti, e c’è il sorprendente Temphelhof Field, un ex aeroporto chiuso nel 2008 e “riciclato” come parco cittadino, 386 ettari compresa la pista d’atterraggio – oggi “pedonale” – più orti urbani, itinerari ciclabili e una vasta area barbecue per grigliate domenicali.
Un altro settore in cui Berlino fa scuola e tendenza è l’acquaponica, un sistema d’allevamento misto di piante e pesci, che consente di trasferire l’agricoltura e l’itticoltura “dentro” la città, cioè all’interno di edifici e complessi recuperati. InFarm – per citarne una – è un’azienda con serra modulare di 310 etri quadrati che al Kreuzberg, distretto tra i più cool di Berlino, coltiva ortaggi ed erbe aromatiche che vengono distribuite in 50 fra negozi, alberghi e ristoranti tra cui il bi-stellato Tim Raue, celebrato per le sue “composizioni” d’ispirazione asiatica.
Un’altra azienda di acquaponica è la ECF Farmsystems che nel complesso recuperato della Malzfabrik coltiva basilico e alleva branchi di Tilapia, una specie ittica diffusa in Africa, Asia e Sud America. “Pesci e fragole dal tetto alla tavola” potrebbe infine essere lo slogan della Roof Water Farm, nata da un progetto imprenditoriale che coinvolge l’Università.
Nuovo volto per gli hotel
Tutto questo mentre in campo turistico l’hotellerie si mette al passo con azioni a 360 gradi, dall’architettura alla cucina. Al Mandala Hotel, un 5 stelle a due passi da Potsdamer platz, si utilizzano prodotti e ingredienti regionali, acqua della regione, cosmetici bio e vegani, luci a basso consumo, sistemi di climatizzazione automatizzata e ampie vetrate per sfruttare la luce naturale. Stesse attenzioni anche al Facil, il ristorante bi-stellato dello stesso albergo, dove lo chef Michael Kempf, 47 anni originario del lago di Costanza, si dedica al dry aging del pesce e della carne. Al Courtyard by Marriott Berlin City Center, invece, il focus è su spazi e arredi, tra cui tappeti prodotti con reti da pesca riciclate e pavimenti fonoassorbenti che incorporano bucce di noci di cocco; ammortizzano anche il calpestìo.
Scatto di reni in cucina
A dare la carica di “sostenibilità” all’alta ristorazione c’è il Nobelhart & Schmutzig, ristorante stellato del Kreuzberg, quartiere trendy un tempo al confine tra le Berlino Est e Ovest. La filosofia che muove i due ideatori del ristorante, l’istrionico manager di sala Billy Wagner e il taciturno Micha Schäfer, chef svizzero tedesco, è ispirata a un’idea di cucina 100 x 100 contemporanea tedesca che si approvvigiona da piccoli fornitori (un centinaio) e utilizza solo ingredienti della regione di Berlino: niente limoni, tonno, cioccolato (il vino c’è, e spazia oltre regione) e tante ricette che interpretano ognuna ad alti livelli due-tre ingredienti al massimo: Insalata Finferli, oppure Ravanello Levistico o Rabarbaro Fiori di Sambuco. Lavorare su una filiera selezionata a corto raggio consente inoltre d’influenzare e personalizzare la produzione agricola dei fornitori e l’idea del vocally local diventa quindi un impegno di sostenibilità, un “atto politico”: green, ma senza ammiccamenti. Nel 2020, ad esempio, il Nobelhart & Schmutzig ha rifiutato la stella verde della Michelin.
«Come fanno a sapere se siamo veramente sostenibili? – si (e ci) domanda Billy Wagner, senza perifrasi – Come fanno a sapere se risparmiamo energia e come facciamo? Se riduciamo gli scarti, se trattiamo equamente il personale? Senza chiederci nulla ed esigere un resoconto, come possono sapere se meritiamo la Verde?».
La cucina vista dalla pasticceria
Al bi-stellato Coda (nel popoloso quartiere Neukölln, pieno di giovani e attraversato da un lungo canale) lo chef René Frank propone invece un concetto di cucina radicata nelle tecniche di pasticceria, un modo diverso di elaborare ricette che sembrano dolci, ma solo in apparenza: per esempio un simpatico Stecco di caviale con gelato di carciofo di Gerusalemme e ripieno di noci Pecan; oppure la Barbabietola ghiacciata, mirtilli e tofu, due dessert in un menu di 15 portate, senza zucchero, né ingredienti industriali, solo dolcificanti naturali vegetali; in abbinamento vini e piccoli shot alcolici e non alcolici e come ultima portata un vero dolce: cioccolato da fave di cacao crude, da commercio equo & solidale.
