Non sono passati che pochi giorni da quando una querelle ha acceso gli animi, già provati dalla paura di una minaccia sempre meno latente, animando uno scontro da una parte all'altra delle Alpi. Uno scherzo di cattivo gusto, certo, ma che rivela, strisciante, la voglia di esorcizzare il pericolo del coronavirus, di allontanarlo, relegandolo in un indistinto altrove. “Il contagio è roba loro, non nostra”. Lo abbiamo fatto anche qui, inizialmente, confortati da una distanza oceanica, quando ancora pareva che il virus dovesse rimanere in Oriente.
Le misure restrittive in Italia
Non sono passati che pochi giorni, sembrano secoli. Durante i quali le misure di prevenzione si sono fatte, giorno dopo giorno, sempre più rigide. Ora l'Italia è sotto assedio, costretta da misure molto restrittive, ma necessarie. Quelle per cui l'Organizzazione Mondiale della Sanità, proclamando la pandemia, ci ha indicato – nelle parole del direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus - come modello da seguire, apprezzando gli enormi sforzi richiesti alla nostra economia e alla società. Quelle stesse misure definite come inefficaci dalla portavoce del governo francese, Sibeth Ndiaye.
La situazione in Francia
La Francia sta andando in un'altra direzione, confermando persino – per il momento – le elezioni municipali in 36.000 comuni il 15 marzo (il secondo turno il 22). E senza grandi restrizioni. Parola d'ordine? Normalità. Almeno così è stato fino a ora e così sembrerebbe voler procedere l'amministrazione di Emmanuel Macron. Forse qualcosa cambierà nelle prossime ore, ma il presidente ha ribadito di non voler fermare il paese. (AGGIORNAMENTO DELLE 20: in effetti l'Eliseo ha imposto un po' di misure restrittive al paese come la chiusura delle scuole e delle università, ci si augura che questo limiti il contagio in Francia ma la sensazione è che non basterà)
Con oltre 2200 casi e 48 morti (dato dell'11 marzo) la Francia non può certo dirsi al riparo. Secondo focolaio in Europa, la sua situazione attuale, come quella della Spagna, sembra essere simile a quella dell'Italia di inizio marzo e la curva dei contagi pare seguire lo stesso andamento. E forse anche la percezione dei cittadini può dirsi affine a quella vissuta da gran parte degli italiani fino a pochi giorni fa. Sembrano secoli, appunto. Ma lungi dal fare tesoro dell'esperienza vissuta al di qua delle Alpi, la posizione è tutt’ora di non allarmismo: dato che – si dice - il virus non circola ancora attivamente sul territorio francese.
La reazione dei cittadini
“Le persone si comportano come in Italia intorno al 22-25 febbraio” racconta Giovanni Passerini, che dalla sua posizione di italiano all'estero, mantiene un occhio attento a quanto accade nel nostro paese. E cerca di mettere in guardia. Dalle pagine social, nella vita reale, dentro e fuori il suo ristorante sta facendo una campagna di sensibilizzazione che – per ora – non riesce ad avere la necessaria efficacia. Del resto è stato proprio Macron, il 6 marzo, a dire che non c'era nessuna necessità di cambiare le proprie abitudini. Anche se qualche prima avvisaglia si percepisce.
L'andamento dei ristoranti a Parigi
Lo vediamo di nuovo da quella cartina di tornasole rappresentata dai ristoranti: “L'affluenza è scesa un po' per tutti, da me è circa il 30% in meno” dice Passerini “e io sono uno di quelli che sta tenendo meglio”. Quindi qualche leggera linea di inquietudine pare emergere. Ma non troppa: “cerco di parlare e spiegare alle persone del pericolo che stiamo correndo” aggiunge “e se riesco ad avere un confronto appena più approfondito, riesco a instillare qualche dubbio. Altrimenti, negli scambi veloci di persona o su internet, ricevo risposte un po' sarcastiche, comunque volte a minimizzare. mi sento come Don Chisciotte”. Forse accade anche perché l'atteggiamento della stampa francese, in gran parte, è di evitare allarmismi se non addirittura negare che ci sia un enorme rischio contagio. Un po' per una questione culturale, un po' per il gusto di mostrare distacco o di essere bastian contrario, un po' perché questa è la posizione istituzionale... chissà “fatto è che le notizie sul virus non sono abbastanza. È un incubo” continua “siamo di fronte alla più grande crisi che la nostra generazione si sia trovata ad affrontare, le nostre vite ne usciranno cambiate ma non sappiamo ancora come”.
La percezione del rischio coronavirus
Le persone sembrano ancora a una fase precedente di consapevolezza sull'entità del rischio. “Chi si preoccupa, lo fa per la mortalità, non perché è tutto messo in crisi: il sistema sanitario, l'economia, la società”. Insomma si pensa alla malattia in sé e non al suo impatto sul paese: “pensano che chi prende delle precauzioni lo faccia solo per non ammalarsi e non perché serve a non fare ammalare anche gli altri e far crollare tutto. C'è bisogno di maggiore responsabilità”.
Ancora nessun provvedimento
Si è parlato di provvedimenti restrittivi? “No, per ora nulla. Anche le scuole sono aperte. Così tutto il resto, ristoranti inclusi”. Nessuna ordinanza che limiti le attività. Non hai pensato di chiudere lo stesso? “Sì, certo, ma in assenza di un decreto devo capire bene quanta autonomia ho”. La rata del mutuo, i costi del personale... parla di una manciata di settimane, quindi ogni scelta deve essere ben ponderata “devo chiudere nel momento giusto per avere speranza di riaprire, valutare con attenzione”. Ma non si parla di provvedimenti a sostegno delle imprese? “Si comincia ora. Ma poche cose: aspettativa, provvedimenti simili alla cassa integrazione, soprattutto basate sulla diminuzione del giro d'affari, che comunque non puoi valutare su un periodo di tempo così breve”. Perché secondo te non ci sono stati provvedimenti fino a ora? “Probabilmente stanno facendo, in grande, quello che faccio io in piccolo: capire la situazione e aspettare il momento migliore, valutare quanta autonomia c'è dal punto di vista economico e capire quando fermare tutto. E poi” aggiunge “c'è un altro momento cardine da intercettare: non vogliono essere i responsabili della crisi economica, e non vogliono essere gli irresponsabili che hanno determinato la crisi sanitaria”. Una specie di point break. Sulla pelle delle persone e della Francia tutta.
a cura di Antonella De Santis