Che cos'è il Gator Bites, l'alligatore fritto che smentisce i luoghi comuni sulle carni “esotiche"

28 Gen 2025, 17:14 | a cura di
La carne di rettile viene immaginata come qualcosa di strano e poco invitante. Ma se vi dicessimo che gli americani ne fanno un comfort food da pub?

In alcune aree degli Stati Uniti entrare in acqua può essere pericoloso. Laghi, fiumi, lagune, stagni e altri siti paludosi nascondono delle insidie. I residenti di Louisiana e Florida lo sanno bene, abituati ad attacchi improvvisi degli alligatori, che presidiano il loro habitat e sono pronti a difenderlo da possibili intrusi, per lo più dei poveri malcapitati. Si ricordi un caso di qualche anno fa che fece tanto scalpore: un bambino azzannato e trascinato fuori dal Disney World Resort di Orlando City. Qui, gli americani convivono con il problema dei grandi rettili. Chissà se la decisione di farne un bocconcino saporito non sia stata pensata per dimezzare la moltitudine rettiliana. L’alligatore infatti viene mangiato regolarmente da queste parti, anche perché fa parte della cultura culinaria cajun e creola degli stati del sud. Del repertorio, una delle preparazioni più peculiari è dunque proprio a base di alligatore. Avete mai sentito parlare dei Gator Bites?

La carne di alligatore

Il sapore del lucertolone è più familiare di quanto si possa credere. Ma prima di approfondirne specifiche organolettiche e aspetti culinari, è importante conoscere come avviene la sua macellazione. Per prima cosa si eviscera dalla pancia privandolo degli organi. Poi, si scuoia da sotto il capo fino alla coda (si scartano invece testa e zampe). Pure qui, come per il pesce o la carne, la porzionatura dipende dall’abilità e manualità di chi sfiletta o disossa. Si fa scorrere il coltello lungo il dorso dell’animale, lì dove è posta la ‘spina’ centrale, una sorta di colonna vertebrale. Si elimina il grasso superfluo; a differenza di altre specie animali destinate al consumo, non è pienamente edibile: di colore bianco bianco, in cottura non si scioglie fino in fondo e rischia di risultare stopposo, data la tenacità fisiologica che lo caratterizza. Un passaggio che richiede maggiore o minore tempo in base alla grandezza del rettile. Va detto comunque che negli esemplari più piccoli il grasso non è intramuscolare e pertanto in bocca la dimensione tattile sarà tendenzialmente diversa. Manovra cruciale affinché perda quei sentori 'animali' e di selvatico. A qualcuno sembrerà strano, ma alla fine dal lavoro di lama se ne ricava un vero e proprio filetto. L’altra parte considerata commestibile è invece la coda. Al palato, richiama la carne bianca, soprattutto quella di maiale. A partire da questi tagli di carne si sono diffuse varie ricette a livello regionale.

Gator Bites d'asporto (Florida)

Cosa sono i Gator Bites

Volendo, l’alligatore si può cucinare intero alla griglia o al barbecue, sempre che sia pulito con la suddetta procedura. In altre circostanze, può essere brasato, addirittura affumicato, o ridotto a snack in stile beef jerky. Per chi non fosse a suo agio con i cibi meno conosciuti, il consiglio è di assaggiarlo fritto a pezzettini. Com’è che si dice in questi casi? Fritto è buono tutto, no? In ogni caso, le ricette che contemplano la frittura a immersione sono fra loro molto simili, se non per il nome con cui si sono affermate. C’è chi parla di Gator Nuggets e chi di Gator Bites. Non è da escludere che si tratti della stessa preparazione, nel primo caso con chiaro riferimento ai polletti del franchising di fast food più celebre al mondo (li conosciamo tutti i Chicken McNuggets vero?); mentre i secondi, letteralmente «morsi di ‘gatore», sono tipici del South-East americano e non sono rari da trovare nei pub di Miami. Tale versione prevede che prima della frittura i pezzi di alligator meat vengano passati nel latticello e poi in un blend di farine.

Tirati fuori dall’olio bollente, i Gator Bites risultano dei bocconcini tanto invitanti quanto facili da scambiare per altro. Tanto è vero che qualche statunitense si sofferma sulla sua vaga somiglianza con il pollo. La consistenza talvolta gommosa li avvicina invece a cefalopodi come i calamari. Affinità su cui fanno leva taluni ristoratori oltreoceano, non sempre trasparenti con i clienti, magari convinti di spolpare le solite carni bianche. Nei locali vengono proposte accanto a varie salse, dalla remoulade alla salsa piccante tipica della Louisiana. Una proposta sfiziosa e disimpegnata, da appetizer o finger food.

carne di alligatore affumicata, preparata come il classico beef jerky

Mettendo comunque da parte i luoghi comuni, non poche persone convengono sul fatto che non si tratti di un sapore così «esotico», benché possa riservare a livello organolettico delle sensazioni uniche, sia tattili che di gusto. A seconda del metodo di cottura adoperato, quella di alligatore è una carne singolare, un “ibrido” che può riportare note salmastre o saline non tanto lontane da quelle caratteristiche delle specie ittiche.

Consumo di rettili in Italia e nel mondo

In Nord America diverse comunità hanno iniziato a considerare edibile la carne di alligatore intorno alla metà dell’Ottocento. Nei primi del ‘900 si consumavano anche le uova. La loro vendita diventa una fonte di reddito che spinge molti a procacciarle. Allo stato attuale, non è consentito senza un’apposita licenza. Mentre allevamento e caccia sono legali in parecchi stati USA. Potrà sembrare assurdo, ma non è l’unico rettile “gastronomico” degli Stati Uniti: influenzati dai costumi dei nativi, è da tempo che i texani di frontiera organizzano grigliate a suon di rattlesnake (dunque i serpenti non si mangiano solo in Asia e in Estremo Oriente). Rimanendo nel mondo anglosassone, si mangia la carne di rettile anche in Australia. Il coccodrillo d’acqua salata infatti è al centro di numerose ricette e si gusta veramente in tantissimi modi: sott’olio, a mo’ di spezzatino, trasformato in ragù oppure come pâté. Quella che arriva in Italia viene perlopiù da allevamenti africani (Botswana, Zimbabwe e Sudafrica). Comparsa sulla grande passerella dell’Expo di Milano nel 2015 da crocoburger, il Ministero della Salute ne permette l’importazione dal 2021, sempre che ad essa venga associata la relativa certificazione sanitaria. A dire il vero, nonostante ci si ostini a relegare questo o quello a qualcosa di sorprendentemente nuovo o «esotico» per il nostro paese, anche la storia culinaria dello Stivale includeva ricette con carne di rettile. Proprio così, fino alla Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche (recepita dall'ordinamento italiano nel 1983), e dunque prima che il suo consumo fosse proibito, pure da noi la zuppa di tartaruga era un classico della cucina regionale.

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