"Pur di vendere l'olio al nord dormivamo nel camion". La storia dell'eroico produttore pugliese e della sua famiglia

9 Giu 2024, 09:21 | a cura di
Pietro Intini, titolare dell'omonimo frantoio situato ad Alberobello, racconta la storia della sua famiglia e di come sono diventati dei precursori dell'extravergine di qualità pugliese

Tra gli addetti al settore quando si nomina il Frantoio Intini si pensa subito allo straordinario lavoro di recupero su una varietà quasi in via di estinzione come la Cima di Mola. Una cultivar valorizzata proprio da questa azienda grazie a uno scrupoloso lavoro di ricerca sul miglior metodo di estrazione al fine di valorizzarne tutte le potenti caratteristiche organolettiche. Quella di questa prestigiosa realtà olearia, però, è una storia di sacrifici e ostinazione che è iniziata qualche decennio fa partendo dal concetto di qualità, in una zona dove, come in molte altre parti d'Italia, si badava quasi sempre alla resa e alla mera quantità. Ne abbiamo parlato con Pietro Intini, quarta generazione di una famiglia da sempre vocata all'olivicoltura, che quest'anno ha vinto il premio speciale come Miglior Monocultivar con la sua Coratina nella guida Oli d'Italia 2024.

Il frantoio in mezzo ai trulli

«Mio nonno Pietro Intini ha cominciato a lavorare all’età di 6 anni, insieme a suo padre, nel frantoio di un ricco possidente dell’agro di Alberobello. Erano gli anni Trenta del Novecento e questo era ritenuto normale per bambini di estrazione contadina. Dopo anni di duro lavoro, proprio mio nonno è riuscito ad acquisire l’azienda del suo titolare, investendo tutti i suoi risparmi in un piccolo frantoio nella cantina di un trullo nel centro di Alberobello. Restò lì fino al 1994, quando la popolarità dei trulli, il conseguente sviluppo del turismo e una produzione in crescita, richiesero il trasferimento alla periferia del paese. È cosi che nasce il frantoio Intini ad Alberobello».

La fuga dei clienti abituali

«Dopo di lui mio padre Franco ha proseguito il lavoro: è stato lui uno dei primi nel circondario ad adottare un impianto a ciclo continuo per la produzione di olio. Parliamo della fine degli anni Settanta. Una vera innovazione, con la quale ha iniziato a produrre un olio di qualità superiore, però dalle basse rese e dal gusto intenso, fattori che hanno allontanato gran parte della clientela con significative perdite economiche per l’azienda».

I sacrifici e la rivoluzione commerciale

«Negli anni Ottanta proprio mio padre ha dovuto dare voce all'ingegno inaugurando, in maniera rudimentale ma assolutamente geniale, quella formula "dal produttore al consumatore" che è oggi, in Europa e nel mondo, una delle nostre formule vincenti. Io viaggiavo con lui e l'intera famiglia per intere settimane, distribuendo casa per casa l'olio prodotto nel nostro frantoio in tutto il Nord Italia: non era semplice, basti che pensare che non c'erano né tempo né possibilità di concedersi di riposare in albergo. La notte dormivamo nel camion e all'alba si ripartiva per una nuova giornata di consegne serrate. Per me bambino si trattava di un'avventura, oggi comprendo lo spessore di quei sacrifici e l'ostinazione di quel lavoro: per arrivare a quello che siamo oggi il segreto è stato lo spingersi sempre oltre».

Frantoio Intini oggi

«Dopo l'esperienza di mio nonno e di mio padre, vedendo i sacrifici che hanno fatto, anche io ho deciso di investire tutto in studio e tecnologia per produrre extravergini che avessero la mia personale firma, che spero possa essere riconoscibile. La mia continua ad essere oggi un’azienda familiare con una produzione sartoriale che pretendo di visionare personalmente in ogni fase, dalla terra alla bottiglia. Sono un passionario più che un imprenditore, e ai numeri prediligo la bellezza: quella costante ricerca di armonia con la natura e dell’essere umano di interpretarla. È una responsabilità che mi porto dentro: sento di dover fare qualcosa per la valorizzazione di questo straordinario alimento che è l'extravergine di alta qualità e per la tutela del territorio in cui affondano le mie radici, che sento profonde e radicate, a vantaggio delle generazioni che verranno».

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