Le parole che usiamo (e quelle che evitiamo accuratamente di usare) definiscono la nostra identità. E questo vale anche nel mondo della cucina e della ristorazione. Per anni, Google — una fonte cruciale per le inserzioni commerciali — aveva deciso di non includere la parola "palestinese" come categoria per le schede ristoranti che appaiono nelle ricerche e su Google Maps, nonostante nel suo elenco di categorie di cucina comparissero "israeliano", "libanese" e altri. Una leggerezza? Forse, ma visto il contesto politico e storico in cui viviamo, una leggerezza inaccettabile.
In una dichiarazione a Eater a gennaio, Google aveva anticipato che fosse in procinto di implementare un aggiornamento che avrebbe permesso ai ristoranti di auto-classificarsi come palestinesi. E ora, sembra essere possibile anche se essendo la modifica recenti i ristoranti palestinesi si trovano sotto la categoria mediorientali.
Duzan, un ristorante palestinese ad Astoria, Queens, ha pubblicato su Instagram screenshot della sua scheda Google come "ristorante palestinese", accanto a un'immagine della scheda precedente, in cui veniva chiamato "ristorante israeliano". Duzan ha commentato il cambiamento con "Notizie! Abbiamo lottato per questo da 15 anni!"
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La cucina va ben oltre la mera preparazione di cibo; è tesoro di memorie e identità, un legame tangibile con la propria terra. Per il popolo palestinese, il cibo non è solo nutrimento, ma un mezzo per preservare la propria identità in un contesto di occupazione che minaccia di privarli non solo della terra, dell'acqua e dell'aria, ma anche della propria storia.
Così come per le arti e la cultura palestinese, proteggere la tradizione culinaria significa mantenere vive le radici palestinesi attraverso aromi, sapori e colori che evocano la terra d'origine. In un contesto in cui l'occupazione cancella ogni traccia di identità, la cucina diventa un atto di resistenza, un modo per preservare la storia e la cultura di un popolo.