Limone si? o limone no? Il dilemma si ripete ogni volta che viene presentato in tavola un bel fritto croccante: molti non riescono a rinunciare alla nota acidula e fresca del limone, ma almeno altrettanti condannano questa usanza e disdegnano le fette di limone che decorano il piatto. Ormai sono sempre meno i ristoratori che le servono insieme al fritto, ma le portano al tavolo solo se richieste tanto per non essere considerati degli inguaribili nostalgici. Ma vi siete mai chiesti da dove deriva la predilezione umana per il binomio tra il gusto acido del limone e il cibo fritto nel grasso?
Esiste una teoria per spiegare questa associazione, almeno riguardo alla frittura di pesce, e ha a che fare con la chimica. Il pesce, gia? poco dopo essere pescato, inizia a produrre sostanze altamente volatili chiamate ammine, responsabili del suo tipico odore. Lโacidita? del limone e? in grado di legarsi a questi composti rendendoli piu? solubili e, di conseguenza, meno percepibili dallโolfatto. Questo spiegherebbe perche? molte delle ricette a base di pesce prevedono ingredienti dalla componente acida come limone, pomodoro, vino o aceto, ingrediente principale delle ricette di carpione o scapece in tutte le loro varianti. Rimane da spiegare come mai il gusto acido viene reclamato anche da altri tipi di fritto e basta pensare alle patatine con ketchup e maionese per accorgersene. In questo caso le motivazioni sono culturali e hanno origini molto antiche.
Per circa due millenni lโunica medicina conosciuta e? stata quella galenica che, a partire dallโantica Grecia fino allโilluminismo, non ha solo spiegato come si curavano le malattie, ma ha indicato anche come prevenirle con una alimentazione โequilibrataโ, con un significato completamente diverso da quello che gli attribuiamo oggi. La teoria galenica si basava infatti sul bilanciamento dei quattro umori โ caldo, freddo, umido e secco โ che costituiscono gli elementi fondamentali di uomini, animali, vegetali, insomma di tutto cio? che ci circonda. Le malattie erano considerate un effetto dello squilibrio fisiologico, pertanto tutto cio? che veniva introdotto nellโorganismo doveva essere attentamente valutato. Per secoli i medici si sono preoccupati che le singole portate, la composizione dei pasti e la dieta nel suo complesso fossero equilibrati e adatti allโorganismo di chi li assumeva. Se oggi il vostro dietologo consiglia di limitare i cibi ricchi di grassi, gli zuccheri e di abbondare con le verdure, fino a qualche secolo fa vi avrebbe raccomandato di bere un vino bianco e leggero con lโarrosto, di lessare la carne della selvaggina e di accompagnare il melone con un cibo secco e salato. Sullโultima indicazione in fondo ci troviamo ancora dโaccordo quando mangiamo melone e prosciutto, unโassociazione che e? entrata a pieno titolo nelle nostre strutture del gusto. ย Con il limone e il fritto e? successa piu? o meno la stessa cosa.
Dal punto della medicina galenica, la natura del limone e del fritto sono contrapposte: i liquidi acidi erano considerati โfreddiโ e โumidiโ, mentre i cibi esposti al calore diretto del fuoco o allโolio bollente tendevano a diventare โcaldiโ e โsecchiโ. Gli opposti, si sa, si annullano, per cui mescolare questi alimenti allโinterno della stessa portata la rendeva perfettamente equilibrata. Probabilmente la prima associazione tra il limone e il fritto (di pesce) e? contenuta in una fiaba orientale raccolta nelle Mille e una notte che ha per protagonista il califfo Harun al-Rashid, un personaggio storico realmente esistito che regno? tra il 786 e lโ809, praticamente un contemporaneo di Carlo Magno. Nella novella il califfo si finge un pescivendolo per sorprendere un proprio dignitario che aveva organizzato una cena senza il suo permesso. Arrivato in cucina in incognito, ne approfitta per friggere personalmente il pesce e portarlo agli ospiti, non prima di avere colto appositamente un limone dal giardino per accompagnare il piatto. Il narratore non si sofferma sulla ricetta, ma sembra che il pesce fosse fritto semplicemente in olio, senza farina o pastella, una modalita? che rimarra? la piu? utilizzata anche in occidente per diversi secoli. In questo caso, una spruzzata di limone o degli altri acidificanti usati allโepoca come lโarancia amara, lโaceto o lโagresto (ottenuto dal succo di uva acerba) non avrebbero compromesso la consistenza del fritto.
