Levare le tende, e non in senso figurato. La conclusione di Genesis, la quattro giorni a tutta montagna organizzata dal SanBrite, ha coinciso, simbolicamente, con l'addio all'accampamento sotto il Monte Cristallo, ultima tappa di un percorso di avvicinamento alle Dolomiti voluta da Riccardo Gaspari e Ludovica Rubbini, anima e cuore di quel sistema gastronomico che si muove intorno al ristorante di Cortina e che conta anche caseificio (Piccolo Brite) e agriturismo (El Brite de Larieto), con tanto di vacche - una ventina - libere di pascolare nel verde circostante. Ne avevamo parlato diffusamente un anno fa, di questo organismo autarchico che affonda a piene mani nel paesaggio alpino, nei suoi sapori e nello spirito montano che tutto innerva. E ne riparliamo oggi, tirate le fila dell'edizione numero zero di un evento che punta proprio a far scoprire quello spirito nelle sue molte declinazioni. Invitando i partecipanti a lasciarsi alle spalle abitudini urbane e schiavitù digitali per entrare nella dimensione alpina seguendo le traiettorie tracciate dai padroni di casa e dal gruppo che han riunito intorno a sé nella lunga gestazione di questo evento. “Dovevamo farlo lo scorso anno” fa Ludovica “ma poi il Covid...” non serve neanche finire la frase: sappiamo sin troppo bene come sono andati gli ultimi mesi, ma sappiamo anche che il tempo sospeso cui ci ha obbligato la pandemia per molti è stato fruttuoso. Così qui: 12 mesi in più hanno permesso di mettere a segno un programma ricco e perfettamente coerente, un'organizzazione precisa e una profonda autenticità. Obiettivo: tornare alle origini, come il nome dell'evento - Genesis – suggerisce.
Genesis. I quattro elementi e il team di cucina
Aria, acqua, terra, fuoco: il punto di partenza sono stati i quattro elementi. L'aria pura della montagna, l'acqua della sorgente di cui si sono seguite le tracce in un ciclotrekking assai poco rabdomantico (ma molto bello dal punto di vista dell'approccio al territorio), la terra che è madre da cui originano le materie prime e infine il fuoco su cui si è cucinato l'ultima sera. Quattro elementi per ri-costruire un rapporto nuovo con la montagna, fuori dalla modalità consueta sci-escursionismo-ristorante, ma nel pieno di un legame strettissimo con l'ambiente circostante, e la sua anima più profonda.
Per farlo ci sono stati dei ciceroni d'eccezione: il team del SanBrite, naturalmente, e un nugolo di chef che con loro condividono visioni e prospettive: Valerio Serino e Lucia De Luca (Tèrra, Copenhagen. Fresco di Stella Verde nella guida Michelin dedicata ai paesi del Nord Europa, Tre Forchette e Ristorante Emergente nell’ultima edizione della Guida Top Italian Restaurant) e Mikael Svensson (Kontrast, Oslo), autori della cena d'apertura al rifugio Angelo Dibona.
Alessandro Gilmozzi (El Molin, Cavalese) che si è alternato ai fornelli del Brite de Larieto con la resident chef Ilaria Piccolini. Davide Di Fabio (da pochissimo uscito dalle file della Francescana per aprire il suo Dalla Gioconda, Gabicce Mare), Franco Aliberti (nel nuovo Anima di Enrico Bartolini, Milano) che con Riccardo hanno dato vita alla cena più suggestiva, quella nel campo base alle pendici del Cristallo: brace e fuoco per trovare la strada di una cucina solo sulla carta primitiva, in realtà estremamente evoluta e consapevole.