Fusion e nuovi format
Ci spostiamo al Checkpoint Charlie – oggi un’attrazione turistica, un tempo presidio tra Est e Ovest – dove va in scena la cucina d’ispirazione asiatica del Time Raue, fra delicati “Sangohachi (una salsa di riso fermentato) lucioperca, brodo di farro e soia, cipollotto” e proposte ripensate in chiave vegana.
Torniamo al Kreuzberg per visitare un frequentato ristorante “da colazione”, il Frühstück 3000, aperto dalle 9 alle 16. In una capitale senza più confini le divisioni tra momenti della giornata, pasti e ricette, diventano fluide, come le ricche colazioni asiatiche o alla francese dello chef Lukas Mann, servite in tavola dai soci Maximiliane Wetzel e Martin Pöller e accompagnate da caffè di una torrefazione di quartiere: come la saporita “Egg Benedict Caviar”, una brioche con salmone marinato, uova in camicia, salsa hollandaise e caviale Attilus.
Nel mondo vegano, invece, hanno successo i Donuts del colorato Brammibal’s Donuts e ristoranti come il FREA, che utilizza solo materie prime d’origine vegetale (locali e stagionali) e che in 24 ore trasforma gli scarti in compost cedendoli agli stessi fornitori degli ingredienti vegan. “Full taste, zero Waste” è lo slogan.
Gastro-Rally tra tavole e quartieri
Mangiare e andare alla scoperta di sapori e locali alternativi può essere anche un business di nicchia e d’alto profilo, come per quelli organizzati dall’agenzia Berlinagenten che propone i Gastro Rally, tour personalizzabili per gola e per status. Un esempio? Antipasto e primo piatto al Solar, uno sky-restaurant su un grigio palazzo d’edilizia popolare, luminoso e ben frequentato; secondo e dolce al Katz Orange, ristorante stile vintage in un’ex fabbrica di birra; e dopocena al Papillon, un lounge bar di design tutto specchi, ricavato in uno scantinato sotto la metropolitana, nei pressi del famoso zoo di Berlino. Volendo si può fare anche un passaggio culturale al Disgusting Food Museum per esplorare i “concetti” di cibo e disgusto; alla Tea House dell’Humboldt Forum, dove una volta al mese si celebra la cerimonia del tè in uno spazio moderno e tradizionale giapponese. E ancora: al Deutsches Technikmuseum, che rende omaggio al berlinese che nel ‘700 accertò il contenuto zuccherino delle barbabietole. E, tappa finale, un drink all’Holzmarkt, originale spazio cooperativo e “di utopia” in un ex mercato del legname sul lungofiume Sprea, che aggrega locali techno-club come il Bar 25 e bistrot easy & green come il Katerschmaus. A due passi da qui si visitano, poi, lo YAAN - Young African Artist Market, animato da murales e musica etnica, e il tratto più lungo del Muro di Berlino sopravvissuto al crollo del comunismo, abbellito con colorate opere e graffiti di 118 artisti di 21 Paesi. Il lungo blocco di Muro è oggi un monumento nazionale, la East Side Gallery, e il suo pezzo più iconico è il noto “Bacio” tra Brežnev, l’ex segretario generale dell’Urss, e Honecker, l’ex presidente della DDR, la Repubblica Democratica Tedesca; un’opera dell’artista Dmitri Vrubel.
La città ripensa se stessa
«Berlino è una città diversa e aperta a tutto. Qui puoi fare ogni cosa e, se funziona, realizzare qualsiasi idea, anche in cucina. In Germania questa dimensione la trovi solo qui», riassume lo chef René Frank, riportandoci al tema gastronomico. «È una città di giovani e aperta alle innovazioni – aggiunge Michael LaFond, responsabile dell’Institute for Creative Sustainability – Durante gli anni della cortina di ferro c’erano sovvenzioni e investimenti per rendere attrattivo vivere in quest’enclave occidentale dentro la ex DDR. Poi con la caduta del Muro c’è stata l’urgenza di ricostruire e ripensare una città e un modo diverso di vivere».
Arrivarono, così, artisti, giovani, imprenditori, investimenti e chef da tutto il mondo e Berlino, abbattute le divisioni del Muro, divenne la città creativa, cool e di tendenza che conosciamo, senza confini culturali. Oggi impegnata verso un avvenire più sostenibile.