Giulia Innocenzi non ha certo bisogno di molte presentazioni. Appassionata giornalista che negli ultimi anni, passando per i temi politici, si è concentrata sui diritti degli animali non abbandonando mai l’approccio d’inchiesta che l’ha sempre contraddistinta. Abbiamo parlato con lei del suo ultimo lavoro, Food for Profit, un documentario realizzato con il regista Paolo D’Ambrosi che denuncia i maltrattamenti che gli animali subiscono negli allevamenti intensivi sparsi per l'Europa (Italia inclusa) e i rapporti tra le lobby della carne e la politica.
In che periodo è stato girato il documentario?
Viene da un’idea nata nel 2018. Le riprese sono state fatte tra il 2019 e il 2023.
Quello degli allevamenti intensivi in Europa è un problema solo degli ultimi anni?
Direi di no, è che prima abbiamo fatto finta che non ci fossero. Da una decina di anni è cambiata la percezione grazie alle sempre più frequenti immagini dei blitz delle associazioni animaliste. Quello che forse è cambiato è che le persone ora hanno più esigenza di sapere.
Le immagini del documentario si dividono tra le atroci sofferenze degli animali e la frenetica attività lobbistica europea.
L’obiettivo era di andare oltre alle immagini viste finora, smascherando gli intrecci affaristici tra le potenti lobby e gli eurodeputati pagati da noi. Altro aspetto è stato quello di voler mettere in evidenza che non si tratta di mele marce, ma di un sistema ben collaudato che è diventato prassi nel processo decisionale delle politiche agricole europee.
Nel documentario l’assistente della deputata Clara Aguilera afferma che chi si mette contro il prosciutto perde in partenza. È proprio così?
Quella è una frase molto importante che abbiamo voluto lasciare e che, secondo, me racchiude tutto. Inoltre si presta a due interpretazioni. Da una parte si può vedere in modo semplice: tutti amano il prosciutto e chi se ne frega se a qualcuno non sta bene. Dall’altra però bisogna evidenziare che dietro quel prosciutto c’è un giro di soldi che va a nutrire un sistema inscalfibile che fa perdere in partenza chiunque gli si metta di traverso.
In passato si è occupata anche di carne coltivata. Come si spiega tutta questa diffidenza su un prodotto di questo tipo e non sull’editing genetico come quello del (finto) maiale a sei zampe proposto agli eurodeputati?
Abbiamo il ministro Lollobrigida che da una parte è contrario alla carne coltivata, ma dall’altra è un grande fan di editing genetico, per ora legato ancora alle sole piante. L’industria della carne pian piano proporrà l’editing genetico anche per gli animali, con la scusa di farlo per migliorare la sostenibilità e contrastare il cambiamento climatico.
Nel documentario sostenete che Copa-Cogeca è al vertice di un sistema piramidale di potere lobbistico che trascina dietro a sé anche organizzazioni nazionali. Esiste una sorta di sudditanza anche tra lobby?
Si tratta della più grande lobby di produttori di carne, ma queste entità, grandi o piccole, non si muovono in modo autonomo. I punti di vista di questi attori sono sempre gli stessi come se ci fosse un coordinamento. Oggi la lobby della carne si nasconde ancora dietro la figura dell’agricoltore con il cappello di paglia, ma è quanto di più lontano dalla realtà.
Gli eurodeputati che avete intervistato non ne escono benissimo. Come nel caso dell'ex ministro italiano Paolo De Castro.
Il filo che lega eurodeputati come Paolo De Castro e le lobby è frutto di un conflitto di interesse. Come presidente di Filiera Italia (che comprende anche molte note industrie della carne, ndr) come può essere super partes nella sua attività di deputato europeo?
Può esistere un’alternativa sostenibile all’allevamento basato sui grandi numeri?
Direi di no. Oggi con l’aumento dei consumi di carne di Cina e India il modello di allevamento intensivo è l’unico possibile per sostenere una produzione che accontenti tutti. Purtroppo questo modello è anche quello più deleterio per gli animali, per l’ambiente e anche per noi e non possiamo andare avanti in questo modo. L’unica alternativa possibile è passare a un’alimentazione vegetale. Il cambiamento parte dal singolo e dalle sue abitudini alimentari. Solo così potremo farcela.
C’è qualche argomento sul quale avrebbe voluto concentrarsi di più o che magari affronterà più nel dettaglio in futuro?
Vorrei continuare a lavorare sul futuro del cambiamento climatico. Anche in questo caso vorrei analizzare cosa ci impedisce di cambiare strategia, le lobby che ci sono dietro e come si muovono.
Oltre ai cinema in giro per l’Italia, dove viene proiettato questi giorni, lo potremo vedere presto anche su una delle piattaforme on demand?
Ho contattato le piattaforme per proporre il documentario, ma per ora non ho trovato porte aperte. Mi rincuora il fatto che dal 27 febbraio, quando abbiamo cominciato con le proiezioni nei cinema di tutta Italia, il feedback è stato straordinario e stiamo registrando ovunque sold out. Un risultato che decisamente non mi aspettavo e che mi sta dando grandi soddisfazioni.