Insieme a questi, poi, c'erano Chita Perazzi, Sara Nicolosi e Cinzia De Lauri (AlTatto, ristorante vegano di Milano), Stefano Ferraro e Lorenzo Cioli (Loste Cafè, Milano) cui si devono pranzo al sacco e colazione open air, entrambi ritagliati su misura per l'occasione: tazze e portavivande in acciaio a prova di urto, plaid per sedersi, succhi di frutta, caffè d'autore, piatti semplici dall'anima green che raccontano la montagna come nel caso delle insalate di erbe e di funghi, ma anche profumati sfogliati, quelli de Loste, che dall'esperienza scandinava portano in consegna una pasticceria butter oriented.
Il burro, del resto, ha fatto da filo conduttore, quello da preparare in diretta con Matteo Bonaiti Pedroni, giovane casaro irriverente del Piccolo Brite, autore di latterie, ricotte, stracchini, yogurt e burro – appunto - quello sontuoso che arriva montato in tavola a dominare la scena.
Il foraging e le cene di Genesis
Cos'ha di particolare Genesis? Una coerenza profonda, in ogni cosa: la birra al lichene, la grande scultura di Stefano Ogliari Badessi – una capra gigante rivestita di erbe che rimarrà nei pressi di El Brite de Larieto a segnare il passare del tempo con le sue trasformazioni - o in quelle attività all'aria aperta: lo yoga, i percorsi in bici, tutto nel segno di una riconquista di un rapporto armonico con l'ambiente.
Ma soprattutto c'è una cucina che vive di quelle erbe che la città conosce solo per sentito dire e che Valeria Margherita Mosca ha introdotto nella lezione (sul campo) di foraging conservativo in cui ha guidato l'accesso agli ambienti montani nella loro complessità, a quegli alpeggi che l'abbandono dei pascoli rende preda dell'avanzata delle foreste (che procedono alla velocità impressionante di 3 campi di calcio al giorno), a quegli habitat che – da Cortina in poi – caratterizzano queste zone. La conoscenza di queste realtà è la risposta alla loro fragilità.
E in questo contesto si inseriscono i piatti che – pasto dopo pasto – hanno definito l'area gourmet di Genesis: il menu firmato da Riccardo Gaspari al Sanbrite, soprattutto, che fotografa angoli del suo ambiente per raccontarli in quei sapori profondissimi: il risotto Erba, o il sedano rapa, a suo modo un assoluto dominato da un fondo bruno intensissimo.
E poi gli gnocchetti con cicoria, ciccioli e funghi di Ilaria Piccolini – una sintesi della montagna circostante – o l'olio evo e la montagna di Alessandro Gilmozzi (foto sopra).
Così anche per i piatti della prima sera, che hanno origine nel profondo nord scandinavo, le capesante norvegesi con salsa di fiori di sambuco e zafferano di Svensson (foto sopra) e il porro brasato con miso e pil pil di porro e olio all'origano di Serino: un altro assoluto - in cui pare declinarsi la lezione del carciofo di Niko Romito - o ancora il pomodoro in conserva, sempre di Serino che punta ad acidità e no waste.
Il gran finale è stato un concerto a sei mani davanti al fuoco ad alto tasso di energia e improvvisazione: i funghi alla brace di Gaspari che incontrano le alghe di Di Fabio, la capra di quest'ultimo sempre cotta alla brace che osa richiami thai, il pane profumato nel Green Egg con l'abete rosso (seguendo i dettami di Valeria Mosca) la minestra di fagioli, gli iconici spaghetti al pino mugo di Gaspari e poi lo zabaione (che si accompagna a una rapa) preparato a fuoco vivo da Aliberti che non scorda il suo passato da pasticcere.
La cena, con il tavolo allestito sotto la tenda, è il preludio della notte nell'accampamento in quota, occasione magica per riveder le stelle. Organizzazione perfetta, per questa edizione numero zero, che lascia già presagire sviluppi futuri, anche in previsione di quel 2026 e dell'appuntamento con le Olimpiadi Invernali di Milano e Cortina.
a cura di Antonella De Santis
foto Lorenzo Morandi - @yourstory.it