Lโusanza di infarinare pesci di piccola taglia prima di friggerli inizia timidamente nel Quattrocento per poi diffondersi durante il Rinascimento ed e? allora che nascono le prime avvertenze sullโuso del succo di limone. Leggiamo nel ricettario di Domenico Romoli datato 1560: ยซavvertiscasi di non coprire il pesce fritto di niuna sorte [di succo di limoni o melangole] quando sara? caldo, perche? diventarebbe allesso; oltre che e? cosa mortifera il mangiarne, come si dira?ยป. Proprio come oggi, il fritto era immancabilmente servito circondato da fette di limone, ma il consiglio era di usare il succo con estrema parsimonia, altrimenti rischiava di diventare nientemeno che โmortiferoโ. Insomma, e? passato quasi mezzo millennio, ma le perplessita? sono rimaste identiche.
Tra Cinquecento e Seicento si assiste a unโimpennata di vivan- de fritte. Lโinfarinatura e? ormai diventata un metodo comune a cui si aggiunge lโindoratura, ovvero il passaggio nellโuovo sbattuto. Al pesce si accostano anche diversi tagli di carne, so- prattutto di โquinto quartoโ come il fegato, le animelle, il cervello e la lingua. La cucina francese e? quella piu? audace e nel XVII secolo inizia a sperimentare soluzioni piu? creative per avvolgere i fritti, come per esempio la pastella dei bigne? con cui vengono preparate le animelle. Anche in questi casi non mancano mai limoni o arance da spremere sulle vivande. Solo nel Settecento si affaccia una nuova strada, che noi conosciamo bene: accompagnare il fritto con salse dalla componente acida. Grazie anche alla messa a punto della ricetta della maionese da parte di Marie Antoine Care?me agli inizi dellโOttocento, la loro consistenza diventera? sempre piu? cremosa, salvaguardando la croccantezza dei fritti.
Sono passati i secoli, ma la discussione del limone sui fritti e? ancora attuale e sembra difficile trovare il compromesso tra una consistenza supercroccante e la nostra amata spruzzatina agrumata. In realta? cโe? chi โ come Luca Iaccarino โ ha scritto anatemi contro il limone sul pesce (e sul fritto): โperche? copre i sapori delicati, perche? cuoce le carni, perche? ammoscia il croccante. E soprattutto perche? ho sposato una ligure che tutte le volte che vede qualcuno farlo cita il famoso adagio: โchi sul pesce mette il limone o e? di Cuneo o e? un belinone”. Non e? pero? in linea uno chef del calibro di Gennaro Esposito: ยซNon andrei su posizioni estreme. Quando si frigge o si cuoce a temperature alte (frittura e griglia in primis), la caramellizzazione degli zuccheri da? sapori forti e spinti. Cosi? il limone smorza un pochino quella forza a volte eccessiva. Penso ai gamberi, per esempio, o alla razza e al merluzzetto: pur essendo magri acquistano un gusto molto forte per la frittura. In una cotoletta alla milanese, in cui la frittura cel burro chiarificato puo? spingersi un poโ oltre, la goccina di limone ci sta bene. Ma sono la misura e il gusto personale la bussola che puo? orientare al meglio la scelta del limone si o noยป.
Una possibile soluzione arriva pero? dal Medioevo e si chiama sommacco: la polvere estratta dal frutto acerbo della Rhus coriaria, una pianta diffusa in tutto il bacino Mediterraneo. Gli antichi ricettari ne suggeriscono lโuso come una valida alternativa al limone, ma nel corso del Cinquecento la sua presenza in cucina si e? ridotta fino a scomparire. Nel Vicino Oriente e? utilizzato ancora oggi in diverse ricette, mentre da noi e? quasi sconosciuto, anche se ci sono giovani chef talentuosi che lo stanno riscoprendo. Il suo segreto e? di essere una polvere, quindi perfetta per dare la giusta freschezza agrumata
senza intaccare la consistenza del fritto. Chissa?, forse questo stratagemma venuto dal passato, potrebbe risolvere un dilemma culinario vecchio di mezzo millennio.
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