"Dopo il caso Ferragni-Balocco c'è stata una caccia alle streghe". Intervista alla food blogger A gipsy in the kitchen

29 Gen 2025, 18:57 | a cura di
Dalle sfilate in giro per il mondo alla cucina gitana, fatta di viaggi, emozioni e storytelling. Ecco come Alice Agnelli racconta la sua storia di libertà e cucina

È stato un salto nel vuoto? «No, nella luce». Così Alice Agnelli, in arte A gipsy in the kitchen, descrive la scelta che, nel 2015, ha cambiato la sua vita: lasciare un lavoro nel mondo della moda per dedicarsi anima e cuore alla cucina e alla comunicazione. E a giudicare dai suoi 123 mila follower su Instagram, la scommessa è stata vinta. Parliamo con Alice negli ultimi giorni del Veganuary - il mese dedicato alla sfida per 31 giorni a un'alimentazione senza proteine animali - tema per la quale è una delle voci più seguite dal 2010 nel panorama food italiano. Ma la sua storia non è solo viaggi e ricette: in lei ci sono tante emozioni, creatività, una buona dose di colore e una sensibilità fuori dal comune.

Milanese classe 1980, laureata in Scienze della comunicazione con un master in giornalismo a Boston, Alice ha sempre avuto una passione per la moda. Ha lavorato a New York da Tommy Hilfiger per tre anni, poi in Italia per Stella McCartney. Ma quel mondo, fatto di ritmi frenetici e regole rigide, non era il suo. Gipsy di nome e di fatto, Alice ha sempre amato viaggiare, raccogliere storie, assaporare la vita in ogni angolo del mondo. E così, dopo sei anni di doppio lavoro tra la moda e il blog, ha deciso di cambiare strada. Oggi vive in un loft a Milano con la figlia Luce, di tre anni, e i suoi due cani, Brie e Baku. E continua a fare ciò che ama di più: cucinare e raccontare la sua vita.

Alice e sua figlia Luce

Partiamo dall’inizio. Come è nato il progetto di A gipsy in the kitchen?

È iniziato quasi per gioco. Siamo nel 2009 quando ho aperto il mio blog. Da lì è stato un percorso in continua evoluzione: ho sperimentato altri canali – come YouTube – ma all’epoca non c’erano né Facebook né Instagram. Tutto parte da quando vivevo a New York, quando lavoravo ancora nella moda. Ho sempre amato mangiare – mio nonno diceva che ero “un debito a tavola” – e sono cresciuta in una famiglia dove le donne della mia vita cucinavano bene con passione. A New York, oltre a esplorare la scena gastronomica, ho sentito la nostalgia di casa e ho iniziato a leggere tantissimo di cucina. Per me, Martha Stewart era un appuntamento fisso. Così ho cominciato anche a scrivere e a sperimentare, unendo le mie due grandi passioni.

Quindi prima non sapeva cucinare?

No, assolutamente. Ti racconto un aneddoto che la mia migliore amica mi rinfaccia ancora oggi: ai tempi dell’università, una volta ho cucinato la pasta con il brodo della Star. Ecco perché il mio primo blog è iniziato come una sorta di diario delle mie sperimentazioni ai fornelli: aggiornavo tutti sulle mie madeleine fallite e sui miei macaron disastrosi. La cucina per me è stata una forma di catarsi, un modo per esprimere emozioni troppo grandi. Tornavo a casa da un lavoro che non amavo e il pensiero di mettere le mani nella frolla era l’unica cosa che mi faceva stare bene.

Da lì ha capito che poteva diventare un lavoro a tempo pieno...

A gennaio 2015 ho dato le mie dimissioni da Stella McCartney. Forse è stato un salto nel vuoto, ma io amo definirlo più un salto nella luce.

Parliamo di comfort. Questa parola sembra essere un fil rouge nel suo lavoro: comfort food, comfort negli ambienti, comfort nell’estetica. Cosa significa per lei? E quali sono i suoi tre piatti del conforto per colazione, pranzo e cena?

Per me il conforto è tutto ciò che riguarda il cibo, perché ci nutriamo anche di energie. Mangiare è un modo per prendersi cura di noi stessi e di chi amiamo. Se dovessi scegliere tre piatti comfort direi: per colazione, pane tostato con marmellata e tè nero; per pranzo, un bel risotto; per cena, una zuppa di miso.

Nei suoi contenuti si percepisce una forte ispirazione nomade. Si definisce “gipsy”. Cosa significa per lei questo concetto applicato alla cucina?

Il nome A Gipsy in the Kitchen nasce per caso, nel 2012, durante una conversazione con la mia amica Martina Marchiorello. Stavamo parlando della mia ennesima delusione d’amore e lei mi ha detto: «Alice, tu sei una gipsy», riferendosi alla mia visione della vita, alla filosofia di libertà che ho. Ero una nomade.

