Non è difficile fare una classifica delle parole italiane del cibo storpiate fuori dai confini nazionali: chi è a contatto con gli stranieri tutti i giorni, può garantire che la realtà supera di gran lunga la fantasia (e le classifiche). La pronuncia è un indicatore dell'identità culturale italiana; quando questa viene martorizzata, la prendiamo un po' come un'offesa. Se una volta "brusheda", "Versaci" e il quartiere romano "Travestera" erano le parole più deformate, negli ultimi anni il numero di vocaboli è cresciuto notevolmente.
I cibi italiani che gli stranieri non sanno pronunciare
Non è una questione di "snobberia", tutt'altro. In Italia prendiamo molto sul serio la nostra tavola e la lingua di Dante. Certi errori linguistici fanno sorridere (molte volte), altri invece ci fanno arrabbiare (molto poco). Come la parola "pistacchio". In inglese, si scrive con una "c" in meno e la pronuncia diventa pistascio. Fin qui, nulla di grave, oltre alla confusione in gelateria. È quando la ciabatta diventa ciobada, il risotto risowdo, e alcuni che ancora chiedono al bar un expresso, por favor che gli animi di scaldano. Come anche i nomi dei cibi italiani con la finale in "e" che viene inspiegabilmente cambiata: linguini, salami, fettuccini.
I fonemi "gl" e "gn" nei nomi dei cibi italiani
Gli stranieri, specie gli anglofoni, tendono ad avere molti problemi con i fonemi 'gli' e 'gn' della lingua italiana. Per questo motivo, la parola "tagliatelle" viene spesso pronunciata, complicando, tag-lìa-tele, con la 'g' gutturale. La parola più difficile però è "gnocchi". Secondo la piattaforma di apprendimento Preplay che ha analizzato i dati Google, la pronuncia corretta di viene cercata online 544.800 volte all'anno. Non saper dire quella parola è un errore perdonabile supponendo che il la 'gn' sia pronunciata come la si legge, essendo un suono estraneo alla lingua anglosassone. Su un menu di un ristorantino italiano di periferia a Los Angeles l'ho visto scritto per disperazione ñokkee, e a dire del proprietario, questo trucco fonetico che prende in prestito la tilde spagnola (ñ), funziona. Per lo stesso problema, nel Regno Unito, per dare un nickname più semplice agli spaghetti alla bolognese si usa il termine spagbol.
Le doppie e le finali tronche
Altro "crimine" contro la lingua italiana avviene ogni volta che uno statunitense ordina una buratta, con la "t" raddoppiata che poi si tramuta in una "d", e l'ubiquo latticino di Andria diventa addirittura burada. La ricotta viene chiamata rigoda, e gli spaghetti diventano spaghedi. Sono poi molte poi le parole prese in prestito pari pari, ma la cui pronuncia è cambiata per adattarsi alla cadenza della lingua inglese, e, soprattutto, dove l'accento regionale d'origine ha giocato un grande ruolo. Circa l'80 per cento degli italo-americani è di origine meridionale, comprensibile la caduta, pertanto, dell'ultima vocale di certe parole: projoott', manigott', sfulyadell' e la strana mutazione del vocabolo 'mozzarella' in muzadell'. Poi ci sono i vecchi classici come brajol' (braciole), gabagul' (capocollo), pasta fazool (che perde la congiunzione 'e'), bisgott' (biscotti) e galamad' (calamari) E poi l’intramontabile calzone, dove la seconda sillaba suona come come (war) zone. Stessa cosa accade al minestrone che diventa, a seconda del soggetto, o plurale (minestroni) o che fa rima con phone. Lieve piccatura di fegato.
Guai a pronunciare bene
C'è poi tutta una compagine di anti puristi. Chi all'estero fa lo sforzo di pronunciare bene i vocaboli italiani viene spesso tacciato di presunzione ed eccesso di zelo linguistico. «Pronuncia la parola in modo troppo preciso», è una delle accuse più frequenti. Sono nati meme (anche crudeli) su questa cosa. C'è un intero filone che bersaglia un'influencer che in un video in inglese parla della cacio e pepe. Lei pronuncia correttamente il nome del piatto, e in split screen tutti le fanno il verso. Niente di nuovo, comunque: parte del motivo per cui molte giovani generazioni di italian-americans non hanno mantenuto conoscenza della lingua d'origine è dovuta al fatto che i bisnonni immigrati hanno subìto una discriminazione tale da passare all'inglese parlato anche in casa. I loro figli, e poi i figli dei figli, hanno così perso la dimestichezza con l'italiano, seppur dialettale, dei loro avi. È comune inoltre che alcuni italo-amercani in viaggio nella terra dei loro antenati emigrati perdano la pazienza perché nessuno capisce le parole che secondo loro sono "italiane"; soprattutto si innervosiscono perché la vera lingua italiana è per loro. Gli errori grammaticali agli stranieri si concedono, è chiaro. Ma non è comprensibile come l'inesattezza venga poi irremovibilmente cementata nel lessico comune. Negli States, per esempio, le parole "panini" e "cannoli" sono usate come sostantivi singolari. «I would like one panini». Una cosa che fa sorridere ma anche arrabbiare.