E si sente sempre, dopo 15 anni dall’apertura del suo blog, una gipsy?

Per molto tempo ho viaggiato tantissimo per lavoro, spostandomi da un paese all’altro. Ora questa parte di me è cambiata: il desiderio di viaggiare c’è sempre, ma deve conciliarsi con una figlia di quattro anni e due cani.

Quindi ha mai pensato di cambiare nome?

Sì, ci ho pensato un anno fa. Volevo chiamarmi Con amore, Alice. Poi è uscito il programma di Meghan Markle, With love, Meghan, e ho deciso di inventarmi qualcos’altro. Voglio dare più spazio a quello che per me oggi è essenziale: il cibo del conforto, che sarà il tema centrale del mio quinto libro, che inizierò a scrivere a febbraio.

Però la sua cucina rimane nomade…

Assolutamente sì. La mia cucina sarà sempre nomade perché uso ingredienti provenienti da tutto il mondo nella mia cucina.

Se dovesse identificarsi con un piatto, quale sarebbe?

Senza dubbio gli spaghetti al pomodoro. Sembra un piatto semplice, ma è molto più complesso di quanto si creda. Ogni giovedì organizziamo una cena a tema con gli amici, e la cosa che amo di più cucinare per loro è proprio un piatto di spaghetti al pomodoro e basilico fatto a regola d’arte. Lo mangerei sempre e piace tantissimo anche a mia figlia Luce.

E un piatto fuori dall’Italia?

Scelgo un dolce: la madeleine. Per lo stesso motivo: semplici ma complesse.

La sua community è straordinariamente affezionata e partecipe. Quando ha capito di avere un seguito così forte?

Quando le persone hanno iniziato a riconoscermi per strada o a scrivermi per dirmi che quello che facevo aveva avuto un impatto positivo sulle loro vite. È stato allora che ho capito che volevo lasciare la moda.

Tuttavia, il mondo digitale non è privo di difficoltà. Il caso Ferragni-Balocco ha scosso il mondo del marketing digitale, portando alla creazione di nuove regole. Cosa ne pensa?

Personalmente, non è cambiato nulla: ho sempre dichiarato chiaramente le collaborazioni e i prodotti ricevuti. Purtroppo, in Italia siamo troppo abituati a puntare il dito. Dopo questa vicenda, è cambiata la percezione che i follower hanno degli influencer e viceversa. È stata una sorta di caccia alle streghe, dove tutti sono stati messi sullo stesso piano.

Quali sono i food blogger che segue e che consiglia?

Ce ne sono molti che fanno un ottimo lavoro. Tra i miei preferiti ci sono Chiara Maci, Sara Porro, Little Vegan Witch, e ovviamente Yotam Ottolenghi.

Quasi tutti influencer che si ispirano al mondo veg. Proprio gennaio è il mese del Veganuary, una sfida che spinge molte persone ad avvicinarsi alla cucina vegetale. Come è nato il suo rapporto con il vegetarianismo?

Sono vegetariana dal 2009, ma già dal 2000 avevo eliminato quasi tutta la carne e seguivo un’alimentazione pescetariana. Lavorando per Stella McCartney mi sono avvicinata molto a questo mondo. Suo padre, Paul McCartney, ha lanciato la campagna Meat Free Monday, un’iniziativa per sensibilizzare sulle conseguenze ambientali del consumo di carne. Negli anni, sempre più persone si sono avvicinate a questa scelta.

E ha mai sentito il bisogno o la voglia di tornare a mangiare carne?

Solo in gravidanza! Avevo una voglia assurda di hamburger, poi ho capito perché: avevo il ferro molto basso. Ma dopo il parto non ho più sentito il bisogno di mangiare carne.

Nota una nuova consapevolezza nei giovani riguardo al cibo e alla scelta vegetariana?

Secondo me sì. Mia figlia, tra l’altro, è vegetariana e l’ho svezzata con questa alimentazione. In casa non mangiamo carne né pesce e, quando le viene offerto qualcosa fuori, lei risponde: “No, io sono vegetariana e amo gli animali”. Per me è fondamentale che non faccia distinzione tra un maiale, una mucca e i nostri due cani.

La cucina vegetale è spesso vista come limitante, ma lei sembra ribaltare questa percezione. Quali sono gli ingredienti immancabili nella sua dispensa?

Tra tutti, io amo il pane. La mia colazione perfetta è pane tostato con marmellata di mirtilli rossi o arance e una tazza di tè nero. Poi non mancano mai il miso, perché adoro il brodo, l’hummus e i risotti di tutti i tipi.

C’è un prossimo viaggio in programma?

Vorrei portare Luce a Parigi e a New York per mangiare tanti lievitati. E poi mi piacerebbe esplorare insieme a lei il Nord Europa.

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